5 marzo 2021
Laura Cima, 78 anni, torinese, una vita spesa tra donne, politica ed ecologia, è in Italia una delle massime esponenti dell’ecofemminismo. Attivista ecologista ed ex deputata dei Verdi, per lei le battaglie per la salvaguardia dell’ambiente e i diritti delle donne sono da sempre due facce della stessa medaglia. Dalle prime lotte negli anni Settanta alle scelte quotidiane, spiega come sia necessario attuare cambiamenti radicali, guardando ai giovani e al pianeta. "È giunto il momento di bloccare tutti quei provvedimenti politici contrari ai principi dell’ecofemminismo – afferma –, a partire dal piano NextGenerationEu, che deve puntare ai giovani e al green e non seguire gli interessi delle multinazionali".
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Laura Cima, che cos’è l’ecofemminismo?
"L’uomo patriarcale è espressione di una cultura che attacca i corpi delle donne e il pianeta come fossero proprietà privata"
L’insieme di due movimenti che si fondono nel comportamento politico di donne che hanno a cuore la cura della Natura e del pianeta oltre a quella dei figli e della famiglia. Una prospettiva che si misura con la consapevolezza dei disastri compiuti dall’uomo patriarcale, coloniale, dominatore, espressione di una cultura che attacca i corpi delle donne e le risorse del pianeta come fossero proprietà privata. La base dell’ecofemminismo è invece una cultura non violenta, la volontà di vivere in armonia con il creato ispirata dalla dimensione della donna-creatrice.
Quando si è sviluppato l’ecofemminismo in Italia?
Io sono stata fortunata, perchè ho vissuto da protagonista la prima ondata di ecofemminismo, che si è sviluppata nel nostro Paese prima del disastro di Chernobyl. Nel 1986 ci siamo trovati a ragionare della possibilità che i Verdi si riunissero in un movimento alternativo ai partiti, come proposto già l’anno precedente da Alex Langer (tra i fondatori del partito dei Verdi italiani uno dei leader del movimento europeo, ndr). Tuttavia, visto il disinteresse mostrato dagli uomini per le questioni che come donne ponevamo, ci siamo decise per un atto separatista. Siamo partite dal pensiero della filosofa Luisa Muraro, che esplicitava il concetto del limite – fondamento della cultura ecologista – nel rapporto tra uomo e donna: l’uomo non può essere omnicomprensivo, ma deve confrontarsi con qualcuno diverso da lui.
Negli stessi anni, ad Amburgo, era stata presentata una lista di Verdi tutta al femminile, ma noi abbiamo scartato questa opzione, preferendo le liste paritarie a cerniera (che permettevano l’alternanza di candidature di donne e uomini, ndr). La componente femminile è risultata più radicale, tanto che gli uomini, ambendo ai posti di potere, crearono la lista concorrente dei Verdi arcobaleno e scesero a compromessi con l'allora classe dirigente. Ora la situazione è cambiata e ci sono molte leader ecologiste in tutt’Europa.
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Le donne sono più ecologiste?
Non c’è dubbio. Lo si vede anche nelle scelte quotidiane, legate ai consumi, all’alimentazione e ai prodotti per la casa. Alle donne spetta ancora la gran parte del lavoro di cura e questo le tiene lontane dal lavoro e dall’indipendenza economica, aprendo anche la strada a maltrattamenti e persino femminicidi.
L’ecofemminismo non rischia di avere una prospettiva poco inclusiva?
"Non possiamo pensare che arrivi Mario Draghi e salvi il Paese. Occorre partire dalla scuola, insegnando l’empatia e il non possesso"
Credo di no. Noi, poi, abbiamo abbreviato il termine in "ecofem", togliendo quell’"ismo" che riconduce a una matrice ideologica e al nesso forte con il patriarcato. In ogni caso, si tratta di processi lenti e graduali: non c’è via d’uscita, non possiamo pensare che arrivi Mario Draghi, o chi per lui, e salvi il Paese o il mondo. Occorre insegnare l’armonia, l’empatia, il non possesso e la non violenza, cominciando dalla scuola. Agli adolescenti non viene impartita alcuna educazione all’affettività e alla sessualità: imparano tutte le tecniche possibili sui siti porno, dove è assente ogni tipo di relazione. Certo, esistono delle donne che ricoprono ruoli importanti – penso alla premier neozelandese Jacinda Ardern, alla cancelliera Angela Merkel o a Ursula Von der Leyen – che promuovono una rivoluzione verde. Le proposte però il più delle volte vengono bloccate, com’è successo con la riforma della Politica agricola comune (Pac), battuta all’Europarlamento dalla lobby dei grandi produttori agricoli Copa-Cogeca.
Perché le questioni femministe sono così legate a problemi di lessico?
Perché il linguaggio è fondamentale nella cultura e nella politica. Rappresenta quello che fai e rispecchia il tuo pensiero. La mancanza di alfabetizzazione all’empatia, in questo senso, diventa incomprensione nella vita reale. Come accade sui social dove il linguaggio del corpo, tradotto in immagine, finisce per nascondere le sofferenze che le persone invece vivono. La stessa cosa vale per le retoriche pubbliche: non è possibile continuare a tollerare comunicazioni che coprono la realtà, come è accaduto sui dati di Covid-19.
Quali altri cambiamenti servirebbero a realizzare l’ecofemminismo e una società inclusiva?
Bisognerebbe coinvolgere anche gli uomini in un’azione che rimetta al centro le relazioni e la cura: della persona, del pianeta e degli ultimi, come ha ribadito anche Papa Francesco. E poi bisognerebbe riprendere gli antichi saperi, come quelli degli Indios che si battono per difendere la loro terra.
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