2 marzo 2022
“Amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento” e “una cattiva governance, che interessava il Comune di Foggia, improntata al perseguimento di interessi privati a danno del primario interesse pubblico alla legalità”. Lo scrivono i giudici della prima sezione civile del tribunale di Foggia nella sentenza con cui hanno deciso la non candidabilità, chiesta dal ministero dell’Interno, per l’ex sindaco del capoluogo dauno Franco Landella, dell’ex presidente del consiglio comunale Leonardo Iaccarino e degli ex consiglieri comunali Antonio Capotosto, Consalvo Di Pasqua, Dario Iacovangelo, Liliana Iadarola, Bruno Longo ed Erminia Roberto. Il tribunale ha invece rigettato la richiesta di incandidabilità nei confronti di altri due ex amministratori pubblici: Pasquale Rignanese e Lucio Ventura. Per loro la richiesta è stata rigettata per mancanza di prove. In generale, si tratta degli amministratori citati nella relazione con cui il 6 agosto dello scorso anno è stato sciolto per infiltrazioni mafiose il consiglio comunale.
Landella e Iaccarino sono coinvolti, a vario titolo, con gli ex consiglieri comunali Antonio Capotosto, Dario Iacovangelo, Consalvo di Pasqua, Pasquale Rignanese, Lucio Ventura, l’imprenditore edile Paolo Tonti e la moglie di Landella, Daniela di Donna in due inchieste della procura cittadina su presunte tangenti al Comune. Una riguarda il pagamento di una mazzetta di almeno 32mila euro per affidare alla società dell’imprenditore – la Tonti Raffaele Coer – il rinnovo di una proroga urbanistica. L’altra riguarda la richiesta di 500mila euro, poi scesa a 300mila, a un imprenditore interessato a subentrare nel project financing dei lavori di riqualificazione e adeguamento degli impianti di pubblica illuminazione in città.
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"Sussistono nei confronti dell’ex sindaco Franco Landella collegamenti indiretti con la criminalità organizzata locale”Tribunale di Foggia - Sentenza sull'incandidabilità
Nelle 74 pagine della sentenza di incandidabilità i giudici hanno ripercorso le vicende delle inchieste della procura di Foggia spiegando che il provvedimento ha “natura interdittiva, volto a porre rimedio al rischio che quanti abbiano cagionato il grave dissesto dell’ente possano aspirare a ricoprire cariche identiche o simili a quelle precedentemente rivestite, e in tal modo perpetuare potenzialmente l’ingerenza inquinante nella vita delle amministrazioni democratiche locali”. I giudici ribadiscono quanto emerso nell’atto dello scioglimento del comune in riferimento agli episodi di frequentazione, parentele e legami affettivi di alcuni consiglieri comunali con esponenti della criminalità organizzata. Un riferimento all’ex consigliera comunale Erminia Roberto, ex assessora alle Politiche sociali, e alle sue conoscenze con Leonardo Francavilla, esponente di spicco dell’omonimo clan della Società foggiana, una delle mafie foggiane, particolarmente radicata nel capoluogo. Ma c'è anche un riferimento all'ex consigliera comunale Liliana Iadarola di Fratelli d’Italia e al suo compagno Fabio Delli Carri, coinvolto nel 2014 in una inchiesta sul “racket delle mozzarelle”. E ancora si citano le istanze che, tra il 2015 e il 2021, sono state accolte dal Comune per l’assegnazione degli alloggi popolari in deroga alla graduatoria, in alcuni casi a favore di familiari di alcuni esponenti della mafia locale. Inoltre, nel capitolo relativo all’ex primo cittadino, i giudici ritengono che “sussistano nei confronti dell’ex sindaco Franco Landella collegamenti indiretti con la criminalità organizzata locale” che giustificano il provvedimento di incandidabilità.
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Gli stessi giudici spiegano che si tratta di vicende che “dimostrano come l’organo di governo comunale nulla abbia fatto dinanzi a plurime anomalie, irregolarità e malfunzionamenti della macchina amministrativa dell’ente locale – per alcune vicende che hanno avuto particolare risalto mediatico, con conseguente accresciuta sfiducia della comunità locale – per riportare l’attività dell’amministrazione sui binari della legalità, così assicurando il rispetto dei principi di legalità, imparzialità, trasparenza, buon andamento e regolare funzionamento dei servizi affidati all’ente. Il tutto al fine di alimentare la credibilità delle amministrazioni locali verso il pubblico e il rapporto di fiducia dei cittadini verso le istituzioni, in un contesto territoriale caratterizzato dalla pressante e deleteria presenza di agguerriti sodalizi mafiosi, in grado di insinuarsi subdolamente nel tessuto economico locale, tanto da avere nel tempo guadagnato l’appellativo di “mafia imprenditoriale”.
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