Casa Chiaravalle, bene confiscato a Milano. Foto: Paolo Valenti
Casa Chiaravalle, bene confiscato a Milano. Foto: Paolo Valenti

Beni confiscati, tre richieste per non tornare indietro

A 29 anni dall'approvazione della legge sul riutilizzo dei beni confiscati, il modello italiano fa scuola in Europa e nel mondo. Ma per riuscire a togliere davvero i beni alla criminalità organizzata e ridarli alla comunità serve l'impegno di tutti. Il nuovo report "Raccontiamo il bene" di Libera

Redazione <br> lavialibera

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6 marzo 2025

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Dalle mani di pochi al riutilizzo al servizio di tutti: è questo l'obiettivo del riutilizzo sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Da quando, 29 anni fa, è stata approvata la legge 109/96, sono stati centinaia gli esempi di spazi che sono tornati a essere luoghi per la comunità. 
A ridosso dell'anniversario del 7 marzo, Libera ha presentato il nuovo report "Raccontiamo il bene", in cui si descrivono le storie di esperienze in Italia e all'estero, fondate sul nostro modello. L'attenzione dell'associazione va al futuro, con tre richieste: il no alla privatizzazione, la creazione di una cabina di regia nazionale e la garanzia di una filiera trasparente nell'intera procedura di confisca e riuso. 

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Le pratiche di riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie in Italia

Libera ha analizzato i dati dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità, dove sono presenti 19.897 beni in amministrazione – quelli che sono disposti a confisca anche non definitiva – e 18.159 beni destinati, che sono quelli che hanno concluso l'iter legislativo e sono stati dati a enti statali per utilizzarli per scopi sociali.

I soggetti impegnati nella gestione di beni immobili confiscati alla criminalità organizzata sono 1.132, ottenuti in concessione dagli Enti locali (con un aumento del 6,2 per cento rispetto allo scorso anno), in diciotto regioni e 398 comuni, quindici in più del 2024: 267 al Nord, 92 al Centro e 773 al Sud e isole. In crescita rispetto all'anno scorso anche i beni intitolati a vittime innocenti delle mafie, passati da 88 a 105.

Nel database dell'agenzia sono presenti 2.823 aziende in gestione e 1.521 aziende destinate

Le regioni con il maggior numero di realtà assegnatarie sono la Sicilia con 297 gestori, a cui seguono la Campania con 186, la Lombardia con 159 e la Calabria con 157. 

Scarica il report completo 

Più della metà delle attività che si svolgono sui beni riutilizzati hanno a che fare con il welfare e le politiche sociali (56,5 per cento), seguite dalla promozione culturale, del sapere e del turismo sostenibile al 25,9 per cento e dall'agricoltura e o servizi che hanno a che fare con l'ambiente (9,9 per cento).

Interessante è il percorso di monitoraggio civico dei beni confiscati finanziati con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. In Sicilia, attraverso un'indagine condotta da volontari della Coop Placido Rizzotto - Libera Terra, sono stati raccolti i dati sullo stato di avanzamento dei lavori nelle strutture nella regione. Dalla mappatura è emerso che nel 27,6 per cento dei casi, i lavori sono ancora in corso e si sta procedendo alla ristrutturazione degli immobili, mentre nel 13,8 per cento dei casi, i lavori non sono stati ancora avviati. Nel 41,4 per cento delle volte, l'iter è fermo alla fase di appalto e solo nel 3,4 per cento i progetti risultano completati. 

Riutilizzo dei beni confiscati in Europa

L'Italia sul tema del riutilizzo dei beni confiscati ha fatto scuola in Europa e nel mondo. Per quanto riguarda l'Unione europea, ad aprile 2024 il Parlamento ha adottato una nuova direttiva per migliorare le regole sul recupero e la confisca di beni, che secondo gli autori del report "rappresenta un passo avanti, perché promuove la sinergia tra istituzioni e valorizza l'esperienza italiana". Questo slancio deve essere poi messo in pratica nella realtà, attraverso un lavoro quotidiano di cooperazione e condivisione delle informazioni.  

Sono 16 i Paesi che hanno una normativa nazionale sul tema e con dei casi di riuso: cinque in Albania, tre in Spagna, due in Romania, una in Belgio, Francia e Olanda.

Dal crimine alla comunità: il riuso sociale dei beni confiscati avanza in Europa

Per aiutare a far sì che il riuso diventi una pratica sempre più utilizzata, c'è bisogno dell'istituzione di un fondo speciale per sostenere i progetti della società civile nei beni confiscati.

Le esperienze in America Latina e Africa

Anche in Latino America sta crescendo la pratica del riuso dei beni confiscati alla criminalità organizzata. "L'uso pubblico, sociale e comunitario dei beni confiscati in America e nei Caraibi è in fase di sviluppo – si legge nel report  – e miglioramento in diversi paesi della regione. La situazione varia a seconda del paese, ma in generale si registra un crescente impegno nel destinare questi beni a scopi che apportino benefici alla società, in particolare alle comunità colpite dal crimine organizzato". Sono diciotto i Paesi che hanno degli organismi che possono amministrare i beni confiscati sul loro territorio. Secondo la mappatura di Libera sono sette le esperienze di riutilizzo sociale, quattro in Argentina e tre in Colombia.

Per quanto riguarda l'Africa, sono sedici i Paesi che aderiscono alla rete Place, che appoggia le esperienze di riuso sociale dei beni confiscati, abbandonati o inoccupati, accompagnando le organizzazioni locali della società civile nella promozione del riuso come forma di giustizia riparativa e di rigenerazione delle comunità.

Le tre richieste per non indietreggiare

Dopo aver fotografato la situazione, gli autori del report chiedono di raggiungere tre obiettivi:

  • garantire trasparenza nell’intera filiera di confisca e riuso dei beni confiscati, non come pratica dei singoli enti pubblici impegnati nel percorso del bene;
  • dire no alla privatizzazione dei beni confiscati, attraverso l’affitto oneroso o con la vendita;
  • creare una cabina di regia nazionale per mettere a sistema le risorse per la valorizzazione dei beni confiscati, facendo dialogare i fondi pubblici e gli investimenti di enti privati.

"Con il nostro impegno antimafia – commenta Tatiana Giannone, responsabile nazionale del settore beni confiscati di Libera – abbiamo trasformato questi beni da esclusivi a beni di comunità: scuole, centri di aggregazione, esperienze produttive, luoghi di accoglienza e di cura, senza dimenticare le significative esperienze legate alle aziende confiscate e rimaste sul mercato grazie all’impegno delle cooperative di lavoro. Insomma, un enorme lavoro plurale che ha rafforzato il tessuto sociale e che tiene unite le relazioni di una comunità, facendo da modello anche sul piano europeo e internazionale". Un impegno che non può fermarsi.

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