21 settembre 2022
"Mo saccio che d’è a felicità
è ‘nu libbro apierto
è cchistu ffuoco ‘mpietto
ca m‘abbrucia e nun me fa parla’"
(Ora so cos’è la felicità
è un libro aperto
è questo fuoco in petto
che mi brucia e non mi fa parlare).
Così canta Alessio Arena, 38 anni, il più giovane e insieme antico artista napoletano. Cantautore e scrittore raffinato, nel 2013 ha vinto il festival Musicultura e ricevuto molti riconoscimenti dalla critica al Premio Andrea Parodi.
Nel suo quinto e ultimo album in studio, Marco Polo (Escenamusica/2022), come il viaggiatore veneziano ci porta sulle coste più remote dei sentimenti umani, tra le insenature del dolore e delle paure. Un viaggio intimo e sospeso, tra Napoli e Barcellona, in cui ritrovarci per sentirci meno soli. Una world music d’autore che cita Melville e Calvino, e affonda le radici nel mediterraneo per perdersi nel fado, nel bolero e nel tango. Storie di migranti e di amori inconfessabili popolano i suoi libri come ne La notte non vuole venire (Fandango – 2018), ispirato alla vita della cantante napoletana Gilda Mignonette, emigrata negli anni Venti in America. L’ultimo libro Ninna nanna delle mosche (Fandango – 2021) come spiega l’autore «è un romanzo d’avventura, dell’avventura della dissidenza, della difesa del proprio progetto di vita. Una piccola epopea in viaggio tra la Lucania e il Cile di fine anni Venti». Alessio Arena porta con sé i segni e i suoni del passato, la sua voce è una carezza, una koinè capace di unire mondi lontani nello spazio e nel tempo.
La tua letteratura e la tua musica sono sospese su mondi diversi: l’amore per l’America latina, Napoli, dove sei nato e cresciuto, e Barcellona, dove convivi col tuo compagno. Una sospensione che è anche esistenziale. Come mai la scelta di vivere in Spagna?
Credo che emigrare, sia pure temporaneamente, debba essere quasi un dovere dell’artista, perché dal nido la prospettiva del mondo può essere ridotta. Non ho scelto di vivere a Barcellona, mi ci hanno portato da bambino, quando avevo appena sei anni e mia madre decise di trasferirsi. Da allora sono cresciuto a Napoli, lontano da lei, ma con continui ritorni verso una città e un paese, la Spagna, di cui ho fatto mie le lingue e la cultura, quelle di una società che sa essere molto più libera della nostra.
Quando ti sei innamorato della scrittura?
Ero un bambino con una madre lontana, telefonarsi costava tanto e internet ancora non esisteva. Le scrivevo lettere, anche settimanalmente, che contenevano molte bugie puntualmente smentite al telefono da mia nonna ‘Ntonietta. Analfabeta, è la più grande affabulatrice che abbia mai conosciuto. Sono state queste due donne a farmi innamorare della letteratura, mi hanno insegnato che raccontare una cosa è viverla pienamente.
Le tue influenze musicali e letterarie sono innumerevoli e ricercate. Come ti sei formato?
Essendo cresciuto tra due mondi culturali adiacenti, ho preso da lì e da qui. Da adolescente a Napoli, nel rione Sanità, ascoltavo Pino Daniele, Amancio Prada, Mercedes Sosa e Luigi Tenco. Per qualche tempo la mia famiglia ha vissuto nel nord della Spagna, in Galizia, dove l’estate ha i colori dell’autunno e sembra infinita. Su un molo che le maree inondavano, non facevo che leggere. Ero un adolescente e una conoscente di mia madre mi regalò due libri scritti in spagnolo: Pedro Páramo di Rulfo e il Romancero gitano di García Lorca. Da quel momento ho desiderato diventare un ispanista e anni dopo quell’idea si è fatta più concreta. Ho studiato all’Università di Napoli e alla Ca’ Foscari di Venezia, specializzandomi poi a Barcellona e Tarragona.
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