Il soccorso effettuato ieri dalla Geo Barents, la nave di Medici senza frontiere. Credits: Geo Barents
Il soccorso effettuato ieri dalla Geo Barents, la nave di Medici senza frontiere. Credits: Geo Barents

Decreto Meloni, le ong: "Continueremo a salvare vite in mare"

Porti di sbarco lontani, niente salvataggi multipli, né trasbordi: il governo Meloni sta rendendo sempre più difficili e costosi i soccorsi in mare delle organizzazioni non governative, che ora si rivolgono al Tar

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoGiornalista

14 febbraio 2023

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"Le regole di soccorso in mare sono chiare, non abbiamo alcun dubbio sulla correttezza di quanto facciamo. Continueremo a salvare vite nel Mediterraneo finché non ci sarà un sistema di ricerca e soccorso". Riccardo Gatti parla dal ponte della Geo Barents, la nave di Medici senza frontiere che in questo momento è impegnata in un'operazione di ricerca e soccorso dei migranti nel Mediterraneo. Ieri pomeriggio l'imbarcazione ha soccorso 48 persone, di cui nove minori, dopo aver trascorso oltre una settimana senza intercettare nessuno in cerca di aiuto, a "dimostrazione – commenta Gatti – che la nostra presenza non influisce sulle partenze dei migranti, determinate da altre variabili".

"Le regole di soccorso in mare sono chiare, non abbiamo alcun dubbio sulla correttezza di quanto facciamo. Continueremo a salvare vite nel Mediterraneo finché non ci sarà un sistema di ricerca e soccorso" Riccardo Gatti - equipaggio Geo Barents

Gli interessi che ci legano alla Libia

Nei giorni scorsi, a tenere le barche ferme nei porti della Libia è stato il mal tempo. Ma c'è un altro fattore, che potrebbe ridurre gli arrivi nei prossimi mesi, da tenere in considerazione: la visita di Giorgia Meloni a Tripoli. Lo scorso 28 gennaio la premier è stata accompagnata in Libia non solo dai ministri degli Esteri e degli Interni, Antonio Tajani e Matteo Piantedosi, ma anche dall'amministratore delegato di Eni Claudio De Scalzi. Il gigante italiano dell'energia ha siglato con la propria controparte libica (la National oil corporation, Noc) un maxi accordo sul gas da otto miliardi di dollari, mentre Tajani si è impegnato a consegnare al primo ministro del governo di unità nazionale libico, Abdel Hamid Dbeibah, cinque unità navali finanziate dall'Unione europea.

Libia, i lager dell'orrore che l'Europa non vuole vedere

Non solo. In sordina, il 2 febbraio è scattato il rinnovo automatico per altri tre anni del memorandum di intesa tra Roma e Tripoli, firmato nel 2017 da Paolo Gentiloni e Marco Minniti, rispettivamente ex presidente del Consiglio ed ex ministro dell’Interno. Un accordo che fino ad ora ha sancito una stretta collaborazione con la guardia costiera di Tripoli, di cui il governo italiano finanzia uomini e mezzi: soldi usati per recuperare i migranti nel Mediterraneo e riportarli indietro, nei centri di detenzione, dove bambini, donne e uomini vengono anche torturati, stuprati e uccisi. Violazioni dei diritti umani documentate anche dalle Nazioni unite.

Porti sempre più lontani, costi sempre più alti

"Per salvare lo stesso numero di persone stiamo spendendo tra le quattro e lei sei volte in più di prima" Riccardo Gatti - equipaggio Geo Barents

In modo speculare al rafforzamento delle relazioni diplomatiche ed economiche con i paesi di partenza e/o transito dei migranti, il nuovo esecutivo continua a rendere sempre più difficili le attività delle ong. Anche ieri Geo Barents è stata destinata ad Ancona, distante cinque giorni di navigazione da dove si trovava la nave. "Ormai è prassi che il porto di sbarco ci venga assegnato molto lontano rispetto a dove effettuiamo i salvataggi –  prosegue Gatti –. Per anni i nostri approdi di riferimento sono stati Pozzallo, Augusta, Lampedusa, Porto Empedocle o Catania. I più lontani, Taranto o Messina. Adesso veniamo destinati ad Ancona, Salerno o La Spezia”. Un esempio riguarda sempre il porto di Ancona, che il ministero dell'Interno ha assegnato alla Geo Barents, con a bordo 73 naufraghi salvati al largo della Libia, il 12 gennaio. La nave è arrivata nello scalo marchigiano dopo quasi cinque giorni di navigazione a velocità ridotta, causa cattivo tempo. Fulvia Conte, responsabile dei soccorsi sull'imbarcazione, l'ha definita "un'inutile sofferenza" che si aggiunge a quella "subita dai migranti in Libia, dove sono stati torturati", e che "poteva essere evitata con l'assegnazione di un porto più vicino".

