17 settembre 2024
“Ci accingiamo a chiedere la condanna dell’imputato per difendere i confini. I confini del diritto”. Così la procuratrice aggiunta di Palermo Marzia Sabella ha annunciato sabato 14 settembre la richiesta di condanna a sei anni di carcere nei confronti di Matteo Salvini, imputato con l'accusa di aver impedito per 19 giorni lo sbarco dei 147 migranti soccorsi dalla nave Open Arms nell’agosto del 2019.
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Nelle 237 pagine che compongono la memoria conclusionale, la pubblica ministera ha ricostruito in maniera dettagliata i fatti di quei 19 giorni, illustrato il quadro normativo che si applica al caso ed esposto gli elementi che portano la procura a ritenere la condotta dell’allora ministro dell’Interno illegittima.
Il primo agosto 2019, la nave umanitaria Open Arms, battente bandiera spagnola e al servizio dell’ong spagnola Proactiva Open Arms, presta soccorso a un’imbarcazione in difficoltà al largo della Libia portando in salvo 55 persone e avvisando le autorità libiche, italiane e maltesi. Qualche ora dopo, l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini dispone il “divieto di ingresso, transito e sosta nel mare territoriale nazionale” nei confronti della Open Arms tramite decreto controfirmato dai ministri della Difesa e dei Trasporti.
Nell'agosto 2019 la nave soccorre un’imbarcazione al largo della Libia salvando 55 persone. Salvini dispone il “divieto di ingresso, transito e sosta nel mare territoriale nazionale”
Nei giorni successivi, la nave effettuerà altri due salvataggi, informando costantemente le autorità e inviando diverse richieste di sbarco in un porto sicuro (place of safety), non accolte dal ministero dell’Interno nonostante la decisione del Tribunale amministrativo regionale del Lazio di sospendere il divieto d’ingresso. Al di là di alcune evacuazioni mediche e dello sbarco dei minorenni (comunque ostacolato a lungo da Salvini), i migranti saranno costretti a rimanere a bordo della Open Arms, in condizioni igienico-sanitarie e psicologiche sempre più precarie, fino a quando, il 20 agosto 2019, la procura di Agrigento ne dispone il sequestro consentendo quindi lo sbarco a Lampedusa.
Il ministro Salvini viene iscritto nel registro degli indagati della procura di Agrigento nel novembre del 2019 e nel luglio dell’anno successivo il Senato autorizza il tribunale di Palermo a procedere, passaggio necessario quando i ministri sono accusati per eventuali reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni. Sono due i reati contestati a Salvini:
Per il primo capo le pene previste vanno da sei mesi agli otto anni, da uno a dieci anni se commesso da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni. Per il secondo è prevista la reclusione da sei mesi a due anni.
La requisitoria dei pm riporta il quadro ormai condiviso e consolidato nel diritto internazionale circa “l’obbligo universale di salvare le vite umane, senza che abbia rilievo la zona di mare in cui sorge la necessità di un intervento funzionale al soccorso e se l’azione sia svolta da mezzi statali o privati”.
In particolare, sono di rilievo:
È proprio sulla Convenzione sul diritto del mare che Salvini si è appoggiato per giustificare il divieto d’ingresso, in quanto questa consente il passaggio inoffensivo delle navi. Secondo il ministro, invece, l’attività della Open Arms si configurerebbe come “non inoffensiva” perché “finalizzata al trasferimento sul territorio italiano di migranti irregolari in violazione delle leggi vigenti in materia di immigrazione, privi altresì di documenti di identità e provenienti in parte da paesi stranieri a rischio terrorismo”. Tesi rifiutata dai pm, secondo cui “finora non è mai stato dimostrato, in nessuno dei procedimenti penali in materia, un ruolo di tipo criminale delle ong impegnate in operazioni di soccorso in mare”, né “sussistevano elementi concreti di rischio collegati al terrorismo internazionale”.
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Anzi, secondo i magistrati Open Arms avrebbe agito “in conformità agli obblighi imposti ai comandanti delle navi dal diritto internazionale e della navigazione”. E se c’è stato “bighellonare”, come Salvini ha sostenuto e ribadito nel video pubblicato sui social per rispondere alle accuse (“da quel momento [Open Arms] comincia a navigare per il Mediterraneo, raccogliendo altri clandestini e puntando verso l’Italia”), è da attribuire “esclusivamente alle condotte inerti delle autorità competenti a concedere il pos, e specie a quella italiana che mai ritenne di negarlo”. In ogni caso, si legge nella requisitoria, “se in via generale uno Stato può chiudere l’accesso ai propri porti, non può farlo laddove sorgano questioni umanitarie e di rispetto degli obblighi internazionali in materia di diritti umani".
