20 luglio 2021
Vincenzo non era un bravo ragazzo. Guidava auto prese a prestito anche se non aveva la patente, faceva il bullo con gli amici e aveva fatto pure una rapina. Con i compagni del circolo ricreativo aveva rubato un telefonino, poi tutti insieme lo avevano venduto e con i 50 euro intascati si erano permessi un panino. Ma alla fine, in una mattina di marzo segnata dalla pandemia, Vincenzo, a 16 anni, ha fatto la cosa peggiore di tutte: si è tolto la vita. Quella vita che aveva appena assaggiato l’ha appesa al cappio nel bagno di una comunità di Villa di Briano, in provincia di Caserta. Prima di andarsene ha scritto un biglietto: "Ciao mamma, perdonami, ma te lo avevo detto che qua non ci volevo stare".
L’inferno di Piano Napoli. Il giorno prima la madre lo aveva riaccompagnato nella struttura scelta per lui dal giudice per i minorenni dopo una rapina: Vincenzo, che di cognome fa Arborea, era fuggito per partecipare alla commemorazione della sorella morta l’anno prima, una ragazza di 21 anni e quattro figli a carico. Così gira la vita in quell’inferno che chiamano Piano Napoli di Boscoreale, uno dei tanti ghetti costruiti dopo il sisma del 23 novembre del 1980 per ospitare i terremotati: tante case, poche infrastrutture e malavita a go-go. I figli arrivano prestissimo a madri bambine, mogli e compagne di ragazzi senza lavoro e senza speranze. Qua abitava la nonna più giovane d’Italia: 29 anni. Qua Vincenzo ha vissuto i suoi 15 anni. "Nel rione lo chiamavano il gigante buono perché era alto e grosso e con una risata era capace di scacciare rabbia e tristezza", racconta la mamma, Assunta Galantuono. Una donna maltrattata dalla vita: ha avuto quattro figli, gliene restano due e otto anni fa ha perso anche il marito.
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