Carcere Lorusso e Cutugno, Torino. Foto di Marco Panzarella
Carcere Lorusso e Cutugno, Torino. Foto di Marco Panzarella

Prigioni, discarica sociale

I 54mila detenuti delle carceri italiane vivono spesso in condizioni inumane e degradanti. Molti provengono da situazioni di marginalità e disagio che la reclusione non risolve, anzi aggrava

Massimo Razz

Massimo RazziGiornalista e scrittore

31 marzo 2022


La privazione della libertà è la punizione prevista dal nostro ordinamento. Ma non è lo spazio dove affliggere una persona con punizioni diverse e aggiuntive». La frase è di Mauro Palma, garante delle persone private della libertà. Detenuti, migranti, ma anche persone allettate e private (dalla malattia e dall’età) della possibilità di essere autonome. È dunque una fragilità specifica e tremenda che le tiene insieme, le distingue dalle altre, che ci interpella su un punto dolentissimo del nostro (e non solo nostro) sistema carcerario il fatto che uno sia colpevole di un atto che la legge prevede come punibile, ci autorizza a fargli qualcos’altro che non sia privarlo della libertà di muoversi per un dato tempo? La risposta, a norma della Costituzione, è ovviamente negativa. Eppure, nella percezione generale del concetto di carcere c’è che un po' di sofferenza in più non guasta, perché «i carcerati stanno già troppo bene, tutto il giorno a non far niente, a guardare la televisione a nostre spese...».
 

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