28 febbraio 2023
Ogni volta che Andres guarda una donna, pensa: "Non sono come te e non lo sarò mai". Non riesce a spiegare né come né perché, ma è sempre stato così: femmina fuori, Andres dentro. "Lo so e basta": istintivo, come respirare. Da tre anni è in attesa di un’operazione al seno per far coincidere il dentro col fuori, ma l’ospedale di Torino segue solo un certo protocollo: "O accetti di farti asportare insieme seno, utero e ovaie, o niente. A me tutto in una volta pesa. Ma così non sono né carne né pesce. Non posso andare in palestra o al mare. Se esco, mi sento osservato. Vivo nell’angoscia ".
Andres è ossessionato da ciò che si vede: soffre che la mascherina non gli permetta di mostrare la barba, cresciuta con l’inizio della terapia, e soffre ancora di più che il suo torace non corrisponda a quello di un uomo. Non si tratta di frivolezze, ma di bisogno. Il suo percorso di transizione è iniziato nel 2016, quando aveva 23 anni. Il primo passo è stato auto definirsi: non facile in un mondo che quando affronta la transizione di genere la associa al passaggio da uomo a donna, e di rado viceversa. Non facile neanche se il contesto sociale per tradizione più attento ai diritti considera la scelta di Andres un tradimento: "Da una parte di femministe non sono ben voluto, rappresento qualcosa di inconcepibile, che va contro la loro rivoluzione. Ma io voglio solo essere me stesso, niente di più, non odiatemi".
Quanto è stato importante definirsi?
Molto, almeno all’inizio. Mi ha permesso di capire ciò che avrei dovuto affrontare, a livello sia psicologico sia fisico, e mi ha fatto sentire al sicuro. Le etichette, invece, mi mettono a disagio: troppe definizioni, troppe cose da dover spiegare. Non ne sento il bisogno.
Come si definisce, quindi?
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