Resistere nella valle del Giordano

Nel sud della Cisgiordania i coloni israeliani dettano legge, costringendo le popolazioni locali a vivere nel terrore. Il villaggio beduino di Al Dadiha è abitato da 150 persone che non hanno alcuna intenzione di lasciare la loro terra

Lidia Ginestra Giuffrida

Lidia Ginestra GiuffridaGiornalista

Stefano Stranges

Stefano StrangesFotoreporter

1 luglio 2024

Jamal è seduta sull’unica sedia della casa, lo sguardo tranquillo, dietro di lei le piantagioni d’ulivi, di fronte una colonia israeliana. Il villaggio di Fa Sair è incastonato tra l’omonimo insediamento e quello di Tomer. Un’amara consuetudine dei coloni israeliani, quella di chiamare l’insediamento come il villaggio palestinese che distruggono, a cui prendono la terra e persino il nome.  Siamo nella valle del Giordano, nel sud della Cisgiordania occupata, al confine con la Giordania. Il colonialismo di insediamento israeliano prende le forme delle sconfinate coltivazioni di palme da dattero e banani, delle poche e ormai prosciugate fonti d’acqua naturali, delle macerie delle case dei palestinesi demolite dall’esercito israeliano. 

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"Siamo rifugiati qui dal 1948, prima di allora i miei genitori vivevano in un villaggio tra Haifa e Jaffa", racconta a lavialibera Jamal, madre di Mohammed e moglie di Josi. "Nel 1968 sono sorte le prime colonie israeliane, da allora viviamo nel terrore dei continui attacchi dei coloni. Il loro obiettivo è spingerci ad andare via e occupare sempre più terra".  L’esproprio illegittimo della valle del Giordano non avviene però solo attraverso il terrore; da anni Israele dichiara pezzi di questa terra "riserve naturali" o "zone di addestramento militare", di fatto mai utilizzandole come tali, per poter poi notificare demolizioni e sfratti alle famiglie palestinesi che ci vivono e costruire nuove colonie. Il 20 per cento della valle è stata dichiarata "riserva naturale", mentre il 55 per cento, per Israele, è "zona di addestramento militare".   

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