21 luglio 2021
In questi mesi di isolamento dovuto alla pandemia gli adolescenti hanno stravolto le proprie abitudini con conseguenze importanti sulla qualità delle loro vite e sul loro equilibrio emotivo. Dalle ricerche dell’Istituto Giannina Gaslini di Genova e dell’ospedale Bambino Gesù di Roma emerge che la precarietà e l’incertezza dovute al confinamento e alle condizioni familiari contingenti hanno fatto affiorare ansia, disturbi del sonno e irritabilità. Sono aumentati il senso di noia, il vuoto, il bisogno di sentire l’adrenalina. Che ragazze e ragazzi ora sfogano in comportamenti aggressivi verso gli altri o se stessi. Ne abbiamo discusso con Pasquale Borsellino, direttore dell’Unità operativa complessa Infanzia, adolescenza e famiglia del distretto sanitario di Asolo e Treviso, che dice: "I ragazzi chiedono di essere visti e valorizzati da parte di genitori distratti, docenti demotivati e adulti non sempre presenti".
Negli ultimi mesi in provincia di Treviso sono stati registrati tre ricoveri a settimana in pediatria o nel Servizio psichiatrico di diagnosi e cura: ragazzi che si intossicano o tentano il suicidio Pasquale Borsellino - Direttore unità complessa Ussl 2 - Marca Trevigiana
Dottor Borsellino, come stanno i giovani?
I ragazzi vivono una sorta di disagio in incubazione che può esprimersi in due modi: come violenza eteroaggressiva, ossia verso l'esterno, o autoaggressiva, contro se stessi. L’origine è comune e ha a che fare con il non sentirsi compresi e utili. Come nel caso dei sette ragazzi del trevigiano che hanno preso a sassate i treni della stazione: volevano sentire l'adrenalina. Farlo in branco rimane un modo per sentirsi vivi e sentirsi vivi è meglio di niente.
Com’è la situazione in Veneto?
Negli ultimi mesi in provincia di Treviso sono stati registrati tre ricoveri a settimana in pediatria o nel Servizio psichiatrico di diagnosi e cura: ragazzi che si intossicano o tentano il suicidio. Una forma di disagio che è molto cresciuta per via del lockdown prima e della mancata socializzazione poi. Ci siamo preoccupati dei programmi scolastici dimenticando che la scuola è una palestra di vita e affettività. In Veneto siamo così preoccupati che la Regione sta pianificando l'attivazione di servizi specifici. Nell'ultimo decreto Resilienza ci sono dei fondi ad hoc per assumere personale in neuropsichiatria in età evolutiva, ma oltre ai fondi serve progettualità.
L'aggressività giovanile non è soltanto una reazione al lockdown
Come dovrebbero essere questi servizi?
Pensati per loro e quindi senza prenotazione, gratuiti, a bassa soglia, accessibili, con personale formato e percorsi riabilitativi articolati e complessi. Ai ragazzi che non escono, non si lavano, non vanno a scuola, non possiamo rispondere con un appuntamento dal neuropsicologo. Ci sono poi i ragazzi che delinquono, quelli che usano sostanze e così via. Non si può offrire a tutti la stessa soluzione.
Che ruolo giocano le famiglie?
Tutti gli interventi devono essere di tipo ecologico e sistemico. I ragazzi sono prodotti di relazioni disfunzionali, quindi non si ottiene alcun risultato se non si lavora sulla nicchia di riferimento con i genitori.
Qual è l’ostacolo più grande?
Ad oggi i fondi. Le risorse destinate agli anziani sono cento volte superiori a quelle per i giovani e ora se ne vedono le conseguenze. Lavorare su un ragazzo è come avere un’equipe chirurgica, a volte anche di 20 persone. A seconda di quando c'è stato l'evento critico, ci possono volere anni di percorso. Però quando ci si riesce è entusiasmante, perché cambia il destino del ragazzo.
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