21 giugno 2024
Sarebbe bastato approfondire, contestualizzare e mettere insieme tutte le informazioni, recuperabili con facilità, per capire che la nave della organizzazione tedesca Jugend Rettet – Iuventa – non aveva favorito l'immigrazione clandestina, né avuto legami con i trafficanti libici.Aveva solo salvato vite. Eppure la polizia giudiziaria ha "concentrato l'attenzione e valorizzato oltremodo aspetti di portata dimostrativa limitata" e da dati "del tutto incerti e privi di significato univoco" sviluppato "valutazioni e raggiunto conclusioni certe".
La polizia giudiziaria ha "concentrato l'attenzione e valorizzato oltremodo aspetti di portata dimostrativa limitata" e da dati "del tutto incerti e privi di significato univoco" sviluppato "valutazioni e raggiunto conclusioni certe", dice il gup di Trapani
È quanto emerge dalla sentenza con cui il giudice per l'udienza preliminare (gup) di Trapani, Samuele Corso, ha disposto il "non luogo a procedere" nel processo contro Jugend Rettet e le altre due Ong coinvolte – Save the children e Medici senza frontiere – accertando "l'insussistenza, sul piano oggettivo e materiale, delle condotte contestate che non possono essere ricondotte nello schema tipico delle fattispecie di reato". Il fatto, quindi, "non sussiste".
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Il caso Iuventa è stato il primo, nel suo genere, ad arrivare in fase di udienza preliminare. Un processo da studiare per comprendere come venga portata avanti la criminalizzazione delle organizzazioni non governative (Ong) che aiutano i migranti. Su di loro vengono aperte inchieste, poi archiviate. A finire spesso sotto accusa sono anche gli stessi migranti: secondo Arci Porco Rosso di Palermo, negli ultimi dieci anni oltre 3.200 persone sono state arrestate nelle fasi successive agli sbarchi per favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Nel Mediterraneo – intanto – si continua a morire. Stando alle stime dell'Organizzazione delle nazioni unite, rilanciate ieri, si contano quasi cinque annegati al giorno. Un duplice naufragio avvenuto nei giorni scorsi sulle rotte Turchia-Calabria e Libia-Sicilia ha contato decine di vittime, tra cui molti bambini. A marzo, invece, 17 persone sono affondate nel tentativo di raggiungere la Sardegna, partendo dalla Tunisia. Alcuni dei loro cadaveri sono stati trovati tra le isole Eolie e la Sicilia dopo settimane, in avanzato stato di decomposizione, ma la notizia è stata per lo più relegata ai giornali locali.
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Di contro, prosegue il processo a carico del leader leghista Matteo Salvini per il sequestro dei profughi soccorsi dall'ong spagnola Open Arms. I fatti risalgono ad agosto 2019, quando la “mission 65” dell’Ong salvò 163 persone nella zona Sar (search and reascue) libica e poi fece richiesta di sbarco a Malta, che rispose negativamente, e all’Italia. Il 1 agosto l’ex ministro dell'Interno rifiutò con decreto l’ingresso della nave “nel mare territoriale nazionale” e continuò a negare lo sbarco anche dopo la decisione del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, a cui Open Arms aveva presentato ricorso, di sospendere il divieto e concedere l’ingresso in acque territoriali vista la situazione di “eccezionale gravità e urgenza”. La situazione di stallo andò avanti, nel complesso, per 19 giorni.
Un caso che oggi coinvolge anche la Iuventa. Nei giorni scorsi i pubblici ministeri della procura di Palermo hanno chiesto di sentire come testimoni tre ex agenti di sicurezza che avevano collezionato parte del materiale sfruttato per poi accusare le tre ong: "Infiltrati che registravano quanto accadeva a bordo per riferire e che in cambio delle informazioni chiedevano posti di lavoro", ha detto la procuratrice aggiunta Marzia Sabella, che rappresenta la pubblica accusa contro l'attuale ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, nel corso del processo di Palermo.
Ciò che più dispiace a Sascha Girke è il destino della barca. Oggi che il gup ne ha disposto il dissequestro è impossibile rimetterla in mare. "Per anni è stata lasciata alle intemperie, senza manutenzione né sorveglianza. Ha subito ripetuti furti, atti di vandalismo, ed è talmente danneggiata che lo scorso anno stava per affondare", dice a lavialibera Girke. Classe 1979, all'epoca dei fatti, Girke era uno dei capitani della missione Iuventa finiti sotto accusa. Un processo che per lui è stato molto pesante, a vari livelli. Uno riguarda la lunghezza del procedimento, che sapeva lo avrebbe tenuto occupato per molto tempo, "ma non con esattezza quando sarebbe finito". In primis, però, c'è stata la dimensione che l'attivista definisce "politica", dimostrata "dalla costituzione dello Stato italiano, nella persona della premier Giorgia Meloni, come parte civile". "Abbiamo dovuto difenderci dall'accusa di aver danneggiato il Paese, su un piano sia d'immagine sia materiale", precisa Girke, aggiungendo che "per ogni migrante salvato è stato calcolato un danno di circa 15mila euro. La nostra unica colpa è stata soccorrere in mare quante più vite possibile. Una follia che possa essere considerato un reato".
"Per anni Iuventa è stata lasciata alle intemperie, senza manutenzione né sorveglianza. Ha subito ripetuti furti, atti di vandalismo, ed è talmente danneggiata che lo scorso anno stava per affondare", Sascha Girke - uno dei capitani della Iuventa
Il processo è cominciato nel maggio del 2022, dopo un'indagine lunga quattro anni. All'inizio contava 24 indagati tra persone fisiche e associazioni: oltre Jugend Rettet, sono state coinvolte anche le Ong Medici senza frontiere (Msf) e Save the children. Tutte accusate di favoreggiamento all'immigrazione clandestina per dei fatti successi tra l'estate del 2016 e quella del 2017. In alcuni casi la polizia giudiziaria si è spinta oltre, parlando di una potenziale collusione tra Ong e trafficanti di esseri umani in Libia, secondi fini di natura promozionale ed economica.