Gatti era a bordo. "Abbiamo chiesto di poter attraccare in una città meno lontana e di poter trasbordare le persone sulla Ocean Viking ma ci è stato negato – racconta –. Abbiamo dovuto percorrere 1400 chilometri, quando saremmo potuti arrivare molto prima. Per salvare lo stesso numero di persone, stiamo spendendo tra le quattro e lei sei volte in più di prima". Ma porti più lontani significa anche più tempo per raggiungere di nuovo le zone di soccorso, e “quindi – sintetizza Gatti – lasciare che la gente resti senza soccorsi in mare”.

Mille e uno modi per criminalizzare le ong 

Medici senza frontiere ha annunciato di aver presentato ricorso al Tar del Lazio per chiedere l'annullamento dei provvedimenti con cui alla Geo Barents erano stati assegnati i porti di La Spezia e Ancona per far sbarcare i naufraghi salvati in diverse operazioni di soccorso. "Il tribunale competente valuterà la legittimità dell'assegnazione di questi porti per lo sbarco dei superstiti quando altri molto più vicini erano disponibili", ha fatto sapere l'organizzazione, aggiungendo tramite i suoi legali che gli atti sui porti sicuri “sono nulli e il decreto da cui discendono inapplicabile perché in contrasto con la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare Safety of life at sea (Solas) del 1974, la Convenzione internazionale di Amburgo sulla ricerca e il salvataggio marittimo che disciplina le zone di ricerca e soccorso (Sar) adottata nel 1979 e la Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare del 1982”.

Il caso Iuventa e la criminalizzazione della solidarietà 

Un ricorso al Tar del Lazio per “violazione del diritto internazionale e italiano” l’ha presentato anche Sos Humanity, organizzazione non governativa tedesca a cui fa capo la nave Humanity 1. Il ricorso fa riferimento a quanto avvenuto a Catania nel novembre 2022. All’imbarcazione della ong è stato permesso di far sbarcare nel porto della città siciliana solo una parte dei migranti che aveva salvato nel Mediterraneo nei giorni precedenti. Delle 179 persone presenti sulla nave, 35 sono state costrette a rimanere a bordo: tutti maschi adulti, che il ministro Piantedosi ha definito "carico residuale". Una selezione conseguente a un decreto interministeriale che ha concesso l’approdo solo a chi si trovava in condizioni di salute precaria, donne e bambini. Dopo aver finito le operazioni di soccorso essenziali, Humanity 1 avrebbe dovuto lasciare Catania con i migranti a cui non era stato permesso di scendere, ma il comandante della nave, il tedesco Joachim Ebeling, si è rifiutato di partire fino a quando, un paio di giorni dopo, non è stato permesso a tutti di toccare terra.

"Il decreto potrebbe ostacolare le operazioni di ricerca e soccorso delle ong e quindi essere in contrasto con gli obblighi dell’Italia ai sensi dei diritti umani e del diritto internazionale" Dunja Mijatovic - commissaria per i diritti umani del Consiglio d'Europa

In conferenza stampa Till Rummenhohl, a capo delle operazioni di Sos Humanity, ha detto di essere “sollevato", ma al tempo stesso "sconvolto dalla palese violazione della legge e dei diritti umani da parte delle autorità italiane”. Per il diritto internazionale, e in particolare per la cosiddetta convenzione di Amburgo del 1979 – ha sottolineato l’ong – un'operazione di ricerca e soccorso si conclude solo con lo sbarco dei sopravvissuti a un naufragio in un porto sicuro. Di conseguenza, è illegittimo consentire di scendere solo a pochi eletti. Inoltre, respingere tutti gli altri al di fuori delle acque territoriali nazionali può essere considerato una forma di respingimento collettivo, vietato sia dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati sia dalla Convenzione europea dei diritti umani. Intanto ieri il tribunale civile di Catania ha dato torto all'esecutivo in merito al ricorso d'urgenza presentato dai naufraghi soccorsi dall'Humanity 1, giudicando quel decreto interministeriale illegittimo in quanto – si legge nell'ordinanza – "consente il salvataggio solo a chi sia in precarie condizioni di salute, contravvenendo al contenuto degli obblighi internazionali in materia di soccorso in mare".

