28 giugno 2022
Dal 2018 al 2020 sono stati spesi circa 27,4 milioni di euro per il rimpatrio forzato (con e senza scorta) di 16mila stranieri privi di un regolare permesso di soggiorno. Il costo medio per ogni trasferimento ha subito un’impennata nel 2020 quando la cifra complessiva sborsata è stata di 8,3 milioni di euro e le persone rimpatriate 3351: in media 2500 euro a viaggio.
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Il costo medio per ogni trasferimento ha subito un’impennata nel 2020. Il costo complessivo è stato di 8,3 milioni di euro e le persone rimpatriate 3351: in media 2500 euro a viaggio.
È quanto emerge confrontando i numeri forniti dal Garante dei diritti delle persone private della libertà personale con la cifra contenuta nella delibera numero 10 del 2022 della Corte dei conti, che per la prima volta dà una stima della spesa sostenuta per riportare i migranti nei loro Paesi d’origine. Un dato che mostra come il rimpatrio forzato sia una procedura costosa e poco incisiva nella gestione del fenomeno migratorio.
Discutibili anche diversi Stati di destinazione, come Egitto, Nigeria, Pakistan, Bangladesh, Gambia e Guinea: regimi autoritari o regimi ibridi secondo il Democracy Index, classifica che misura il livello di democrazia redatta ogni anno dall’Economist intelligence unit, gruppo di ricerca della società che pubblica il settimanale The Economist.
Quale sia il prezzo di questi viaggi è sempre stato difficile da capire e la cifra riportata nel documento della Corte dei conti è rilevante perché per la prima volta dà un’indicazione, ma – precisano dall’ufficio del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale – non “sappiamo con esattezza come sia stata calcolata, né quali costi includa, o quanto sia stato coperto dalle risorse del fondo asilo migrazione e integrazione o dell’Agenzia europea della guardia di frontiera Frontex, e quanto invece sia rimasto a carico del bilancio nazionale”.
Per avere i dati disaggregati, lavialibera ha indirizzato due richieste di accesso civico – una diretta alla Corte dei conti, l’altra al ministero dell’Interno – ed è in attesa di risposta. Di certo, “la fonte dello stanziamento importa poco, si tratta in ogni caso di ingenti risorse pubbliche: i costi da tenere in considerazione per ogni trasferimento sono tantissimi”, raccontano dall’ufficio del Garante.
Si va dal prezzo del biglietto (nel caso di un volo di linea) o dell’affitto di un velivolo (per i voli charter) alla retribuzione del personale impiegato: per i rimpatri con scorta devono essere presenti almeno due agenti per ogni migrante. Ci sono poi da considerare i costi dei trasferimenti interni, cioè dal luogo in cui è trattenuto lo straniero a quello di partenza, e i pernottamenti non solo sul territorio nazionale ma anche all’estero.
Di contro, la misura sembra avere poco impatto se si pensa che, a fronte dei 16mila rimpatri effettuati, le persone sbarcate in Italia nel triennio preso in considerazione sono state 69mila. Non solo. La quota dei migranti transitati nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), il cui obiettivo ufficiale è proprio l’identificazione e il rimpatrio degli stranieri, e poi di fatto trasferiti non ha mai superato il 50 per cento. Di operazioni ad alto costo, “più simboliche che efficaci”, aveva già parlato il Garante nazionale Mauro Palma durante un convegno del 2021 riportato dal quotidiano Avvenire.
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“L’Europa punta molto sui rimpatri – aveva detto Palma – ma mi chiedo se non si tratti soprattutto di una misura dalla valenza simbolica. Gli Stati sembrano avere bisogno di mostrare un volto forte per recuperare credibilità. Se è indiscutibile la necessità di questa misura per la lotta al crimine, dobbiamo chiederci se l’irregolarità amministrativa sia un motivo sufficiente per il rimpatrio”. Dichiarazioni che adesso trovano sponda nella stima indicata dalla Corte dei conti.
Nel mirino dell’autorità, che dal 2016 ha il compito di monitorare i rimpatri forzati, sono finiti non solo i costi ma anche le modalità con cui vengono effettuate queste procedure: la relazione al Parlamento del 2022, presentata lo scorso 20 giugno, evidenzia come sia "del tutto ingiustificata la pratica di applicare le fascette di contenimento a tutte le persone rimpatriate", in alcuni casi "in via cautelativa, per tutta la durata" del viaggio, e senza una valutazione sulla reale necessità o meno. Inoltre, continua la prassi di non informare il cittadino straniero della data di trasferimento con un giusto anticipo, non permettendogli di informare i propri familiari, né di mettersi in contatto con il proprio legale, e tantomeno di prepararsi per il viaggio.
Un altro problema riguarda gli Stati di destinazione. In particolare, da anni preoccupa l’alto numero di cittadini egiziani riaccompagnati al Cairo: nel 2018 sono stati 294, nel 2019 363, nel 2020 91, e nel 2021 269. Rimpatri che si basano su un accordo di riammissione sottoscritto nel 2007, “quando l’Egitto – spiegano dall’ufficio del Garante – era un Paese diverso e anche le sue relazioni diplomatiche con l’Italia erano differenti”. Nella relazione del 2022 si fa presente che invece oggi lo Stato è “oggetto di attenzione da parte della comunità internazionale per la situazione più volte riportata come molto critica sotto il profilo della tutela dei diritti umani” e, tra le altre cose, è diventato il terzo Paese al mondo per esecuzioni.
"Serve una profonda riflessione in merito alla prosecuzione dell'attività di rimpatrio verso l'Egitto"Relazione 2022 al Parlamento del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale
Un indicatore di queste criticità viene considerata la crescita delle domande d'asilo presentate dagli egiziani: nel 2021 aumentate del 782 per cento rispetto al 2020. Fattori che portano il Garante a chiedere "una profonda riflessione in merito alla prosecuzione dell'attività di rimpatrio" verso l'Egitto. Allo stesso tempo è “indispensabile garantire alle persone straniere, che ricadono nella responsabilità dello Stato italiano anche in relazione alle violazioni subite nel Paese di destinazione in conseguenza del rimpatrio, ogni livello di protezione dei diritti offerto dagli strumenti internazionali a cui l’Italia è vincolata”.
Il riferimento è al comitato Onu sulle sparizioni forzate previsto dalla convenzione conclusa a New York nel 2006. L’Italia ha aderito alla convenzione nel 2015 ma non ha riconosciuto la competenza del comitato a ricevere ed esaminare i reclami presentati da, o a nome di, persone che lamentano di essere vittime di sparizioni forzate. Una lacuna che, per il Garante, va colmata come è stato chiesto dagli organismi sovranazionali di controllo delle Nazioni Unite sia nel 2019 sia nel 2020.
Ma quando si parla di rimpatri forzati non ci si dovrebbe limitare ad analizzare le condizioni del Paese di ritorno, perché “ogni caso è storia a sé e andrebbero evitati automatismi”, aggiungono dall'ufficio del Garante. Di ogni individuo dovrebbero essere valutate le condizioni di salute fisica e mentale. Un’altra considerazione andrebbe fatta sull’opportunità, o meno, di vivere una vita dignitosa nello Stato di rientro. Invece – raccontano – succede che siano effettuati persino rimpatri con scorta sanitaria, quindi di persone che hanno bisogno di costante monitoraggio da parte di un medico.
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