21 settembre 2022
La disumanizzazione del soccorso umanitario in Italia è un processo politico sostenuto dalla maggior parte dei paesi membri della Fortezza Europa, un’operazione strategica di contrasto alla migrazione internazionale che non tiene volutamente conto del reale problema da cui partire: le rotte migratorie attraverso cui queste persone si muovono. Il Mediterraneo, la rotta atlantica e quella balcanica sono i tre accessi indiretti verso l’Europa e gli unici che un cittadino sprovvisto di passaporto o visto sa, in questo caso, di percorrere illegalmente.
Il Global Passport Power Rank 2022 mostra che più un Paese è forte sul piano geopolitico, più il suo cittadino potrà accedere senza difficoltà al passaporto o visto. Non è un caso che gli ultimi posti della classifica siano occupati da Afghanistan, Siria, Iraq, Somalia, Pakistan, Yemen, Palestina, Nord Corea, Libia e Bangladesh
Nell’attuale deriva sovranista e populista italiana, trova ampio spazio la linea securitaria, ovvero la difesa e la sicurezza dei confini nazionali in nome di una sovranità in affanno nell’epoca della globalizzazione. Lo provano l’esternalizzazione delle frontiere e la loro militarizzazione, la violazione sistemica delle convenzioni previste dal diritto internazionale e quindi la violazione dei diritti umani nei confronti delle persone in movimento.
Disumanizzare il soccorso contrasta i migranti senza tener conto del vero problema criminale
Il primo caso che allarma l’opinione pubblica italiana ed europea sulla liceità del soccorso umanitario in mare risale al 2004. È il 20 giugno, quando l’ong tedesca Cap Anamur soccorre 37 naufraghi da un gommone alla deriva a Sud di Lampedusa. Dopo 20 giorni in attesa di un porto sicuro, il mercantile forza l’entrata nelle acque territoriali italiane e attracca a Porto Empedocle (Ag). Il trasferimento dei naufraghi al Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Pian del Lago (Caltanissetta), la loro successiva deportazione in Nigeria e in Ghana, e l’accusa di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina per il comandante preannunciarono la strumentalizzazione politica dei flussi migratori del ventennio successivo.
Nel 2014 il governo italiano finanzia la missione militare Mare Nostrum con l’obiettivo di intervenire nell’emergenza umanitaria di chi parte dalla Libia ed è ad alto rischio naufragio nel mar Mediterraneo. L’operazione dura un anno, con un bilancio di 563 soccorsi e 101 mila persone messe in salvo. Ma – a fronte dell’insostenibilità economica della missione e data la valutazione dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex) secondo cui l’esistenza di Mare Nostrum avrebbe costituito un fattore incentivante per le partenze – l’Italia sceglie di concluderla.
Il 1° novembre 2014 il nostro Paese trasferisce il suo impegno militare nella missione europea Triton che però ha un altro fine: non più il soccorso in mare, ma il presidio delle frontiere Ue con mezzi navali e aerei entro una linea di pattugliamento di trenta miglia nautiche (55,56 km) dalle coste italiane e maltesi. Il 18 maggio 2015 Triton è a sua volta affiancata da Eunavformed operazione Sophia: in questa terza fase la forza militare italiana si impegna a contrastare la criminalità organizzata dei trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo. Nel 2016 l’Unione amplia il mandato dell’operazione Sophia, introducendo la formazione della cosiddetta Guardia costiera libica. Lo scopo è soddisfare la necessità espressa dal Consiglio Ue di creare nuove forme di cooperazione con paesi terzi per arginare i flussi migratori verso l’Europa. Tuttavia, tutte le operazioni militari europee hanno partecipato a deresponsabilizzare i governi dell’Unione rispetto alle operazioni di soccorso umanitario nel mar Mediterraneo, creando un vuoto istituzionale riempito unicamente dagli interventi della flotta civile.
Il reato di solidarietà
Il 2 febbraio 2017 l’ex presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni e il primo ministro del governo di riconciliazione nazionale libico Fayez al-Sarraj sottoscrivono il Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana. L’accordo bilaterale, che porta la firma dell’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, sblocca ciclici finanziamenti italiani per il sostentamento, il rafforzamento e la formazione delle unità navali della Guardia costiera libica, legittimando l’esistenza dei centri di detenzione dei migranti distribuiti sul territorio libico.
