Ibrahim Gokcek, bassista della band turca Grup Yorum, dà l'ultimo saluto alla cantante Helin Bolek morta dopo uno sciopero della fame durato 288 giorni. Credits: Twitter, @freegrupYorum
Ibrahim Gokcek, bassista della band turca Grup Yorum, dà l'ultimo saluto alla cantante Helin Bolek morta dopo uno sciopero della fame durato 288 giorni. Credits: Twitter, @freegrupYorum

Non solo Grup Yorum, avvocati, giornalisti e attivisti perseguitati da Erdogan

Ibrahim Gokcek, il bassista della band turca, è morto poche ore dopo aver interrotto il digiuno. Mentre il coronavirus è diventato il pretesto per un'ulteriore stretta sulla libertà di espressione

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoGiornalista

7 maggio 2020

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Ha interrotto lo sciopero della fame poche ore fa, dopo 323 giorni passati a non toccare cibo, ma non è bastato: il fisico di Ibrahim Gokcek, ormai troppo debilitato, non ha retto. Il bassista della band turca Grup Yorum è morto in un ospedale di Instabul, dove era stato ricoverato per essere sottoposto alle cure necessarie: in un video pubblicato ieri su Twitter dall'account @freegrupyorum lo si vede venir caricato sull'ambulanza, ridotto all'ombra di se stesso.

Così, quando si sperava in un lieto fine, si è concluso nel peggiore dei modi il suo sciopero della fame, iniziato per protestare contro la repressione nei confronti del gruppo musicale scattata all'indomani del fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016 all'attuale premier Recep Tayyip Erdogan.

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Lo sciopero della fame come forma di lotta 

Un calvario che non ha affrontato da solo. L'hanno affiancato la cantante Helin Bolek e il chitarrista Mustafa Kocak, entrambi 28enni. Tutti e tre non ce l'hanno fatta: al 288esimo giorno senza mangiare lei, al 297esimo lui e infine al 323esimo Gokcek, la cui morte è arrivata proprio dopo la decisione della magistratura di revocare il divieto a esibirsi imposto alla band. "Una vittoria politica", l'ha definita lo stesso Gokcek nelle scorse ore. Segnali di apertura su cui si era gioito, ma che non permettono di abbassare la guardia, dice Murat Cinar, giornalista turco trapiatanto a Torino. Soprattutto dopo la morte di Gokcek. Non solo perché non è stata ancora fissata alcuna data per un concerto e parte delle richieste del Grup Yorum — quali la scarcerazione di tutti i componenti della band, l’annullamento del mandato di cattura per gli altri musicisti, l'interruzione delle operazioni della polizia nei confronti di Idil, il centro culturale del gruppo — sono tutt'ora inevase. Ma anche perché in carcere rimangono centinaia di persone "detenute in maniera arbitraria". Alcune di loro hanno iniziato il cosiddetto death fast: uno sciopero della fame a oltranza, ovvero fino alla morte, che in Turchia viene spesso usato come forma di lotta politica.

Giornalisti dentro, narcotrafficanti fuori 

"Le carceri turche sono piene di persone che vengono detenute in maniera arbitraria usando le norme anti-terrorismo" Murat Cinar - Giornalista turco-italiano

È il caso di Ebru Timtik e Aytac Uysal, due avvocati che si trovano in carcere per aver difeso Bolek e Kocak. Accusati, come loro, di reati di eversione. Non sono i soli: un report all’associazione The Arrested Lawyer Initiative, organizzazione non governativa diretta a sostenere gli avvocati turchi, rivela che sino al mese di febbraio di quest’anno più di 1.500 legali sono stati indagati e 605 sono stati arrestati e posti in custodia cautelare, per appartenenza a un’organizzazione terroristica armata o per aver diffuso propaganda terroristica. Non va meglio a giornalisti, scrittori, artisti. "Le carceri turche sono piene di persone che vengono detenute in maniera arbitraria usando le norme anti-terrorismo", spiega Cinar. Un esempio celebre: lo scrittore Ahmet Altan, condannato all'ergastolo per sovversionne. Anche se la sentenza è stata rovesciata dalla corte suprema, il 69enne è rimasto in carcere in attesa di un nuovo processo. Non a caso, tra i beneficiari del provvedimento adottato nei giorni scorsi con l'obiettivo di svuotare le sovraffollate carceri turche  a causa dell'emergenza Covid-19 ci sono "criminali, stupratori e narcotrafficanti", dice Cinar. Mentre sono stati esclusi i condannati, coloro in attesa di appello, o sotto indagine, per le norme anti-terrorismo.

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Una finta democrazia 

Certo, le norme anti-terrorismo non sono una novità, "ma sono in vigore dagli anni Novanta — spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia—. Tuttavia, dopo il fallito colpo di stato del 2016 è iniziata una sorta di caccia alle streghe che ha coinvolto centinaia di migliaia di impiegati del settore pubblico, ha colpito la magistratura, la scuola e l’università. Le norme si sono perfettamente combinate con la volontà di rimuovere presunti fiancheggiatori, o simpatizzanti, dei golpisti da qualunque ruolo pubblico". Tra le vittime anche i componenti del Grup Yorum, gruppo fondato nel 1985, e diventato il simbolo della sinistra turca in quanto ha sempre appoggiato le lotte per la giustizia e la libertà sia nel proprio Paese sia a livello internazionale, coniugando la protesta con le melodie tradizionali. L’accusa per tutti è stata di appartenenza o sostegno al Dhkp-C, un’organizzazione armata di estrema sinistra considerata terrorista non solo dalla Turchia, ma anche dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Legame che la band ha sempre smentito. Nonostante questo, il gruppo è stato incluso nella lista dei movimenti sovversivi e terroristi, con il conseguente arresto di diversi membri. 

"In Turchia la violazione dei diritti umani è radicata"Riccardo Noury - portavoce  Amnesty International Italia

Una feroce repressione che si inserisce in un contesto più ampio. Basti pensare che, per la prima volta nella storia, è finito sotto accusa e poi in manette un esponente di Amnesty International: Taner Kiliç, allora presidente di Amnesty International Turchia. Kiliç è stato successivamente scarcerato e adesso è in attesa di processo. Tra i capi di imputazione? Anche quello di avere scaricato sul proprio smartphone un'applicazione sfruttata dai promotori del tentato golpe per scambiarsi i messaggi. Noury la definisce "una radicata violazione dei diritti umani che fa sì che la Turchia stia ripetutamente contravvenendo a numerosi trattati internazionali. Il fatto che dal punto di vista formale ci sia un rispetto per delle procedure proprie di uno Stato democratico, come lo svolgimento delle elezioni, non è sufficiente per definirlo tale". 

Il coronavirus come pretesto per restringere le libertà

La pandemia sembra essere stata il pretesto per un'ulteriore stretta sulla libertà di espressione: secondo l’ultima dichiarazione del ministro degli Interni turco di una settimana fa, in 42 giorni sono stati indagati più di 800 cittadini che utilizzano diversi canali social perché accusati di aver diffuso informazioni false o diffamatorie sull'operato del governo, di cui 400 sono finiti in detenzione cautelare. "La Turchia è tra quei trenta pasi, come l'Egitto e l'Ungheria, in cui sono state adottate norme per limitare la libertà di informazione durante l'emergenza sanitaria", conferma Noury. "L’ambiente per chi fa informazione è diventato ancora più ostile: chi mette in dubbio i dati ufficiali o l’efficacia della risposta governativa alla pandemia viene criminalizzato".

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