Una sezione del carcere di Torino (foto di Marco Panzarella)
Una sezione del carcere di Torino (foto di Marco Panzarella)

Costruire una nuova cultura della pena

Il carcere serve alla comunità per proteggersi da disonesti e violenti, ma oggi legge e tecnica mettono a disposizione altri strumenti per tutelarci. Il sistema va riformato, ricordando qual è lo scopo che la Costituzione attribuisce alla condanna: educare e reinserire

Luigi Ciotti

Luigi CiottiDirettore editoriale lavialibera

13 aprile 2022

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La libertà rappresenta l’essenza, il cardine della nostra vita di esseri umani. È nella cornice di libertà collettiva garantita dalla democrazia, e grazie alla libertà individuale di cui ciascuno di noi gode, che possiamo mettere pienamente a frutto i nostri talenti, dare corpo ai nostri progetti e alle nostre speranze, sperimentare la bellezza degli affetti e assumerci responsabilità nei confronti degli altri. Ecco perché il carcere, che comporta una limitazione enorme della libertà fisica delle persone, dovrebbe in una società come la nostra rappresentare l'extrema ratio, la scelta residuale in materia penale. Purtroppo sappiamo bene che non è così.

Storicamente, al netto degli abusi punitivi dei quali ogni epoca si è macchiata, il carcere è stato pensato per allontanare dal consesso sociale chi ha commesso un crimine e potrebbe commetterne altri. Ma se la comunità ha tuttora il diritto di proteggersi dai disonesti e dai violenti, non possiamo ignorare che al giorno d’oggi la legge e la tecnica ci mettono a disposizione tanti altri strumenti per tutelarci. Soprattutto, non possiamo dimenticare lo scopo che la Costituzione attribuisce alla pena detentiva: educare e reinserire. Cioè favorire una rielaborazione del proprio vissuto, per essere pronti a tornare in società su basi nuove, con strumenti culturali e opportunità reali.

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Un sistema al collasso

In carcere dovrebbe finirci soltanto chi ha commesso colpe molto gravi, mentre le nostre prigioni scoppiano di detenuti accusati di reati anche lievi, primi fra tutti quelli legati alla legge sulle droghe. Come mai accade? Perché, se è vero che tenere le persone in prigione è oneroso sul piano economico, inserirle in percorsi esterni, più efficaci sul piano educativo, rischia di rivelarsi oneroso in termini di consenso politico e sociale. E così si tollerano tante storture, tante inadeguatezze normative e organizzative, che rischiano di anno in anno di portare il nostro sistema penitenziario al collasso.

Molte prigioni moderne si trovano nelle periferie più estreme. Talvolta vicine a discariche di rifiuti, quasi a suggerire la metafora del carcere come "discarica umana", "deposito dello scarto sociale". Sono luoghi lontani dalla vista, ma anche dalla coscienza pubblica. La società è ben felice di saperli isolati, di non doversene occupare. Per fortuna c’è chi sa bene che quelle “isole” non sono delle “terre di nessuno”, perché chi finisce in carcere rimane un cittadino a tutti gli effetti, i cui diritti valgono come quelli degli altri. Nessuna ingiustizia commessa verrà sanata attraverso un’altra ingiustizia! Penso allora con gratitudine alle tante associazioni che operano nei penitenziari di tutta Italia, alla rete dei garanti delle persone private della libertà, ai volontari, agli insegnanti, agli educatori, agli avvocati, ai cappellani, agli operatori sanitari che ogni giorno entrano a portare nelle celle diritti e speranze, e ci riportano fuori il triste spaccato di quella realtà, su cui questo numero de lavialibera prova a riflettere.

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Le difficoltà di agenti e detenuti

Ci parlano del sovraffollamento, cronico e principale problema, solo in parte e solo temporaneamente attenuato grazie alle misure straordinarie legate alla pandemia. Alcuni penitenziari arrivano ad avere un tasso di sovraffollamento vicino al 200 per cento!  Ci parlano delle condizioni poco dignitose: spazi angusti e male attrezzati, cibo di scarsa qualità, cure mediche non sempre adeguate e tempestive. Ci parlano delle quasi duemila persone condannate all’ergastolo. Su che cosa fare leva, a livello educativo, con chi comunque non ha lo stimolo di ritrovare la libertà? Ci parlano della difficoltà nell’accedere ai percorsi di studio e di lavoro, sia interni che soprattutto esterni al carcere. Ci parlano delle persone detenute tossicodipendenti: una su quattro, che raramente trovano nel passaggio in cella lo stimolo per avviare un percorso di accompagnamento e cura.

Ci parlano dei detenuti stranieri, oltre un terzo del totale, per i quali è ancora più difficile usufruire delle misure alternative, perché non hanno riferimenti abitativi e legami. Ci parlano delle fatiche, fisiche e psichiche, della polizia penitenziaria. Gli agenti sono a loro volta prigionieri! Svolgono un lavoro duro, poco riconosciuto, poco tutelato. Non sono spesso messi in condizione di rispettare gli standard di umanità e decoro che qualsiasi luogo di detenzione dovrebbe garantire. Questo ovviamente non giustifica gli abusi e gli episodi di violenza che periodicamente vengono accertati! Nessuno, neppure nel mondo chiuso del carcere, è al di sopra della legge.

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Un nuovo modello è possibile

Indignarsi come sempre non basta, bisogna intervenire, a livello normativo e organizzativo, per sanare le storture che esistono e costruire una nuova cultura della pena. Per farlo tutti dovremmo partire dal metterci nei panni dell’altro: il detenuto, il secondino, i loro famigliari. Difficile ma non impossibile, perché il carcere è un’esperienza che tutti in astratto possiamo vivere, quando più o meno volontariamente tagliamo i “ponti” che ci mantengono in comunicazione reale con gli altri.

Il primo carcere siamo noi stessi, quando cediamo all’egoismo e alla competizione. Quando ci arrocchiamo dentro identità fasulle, o ci trinceriamo dietro ai dogmi di saperi puramente tecnici. Quando ci rendiamo irraggiungibili dai dubbi, dalle emozioni e dallo stupore. L’io è una prigione dalla quale è fondamentale evadere, per tornare alla meraviglia dell’incontro con gli altri, che è poi la meraviglia della vita. Una persona che vive la propria libertà in pienezza, non potrà che impegnarsi affinché la stessa libertà sia garantita a chiunque altro, inclusi coloro che ne subiscono una temporanea limitazione.

Da lavialibera n°13 

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