Data la portata del processo, considerato simbolico, e temendo una violazione dei diritti degli imputati, alle udienze hanno partecipato diversi osservatori internazionali. Un punto critico è stato garantire assistenza linguistica adeguata agli indagati non italiani. "Si tratta di un problema sistemico del procedimento penale italiano: la competenza di traduttori e/o interpreti che si iscrivono nelle liste dei tribunali, e poi vengono utilizzati nel corso dei processi, non è valutata in alcun modo", spiega a lavialibera Nicola Canestrini, avvocato di Iuventa.
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Ma il problema è stato a monte, come rileva oggi il gup Samuele Corso. L'accusa, infatti, è stata fondata sui dati che emergono, citando la procura, dai "laconici brogliacci" della centrale operativa dell'Italian maritime rescue coordination center (Imrcc), cioè il corpo centrale della capitaneria di porto, e dalle sue "sintetiche schede Sar". Mentre non sono state acquisite, "né adeguatamente valorizzate", altre informazioni. Come le registrazioni delle comunicazioni telefoniche tra l'Imrcc e gli assetti navali coinvolti nei vari eventi Sar, e i dati di posizionamento e di tracciamento delle navi intervenute o presenti in occasione delle operazioni di soccorso dei migranti. Insomma, mancavano "informazioni aggiuntive e complete che consentissero di esaminare in una visione d'insieme i singoli eventi e di verificare le condotte dei protagonisti di ciascuna vicenda".
Qualche esempio delle conseguenze: è risultata "spesso smentita" la contestazione mossa contro le Ong di aver tracciato "rotte e posizionamenti degli assetti navali in totale autonomia e autodeterminazione" rispetto all'Imrcc. Analizzando le comunicazioni telefoniche con le navi Iuventa, Vos Hestia e Vos Prudence emerge invece che "le operazioni di soccorso sono state sempre disposte dall'Imrcc", nonché "svolte sotto la sua direzione e il suo costante coordinamento". Confusione è stata fatta anche nell'annotare la successione temporale degli eventi: la polizia giudiziaria non ha considerato i diversi fusi orari dei luoghi in cui si trovavano i soggetti coinvolti, facendo emergere una ricostruzione dei fatti che non corrisponde alla realtà. E ancora: in un episodio, l'equipaggio della Iuventa si sarebbe reso colpevole di non aver allontanato dei cosiddetti "pescatori di motori" che avevano recuperato il motore di un gommone soccorso. Mancata opposizione che, però, dice Corso "va inquadrata nel contesto": questi soggetti avrebbero potuto essere armati e reagire con manovre improvvise, mettendo a rischio la vita delle persone a bordo del gommone.
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"Sul piano oggettivo e materiale la direzione delle condotte non risulta affatto correlata all'ingresso illegale in Italia dei migranti, ma va inquadrata nello specifico contesto delle operazioni di soccorso. Con particolare riferimento alle operazioni di soccorso va osservato come l'obbligo di soccorso in mare sia previsto dal diritto consuetudinario internazionale, da numerose convenzioni internazionali e dal diritto interno", conclude il tribunale di Trapani, soffermandosi sulle condizioni in cui si trovano queste persone in Libia e, in particolare, nei centri di detenzione descritti come "infernali", e dove gli abusi sono documentati da fonti plurime.
Fondamentali per l'accusa sono state le informazioni fornite da tre ex agenti di sicurezza, assunti da Save the children, che ora saranno ascoltati anche nel processo contro Salvini: Floriana Balestra, Pietro Gallo e Lucio Montanino. "Invece di informare degli eventuali illeciti (mai provati) chi di dovere, contattarono la Lega e direttamente Salvini a cui fornivano documenti, filmati e registrazioni per avere vantaggi. Tutti questi elementi risultano dalle intercettazioni", ha evidenziato la procuratrice Marzia Sabella. "Abbiamo fatto un bel lavoro", "ci deve piazzare da qualche parte", dicevano nelle conversazioni tra loro.
"Se si estrapolano degli elementi fattuali dal contesto e si combinano con informazioni che non c’entrano nulla, si fa una ricostruzione falsa che porta a conclusioni sbagliate” Lorenzo Pezzani - ricercatore, intervistato da Internazionale
Viceversa, un contributo, per Girke, "fondamentale" a smentire le accuse è stato fornito dall'open source intelligence (Osint), cioè dall'analisi condotta da ricercatori e giornalisti grazie a fonti aperte. In particolare, nel 2018 uno studio durato otto mesi e firmato da Forensic Architecture, un gruppo di ricerca dell’università di Londra, ha dimostrato che il 18 giugno 2017 la nave Iuventa non ha riconsegnato alcuna barca ai trafficanti, come sostenuto dall'accusa, portando a proprio supporto alcune foto, e sottolineando che quella stessa imbarcazione è poi stata sfruttata per un altro episodio migratorio. Al contrario, la stava allontanando mentre non c’erano trafficanti in vista: un'operazione comune durante i salvataggi e che serve a non intralciare i soccorsi.
Intervistato da Internazionale, Lorenzo Pezzani, uno dei ricercatori coinvolti nello studio, aveva spiegato: "Se si estrapolano degli elementi fattuali dal contesto e si combinano con informazioni che non c’entrano nulla, si fa una ricostruzione falsa che porta a conclusioni sbagliate”.
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