1 ottobre 2020
Tecniche di sorveglianza e strumenti tecnologici sempre più avanzati sono oggi intimamente legati al controllo dei flussi migratori e causa di discriminazioni e violazioni di diritti e dignità. Eppure tutto questo continua ad accadere con poco controllo, spesso in un vuoto legislativo e quasi sempre con pochissima comprensione delle tecnologie e dell’impatto che hanno sulle persone e sulle comunità coinvolte, alla frontiera e oltre. Il risultato è che chi migra perde la possibilità di avere il controllo sui propri movimenti e sulle proprie scelte. Subisce le conseguenze delle decisioni di sistemi, considerati innovativi, ma in realtà opachi e fintamente efficienti. Ecco dieci tra gli strumenti più utilizzati e i rischi che comportano.
Perché i muri non fermeranno le migrazioni
Ogni interazione che un immigrato ha con le autorità pubbliche richiede la raccolta e l'elaborazione di dati personali. Un flusso che pone gli interessati in una condizione di sorveglianza quasi costante
Ogni interazione che un immigrato ha con le autorità pubbliche richiede la raccolta e l'elaborazione di dati personali. Un flusso che pone gli interessati in una condizione di sorveglianza quasi costante. Un esempio di questo sistema portato all’estremo è stato messo in atto dal governo inglese negli ultimi anni e punta a rendere il Paese inospitale per gli immigrati spingendoli a partire, a non tentare il viaggio o il trasferimento. Misure che potrebbero presto riguardare anche i cittadini dell’Unione europea. Con una serie di accordi non pubblici, il ministero dell’Interno del Regno Unito ha chiesto i dati personali in possesso di ospedali, scuole, centri per l’impiego e li ha usati per risalire a immigrati – adulti e bambini – che potenzialmente non hanno adeguati documenti. Tutti dovrebbero essere in grado di accedere ai servizi essenziali come scuola e salute senza timore delle conseguenze. C’è un urgente bisogno di regolamentare e monitorare le entità – pubbliche e private – coinvolte nella raccolta, analisi e utilizzo di dati e assicurarsi che rispettino principi e standard in materia di protezione dei dati personali, oltre che di diritti umani.
Viaggio nell'Europa dei muri che teme le migrazioni
I governi usano le informazioni contenute nei cellulari come strumenti di verifica dell’identità e delle informazioni date dai richiedenti asilo: un’attività possibile grazie a strumenti che consentono l’estrazione di dati dagli smartphone, inclusi contatti, chiamate, messaggi e geolocalizzazione. Si tratta però di una pratica che interferisce con il diritto alla privacy e non si può considerare necessaria né proporzionale, due requisiti essenziali quando si parla di trattamento dei dati personali. Inoltre, non si può considerare attendibile ed è spesso viziata da pregiudizi e poca conoscenza del fenomeno migratorio: i telefoni possono essere persi, scambiati, condivisi da molte persone in diversi momenti del percorso. Usare questa tecnica per confutare le affermazioni di un richiedente asilo è inefficace. Germania, Danimarca, Austria, Norvegia, Belgio e Regno Unito sono tra i paesi che si sono dotati di leggi per prelevare e analizzare dati come parte delle procedure di asilo. Ma attenzione: queste tecnologie vengono progressivamente usate anche dalle forze di polizia nell’esercizio delle loro quotidiane funzioni.
L’estrazione di dati dal cellulare fa parte di un trend più ampio di strumenti di sorveglianza usati su migranti e rifugiati che spesso ha basi scientifiche dubbie. In Europa questo comprende anche l’uso di tecnologie che sarebbero in grado di stabilire, ad esempio, se una persona sta mentendo basandosi sull’analisi di “microespressioni”, o se proviene effettivamente dal Paese che dichiara (attraverso l'analisi della voce), o ancora, se ha detto correttamente la propria età (basandosi sulla struttura ossea). Il programma di ricerca e innovazione dell’Unione europea "Horizon 2020" ha finanziato, tra gli altri, iBorderCtrl definito come “un progetto innovativo con l’obiettivo di permettere un controllo delle frontiere più rapido e accurato”. Secondo la descrizione, tra le varie caratteristiche, lo strumento ha la capacità di smascherare i bugiardi. Ma i risultati ottenuti fino ad ora sono del tutto inattendibili, come dimostrato da indagini giornalistiche.
Gli strumenti hi-tech usati alle frontiere hanno spesso basi scientifiche dubbie
La social media intelligence è un insieme di tecniche e tecnologie che consentono ad aziende o governi di monitorare social network come Facebook o Twitter. Nel contesto del controllo del fenomeno migratorio, alcune di queste attivita sono condotte direttamente dai governi ma in alcuni casi le aziende sono chiamate a fornire i loro strumenti avanzati o addirittura a condurle in modo diretto. Nel settembre 2019, Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, ha pubblicato un bando per 400mila euro. Obiettivo: monitorare persone sui social media. Target: migranti, società civile, comunità della diaspora. Dopo che Privacy International ha chiesto se il progetto fosse passato attraverso i necessari controlli per garantirne la legittimità, Frontex ha rimosso il bando. Ma non ha mai risposto alle nostre domande.