Il (pluribocciato) decreto sicurezza Meloni

Rummenohl ha anche chiesto di cancellare il decreto sicurezza del governo Meloni "perché ingiusto e illegale, tutte le persone in emergenza in mare devono essere salvate e accolte come prescrive la legge marittima”. Pubblicato in Gazzetta ufficiale il 2 gennaio 2023, il decreto implica che le ong non possano fare soccorsi multipli, a meno che non siano richiesti dalle autorità della zona di ricerca e soccorso, ma debbano domandare il porto di sbarco subito dopo aver salvato i naufraghi della prima imbarcazione a cui danno aiuto, e raggiungerlo “senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso”. Viene meno anche la possibilità di trasferire i naufraghi da una nave più piccola a una più capiente. Un altro punto riguarda il tempestivo avvio “di iniziative volte a informare le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale e, in caso di interesse, a raccogliere i dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità". Per chi viola il decreto, sono previste sanzioni amministrative: il pagamento di una somma che può andare dai 10mila ai 50mila euro e il fermo della nave per due mesi (contro il quale è ammesso ricorso al prefetto). Se la condotta vietata continua, si procede al sequestro cautelare dell'imbarcazione.

"Ostacolare il lavoro umanitario ha come unico obiettivo la messa in salvo di persone, è inspiegabile se non in termini di consenso politico. Noi continueremo a salvare vite umane, nel rispetto del diritto internazionale e nazionale" Emergency

Disposizioni che sono state criticate in modo duro da molte organizzazioni umanitarie. Emergency ha fatto notare pure che i provvedimenti  "determineranno una potenziale violazione dell'obbligo di intervenire in caso di segnalazioni di altre imbarcazioni in pericolo in mare, prescritto dal diritto internazionale e tutte le navi, anche quelle umanitarie, sono tenute a rispettarlo. Infine, lo staff della nave dovrebbe raccogliere l'eventuale interesse dei superstiti di chiedere asilo, affinché sia il Paese bandiera della nave a farsi carico delle richieste di protezione internazionale. Le linee guida dell'Organizzazione internazionale marittima (Imo) sono chiare: qualsiasi attività al di fuori della ricerca e salvataggio deve essere gestita sulla terra ferma dalle autorità competenti e non dallo staff delle navi umanitarie". Per la ong, ostacolare il lavoro umanitario, "che ha come unico obiettivo la messa in salvo di persone, è inspiegabile se non in termini di consenso politico. Noi continueremo a salvare vite umane, nel rispetto del diritto internazionale e nazionale".

Così la politica ha criminalizzato i soccorsi in mare 

Una bocciatura è arrivata anche da parte del Consiglio d'Europa, organizzazione internazionale a difesa dei diritti umani. Dunja Mijatovic, commissaria per i diritti umani del Consiglio d'Europa, ha indirizzato una lettera a Piantedosi scrivendo che le disposizioni del decreto "potrebbero ostacolare le operazioni di ricerca e soccorso delle ong e quindi essere in contrasto con gli obblighi dell’Italia ai sensi dei diritti umani e del diritto internazionale". Mijatovic ha invitato il governo a considerare la possibilità di ritirare il provvedimento, intervenendo anche sulla prassi di assegnare alle navi delle organizzazioni non governative dei porti di sbarco molto lontani: per la commissaria, la pratica rischia di privare le persone in difficoltà di un'assistenza salvavita. Inoltre, l'obiettivo dichiarato di assicurare una migliore ridistribuzione dei migranti e dei richiedenti asilo sul territorio nazionale "potrebbe essere raggiunto sbarcando rapidamente le persone soccorse e assicurandosi che ci siano accordi pratici alternativi per ridistribuirle in altre zone del Paese".

Ma per Gatti, come per l'avvocata Loredana Leo dell'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione (Asgi), il decreto è solo l'ultimo passaggio di un disegno politico che viene portato avanti da tempo. "Da anni il governo italiano, con il beneplacito dell'Unione europea, cerca di sbarazzarsi delle ong, o di rallentarne i soccorsi”. “Il motivo – conclude Gatti – è che siamo testimoni scomodi del massacro che sta avvenendo nel Mediterraneo, di cui l'Europa è complice: dal 2014 a oggi sono state registrate almeno 24mila vittime". 

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