Le immagini che riprendono l'equipaggio della Iuventa allontanare delle imbarcazioni
Le immagini che riprendono l'equipaggio della Iuventa allontanare delle imbarcazioni

Il caso Iuventa e la criminalizzazione della solidarietà

È in corso a Trapani il processo Iuventa, il primo contro le ong ad arrivare in fase di udienza preliminare. Ma si basa su prove in parte già smentite e ci sono preoccupazioni sulla possibile violazione delle garanzie procedurali

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

14 febbraio 2023

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La criminalizzazione delle ong che aiutano i migranti, portata avanti dal governo italiano, è testimoniata anche dalle molte inchieste aperte ai loro danni per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e che in genere vengono archiviate. Come nel caso di Gian Andrea Franchi, 85 anni, fondatore insieme a Lorena Fornasir di Linea d'ombra, un'associazione che cura i piedi dei migranti in arrivo a Trieste dalla rotta balcanica, che era stato accusato di aver collaborato con un'organizzazione di trafficanti.

Così la politica ha criminalizzato i soccorsi in mare 

"Ci sono gravi preoccupazioni in merito alle violazioni delle garanzie procedurali che sono state commesse finora nel caso, sia nelle indagini che nelle udienze preliminari" Giulia Tranchina - ricercatrice di Human rights watch

Il primo processo di questo tipo ad arrivare alla fase dell'udienza preliminare, davanti al tribunale di Trapani, è il cosiddetto caso Iuventa, la nave della organizzazione tedesca Jugend Rettet. In realtà l'indagine coinvolge anche altre due organizzazioni, Medici senza frontiere e Save the Children, attive nel Mediterraneo fra l’estate del 2016 e l’estate del 2017. In totale gli indagati, tra persone fisiche (21) e associazioni (3), sono 24. L'accusa è di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina: per i magistrati, le ong avrebbero avuto legami con i trafficanti libici, oltre a interessi di natura economica e promozionale nei soccorsi in mare. Un processo seguito con attenzione da diverse organizzazioni internazionali, tra cui Human rights watch (Hrw). "Ci sono gravi preoccupazioni in merito alle violazioni delle garanzie procedurali che sono state commesse finora nel caso, sia nelle indagini che nelle udienze preliminari, che rischiano di violare i diritti fondamentali degli imputati a un processo giusto e equo", commenta Giulia Tranchina, ricercatrice dell'organizzazione.  

Assistenza linguistica inadeguata

Uno punto critico, sollevato anche dalla difesa della Iuventa: garantire assistenza linguistica adeguata agli indagati che non sono di lingua italiana. "Si tratta di un problema sistemico del procedimento penale italiano perché la competenza di traduttori e/o interpreti che si iscrivono nelle liste dei tribunali, e poi vengono utilizzati nel corso dei processi, non è valutata in alcun modo", spiega Nicola Canestrini, avvocato di Iuventa, aggiungendo che traduttori e interpreti guadagnano 14 euro lordi per le prime due ore e poi appena sette.

Decreto Meloni, le ong: "Continueremo a salvare vite in mare"

Nell'ultima udienza che si è svolta l'11 febbraio 2023, però, il tribunale ha respinto l'obiezione della ong per cui la qualità dell'interpretazione durante gli interrogatori era stata insufficiente. Il giudice per l'udienza preliminare ha ammesso che sono stati commessi molti errori, ma ha ritenuto che possono essere considerati “mere irregolarità”: il significato complessivo delle traduzioni sarebbe stato sufficiente a garantire una generale equità. Ma – aggiunge l'avvocato – la carenza riguarda anche gli atti processuali: "Delle 27mila pagine dell'inchiesta, ci hanno fornito una traduzione solo di un riassunto della polizia giudiziaria di circa 600 pagine: mancano tutte le dichiarazioni accusatorie, come le testimonianze di un agente sotto copertura e quelle della persona che ha fatto scattare l'inchiesta".

Le prove già smentite

"Le ong danno fastidio perché pongono lo Stato davanti a una sua lacuna: soccorrere le persone in mare sarebbe un suo obbligo. Il punto centrale del processo è solo uno: possiamo considerare reato salvare una persona che sta affogando" Nicola Canestrini - avvocato

Inoltre, l'inchiesta si basa su prove già in parte smentite. Come si legge nel decreto di sequestro della nave (riportato da Il Post), il 18 giugno 2017 alcuni membri dell’equipaggio della Iuventa avrebbero riconsegnato tre barche "ai trafficanti libici, una delle quali – quella contrassegnata con le lettere KK – veniva poi riutilizzata in un altro fenomeno migratorio in data 26.6.2017". Ma nel 2018 un'analisi di Forensic Architecture, un gruppo di ricerca dell’università di Londra, ha dimostrato che la nave non stava riconsegnando la barca ai trafficanti, come sembrava da alcune foto diffuse dalla polizia italiana. La stava allontanando mentre non c’era alcuna imbarcazione dei trafficanti in vista: un'operazione comune durante i salvataggi e che serve a non intralciare i soccorsi. Le prove dei rapporti con i libici, invece – secondo Canestrini –, "non esistono", così come falsa è l'accusa che vuole che gli operatori a bordo delle navi fossero pagati: "Erano tutti volontari”, dice. Per l’avvocato si tratta di un processo politico, "come dimostra il fatto che il governo italiano, nella figura della premier Giorgia Meloni, ha deciso di costituirsi parte civile: uno dei rari casi nella storia. Le ong danno fastidio perché pongono lo Stato davanti a una sua lacuna: soccorrere le persone in mare sarebbe un suo obbligo. Il punto centrale del processo è solo uno: possiamo considerare reato salvare una persona che sta affogando?".

"In questo contesto  – aggiunge Tranchina –, l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è del tutto illegittima e strumentale solo a criminalizzare operazioni di soccorso in mare che rispettano pienamente le regole e gli obblighi del diritto internazionale, ripetutamente ignorati invece dalle autorità italiane".

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