I software di polizia predittiva sono usati dalle forze dell’ordine per stabilire dove e quando un crimine potrebbe avere luogo e chi ha maggiori probabilità di commetterlo. Questi programmi vengono creati attraverso algoritmi che analizzano serie di dati storici: un'analisi può indicare aree ad alto tasso di criminalità o in cui sono stati riportati alcuni tipi di reato. Potremmo essere tentati dal considerare questi programmi come neutrali – è tecnologia, in fin dei conti – ma non è così: i dati sono incompleti e viziati da stereotipi, tanto che finiscono per alimentare pregiudizi nel sistema giudiziaro. Il risultato è un circolo vizioso per cui, ad esempio, si inviano forze di polizia a pattugliare in modo sproporzionato al bisogno dei quartieri più poveri o con un maggior numero di immigrati, creando un contesto di paura. Spesso questi software non sono regolati da leggi precise, rendendo difficile capirne il funzionamento e metterlo in discussione. Inoltre, così come per il monitoraggio dei social media, sapere di essere potenzialmente sotto controllo spinge all’autocensura e può portare a evitare certi posti nel nostro quartiere o cambiare abitudini.
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Nella gestione dei processi migratori vediamo un utilizzo semprse maggiore di dati biometrici, cioè relativi a una o più caratteristiche fisiche e/o comportamentali. Un esempio è Eurodac, il database europeo delle impronte digitali per coloro che richiedono asilo politico e per le persone fermate mentre varcano irregolarmente una frontiera esterna dell'Unione europea. È utilizzato per confrontare le impronte e determinare quale stato membro sia responsabile per la gestione della relativa domanda di asilo in accordo con il cosiddetto regolamento di Dublino. La recente proposta della Commissione europea per un nuovo Patto su asilo e migrazione include una proposta per ampliarlo. Ma gli errori e le incoerenze in questi sistemi, spesso caratterizzati dalla totale assenza di trasparenza, possono creare enormi problemi che colpiscono di più le persone di determinate etnie ed età.
Con riconoscimento facciale indichiamo sistemi che raccolgono e analizzano dati biometrici relativi al volto di una persona. La raccolta di queste immagini permette di confrontarle con elementi contenuti in vari database contenenti immagini ottenute da altre fonti, nel tentativo di trovare un riscontro. Uno degli obiettivi è identificare qualcuno. Il vasto utilizzo di questo strumento, estremamente invasivo, da parte di polizia e aziende private ha rivoluzionato il modo di controllare e monitorare la nostra società, in particolare le minoranze etniche: il riconoscimento facciale presenta infatti tassi molto elevati di errore (in alcuni casi fino al 95 per cento) per questi gruppi che, di conseguenza, hanno spesso subito una pervasiva presenza della polizia nelle loro comunità.
L’espressione intelligenza artificiale è usata per indicare una vasta gamma di applicazioni e tecniche con vari livelli di complessità e autonomia. La mancanza di una chiara definizione è una grossa sfida: differenti tipi di intelligenza artificiale presentano diversi problemi etici e di regolamentazione, e possono ledere il diritto alla privacy e altri diritti fondamentali in molti modi diversi. La tecnologia può essere utilizzata per identificare persone che vogliono rimanere anonime, profilare persone usando dati su scala nazionale, e prendere decisioni sulla vita di ognuno di noi. Questi strumenti sono utilizzati nel contesto migratorio in molti modi: dall’assegnazione di un visto all'identificazione di rifugiati in contesti sensibili.
In questo contesto, aziende che si occupano di sicurezza giocano un ruolo essenziale, fornendo una vasta gamma di "soluzioni" tecnologiche e servizi ai governi di tutto il mondo. L’Ice, l’agenzia per il controllo dell’immigrazione al centro delle politiche "tolleranza zero" dell’amministrazione Trump su immigrazione e separazione delle famiglie, ha utilizzato per anni aziende che producono sistemi di sorveglianza capaci di intercettare le comunicazioni in tutti gli Stati Uniti.
Con esternalizzazione dei confini indichiamo varie modalità con cui Paesi occidentali trasferiscono le responsabilità del controllo delle frontiere a Stati considerati snodi fondamentali dei flussi migratori, con il dichiarato obiettivo di fermarli o limitarli quanto più possibile. Le modalità comprendono, tra le altre, l’esportazione di tecnologie e formazione a forze di polizia o di confine, grazie a strumenti finanziari ad hoc come il controverso accordo Eu-Turchia, o il Fondo Fiduciario per l’Africa.
Inoltre, molti Paesi con competenze avanzate in ambito di difesa e sicurezza trasferiscono competenza e strumenti a governi e agenzie in tutto il mondo, inclusi alcuni tra i regimi più autoritari. Cina, Unione europea e governi nazionali, Israele, Stati Uniti e Russia sono tra i principali attori di queste dinamiche insieme all’industria globale della sorveglianza. Questi processi facilitano la violazione dei diritti umani e la corruzione, rinforzano e legittimano regimi autoritari. Infine, dirottano fondi e risorse destinati allo sviluppo verso aziende di sicurezza o che producono strumenti di sorveglianza.
*La versione integrale di questo articolo è stata pubblicata in inglese sul sito di Privacy International, organizzazione no-profit per la tutela della privacy
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