Secondo i magistrati “uno Stato non può chiudere l’accesso ai propri porti laddove sorgano questioni umanitarie e di rispetto degli obblighi internazionali in materia di diritti umani"
I pm evidenziano anche una contraddittorietà del divieto d’ingresso rispetto all’obiettivo, più volte dichiarato da Salvini, di contrastare il traffico dei migranti: “una misura di chiusura dei porti comporta, inevitabilmente, il divieto di sbarco da un’imbarcazione anche per eventuali autori di crimini come il traffico dei migranti, determinandosi una violazione dell’obbligo internazionale di punire tali autori”.
La vicenda Open Arms è emblematica della torsione del diritto e delle pratiche istituzionali impressa da Salvini durante il suo mandato al Viminale, con l’obiettivo di contrastare l’immigrazione. Il divieto d’ingresso emesso contro la nave spagnola ha applicato per la prima volta l’articolo 1 del cosiddetto “decreto sicurezza bis” varato dal governo Conte I nel giugno del 2019, che attribuisce al ministro dell’Interno il potere di “limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica” o in caso di violazioni delle leggi sull’immigrazione.
Norma che già “rivelava profili di incostituzionalità”, sottolineano i pm, e su cui lo stesso presidente Sergio Mattarella aveva evidenziato “rilevanti perplessità”. L’intervento normativo era stato preceduto da una modifica delle prassi relative al soccorso in mare decisa durante un tavolo tecnico nel febbraio del 2019, che ha accentrato i poteri di attribuzione del place of safety al Viminale e introdotto la distinzione - “estranea alla normativa sul salvataggio”, sottolineano i pm - tra “evento Sar” (ricerca e salvataggio) e “fenomeno immigrazione clandestina”.
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Un “disordine istituzionale” emerso chiaramente con il rifiuto dei ministri della difesa e delle infrastrutture di controfirmare un secondo divieto d’ingresso nei confronti della Open Arms che, scrivono i pm, "consegna plasticamente la figura di un ministro dell'Interno che procede in direzione opposta rispetto a tutte le altre istituzioni, interne e internazionali, scomponendo il complessivo puzzle ordinamentale democratico che, così privato di una delle sue tessere fondamentali, cioè la tutela dei diritti dell’uomo in occasione di eventi Sar, perdeva la sua stessa identità".
In conclusione, scrivono i pm, “il concreto scopo del decreto interdittivo (emesso da Salvini, ndr) va ben oltre quello per cui la norma citata gli attribuiva il potere di vietare l'ingresso e, cioè, la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica”, ma era invece quello di “proseguire ad oltranza la politica dei porti chiusi anche contra ius”. E ancora, “le intenzioni del ministro dell’Interno erano quelle di sottrarsi pretestuosamente ai suoi doveri concernenti il rilascio del pos piegando, a tal fine, l’interpretazione delle norme alla sua visione politica dei fenomeni migratori”.
Sulla vicenda processuale è intervenuta la premier Giorgia Meloni, che su X ha manifestato “totale solidarietà” al compagno di governo: “È incredibile che un ministro della Repubblica Italiana rischi sei anni di carcere per aver svolto il proprio lavoro difendendo i confini della Nazione, così come richiesto dal mandato ricevuto dai cittadini. Trasformare in un crimine il dovere di proteggere i confini italiani dall’immigrazione illegale è un precedente gravissimo”.
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Parole simili sono arrivate anche dall’attuale ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, all’epoca dei fatti capo di gabinetto di Salvini, e dal guardasigilli Carlo Nordio, che ha espresso “piena e affettuosa solidarietà al collega Salvini”, rimandando a quanto da lui scritto prima di diventare ministro (il 25 ottobre 2021 su Il Messaggero definiva il processo un “pasticcio giudiziario”).
La premier Giorgia Meloni e i ministri Matteo Piantedosi e Carlo Nordio hanno espresso la loro solidarietà a Salvini: "Ha difeso i confini della nostra Nazione"
Dichiarazioni che hanno suscitato la reazione dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), la cui giunta esecutiva ha denunciato in un comunicato “indebite forme di pressione sui magistrati giudicanti”: “Sono state rivolte nei confronti di rappresentanti dello Stato nella pubblica accusa insinuazioni di uso politico della giustizia e reazioni scomposte, anche da parte di esponenti politici e di governo. Sono dichiarazioni gravi, non consone alle funzioni esercitate, in aperta violazione del principio di separazione dei poteri, indifferenti alle regole che disciplinano il processo, che minano la fiducia nelle istituzioni democratiche”.
L’arringa della difesa, come ha dichiarato l’avvocata di Salvini Giulia Bongiorno, è prevista il prossimo 18 ottobre. Per la sentenza, poi, bisognerà attendere qualche ulteriore settimana.
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