Nel binomio Italia-Libia, sono raccolti decenni di relazioni internazionali complicate. Trentacinque anni di colonialismo, con il territorio libico annesso al Regno d’Italia. La crisi diplomatica del 1986, con i missili di Gheddafi puntati su Lampedusa. Gli accordi economici degli anni Novanta e 2000, parte di un processo di riappacificazione.
Oggi parlare di rapporti Italia-Libia significa discutere essenzialmente di immigrazione. Il primo tassello lo pose il Governo Berlusconi, nel 2008, con il Trattato di Bengasi, con cui la Libia si impegnava a fermare i “clandestini” in partenza dalle sue coste. L’impegno sui cosiddetti respingimenti è stato poi confermato dal Governo Monti, con l’accordo del 2012, e da quello Gentiloni, con il Memorandum firmato dal Ministro degli interni Minniti nel 2017 (poi sempre rinnovato). Un’intesa che ha sollevato forti critiche, soprattutto per il ruolo assegnato alla Guardia Costiera libica, che riceve parte dei finanziamenti italiani, e per la scoperta, nel paese africano, di centri di detenzione per migranti trasformati in veri e propri lager di tortura.