Memorandum Italia-Libia, delle modifiche promesse non c'è traccia
Il 6 luglio del 2017 si riuniscono informalmente a Tallin i ministri della giustizia e degli interni dell’Ue: occasione in cui viene accolta con esito positivo la proposta italiana di protocollare 13 impegni che le ong impegnate nel soccorso in mare avrebbero dovuto sottoscrivere, primo fra tutti quello di "non ostacolare le attività di Search and Rescue (SAR) da parte della Guardia costiera libica". Il Codice di condotta per le ong è un testo di raccomandazioni operative prive di rango normativo. Si tratta di un strumento di soft law, che per l’analisi di Luca Masera – professore associato di diritto penale all’Università degli studi di Brescia – "non è d’altra parte per nulla casuale. Il governo è ben consapevole che l’attività delle ong deriva la propria liceità dalle numerose convenzioni internazionali che regolano il soccorso in mare e che rendono non solo lecito, ma altresì doveroso l’intervento a sostegno di qualsiasi imbarcazione che si trovi in pericolo, e il successivo sbarco dei naufraghi in un luogo sicuro. La scelta del governo si rivela idonea al conseguimento dell’obiettivo perseguito di ridurre l’operatività delle ong […]. Il numero di ong presenti nel Mediterraneo centrale diminuisce in modo costante, sino a ridursi nei primi mesi del 2018 a poche unità navali (2-3 al massimo) attive nei soccorsi".
Il 2017 inaugura una nuova stagione politica in aperto contrasto con la presenza della flotta civile nel Mediterraneo, sostenuta soprattutto dall’ex premier Matteo Salvini (Lega), da Luigi di Maio (M5S) e da alcuni procuratori della Repubblica, primo fra tutti Carmelo Zuccaro, procuratore di Catania, che svolge un ruolo incisivo nel processo di ostracizzazione del soccorso civile e di patologizzazione dei soccorsi in mare. Il procuratore etneo, a partire dall’interpretazione dell’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione, segna – come sottolinea l’avvocata penalista Serena Romano nel suo saggio L’(ab)uso del diritto penale contro le azioni di soccorso delle ong – "la nascita della nuova strategia giudiziaria del contrasto alle operazioni di soccorso in mare delle ong e con essa del battesimo, nel nostro ordinamento, del cosiddetto “reato di solidarietà”".
Il governo Conte bis si è dichiarato in contrasto con la politica dei blocchi navali di Salvini. Ma l’ha proseguita
Al primo governo Conte va imputata la crescita consensuale della nomina di Matteo Salvini a ministro dell’Interno che spende il suo mandato per varare due decreti legge in materia di sicurezza e migrazione, meglio conosciuti come decreti Salvini e Salvini-bis: il primo nell’autunno del 2018 e il secondo nell’estate del 2019. Al fine di rafforzare la politica di crimmigration in difesa dei confini nazionali, violando sistematicamente la Convenzione di Amburgo sulla ricerca e salvataggio marittimo (1979) e la Convenzione di Ginevra (1951), il decreto Salvini-bis rafforza il potere di interdizione e introduce un apparato sanzionatorio molto severo in caso di trasgressione del divieto di ingresso, transito o sosta delle navi della flotta civile delle ong nelle acque territoriali. Il decreto non avrà lunga vita e verrà abrogato nell’autunno 2020.
Il secondo governo Conte si dice da subito in contrasto con le precedenti scelte politiche in materia di sicurezza e migrazione. Eppure, non risulta operare diversamente dalla logica dei porti chiusi e dei blocchi navali, nonostante la nuova nomina di Luciana Lamorgese a ministra dell’Interno e l’abrogazione del decreto Salvini-bis. Il decreto ministeriale numero 150 del 7 aprile 2020 dichiara i porti italiani non sicuri durante l’intero stato d’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, inaugurando una nuova forma di reclusione per le persone in movimento: le navi quarantena. La riforma Lamorgese del decreto Salvini abrogato, invece, ne va a confermare il meccanismo sanzionatorio, prevedendo persino pene più severe. Per concludere, il governo Draghi si nasconde dietro i respingimenti per procura portati avanti dalle guardie costiere di paesi terzi nei confronti dei migranti che percorrono tanto la rotta marittima quanto quella terrestre.
Viaggio nell'Europa dei muri che teme le migrazioni
Tutte politiche che ignorano la storica sentenza Hirsi del 2012, con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per un respingimento illegale verso la Libia effettuato nel Mediterraneo nel 2009. Circa 200 migranti intercettati da motovedette militari italiane nella zona di ricerca e soccorso maltese erano stati ricondotti a Tripoli, nonostante fosse noto che il paese nordafricano – dopo la caduta di Gheddafi – stesse attraversando un periodo di instabilità politica e sociale tale da non garantire una condizione di protezione e sicurezza per i migranti in transito.
Nell’ultimo decennio è stato più volte chiesto agli Stati membri di rispondere per omissioni di soccorso nel mar Mediterraneo, mettendo agli atti che i naufragi non sono tragedie ma crimini contro l’umanità. Sono nati movimenti della società civile italiana ed europea pronti a ricordare che il sistema di tutela dei diritti fondamentali non ha applicazione arbitraria e che lasciare le persone morire alle proprie frontiere è eticamente insostenibile per una società democratica, aperta e fraterna. Condanne e denunce cadute nel vuoto, mentre la solidarietà è ancora sotto accusa.
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