Djerba (Tunisia), marzo 2011. Profughi bangladesi in attesa del volo predisposto dal governo italiano per il rimpatrio di circa 600 cittadini del Bangladesh riparati in territorio tunisino dalla Libia (Ciro Fusco/Ansa)
Djerba (Tunisia), marzo 2011. Profughi bangladesi in attesa del volo predisposto dal governo italiano per il rimpatrio di circa 600 cittadini del Bangladesh riparati in territorio tunisino dalla Libia (Ciro Fusco/Ansa)

Guerra in Ucraina. Il ricatto turco e l'odioso razzismo verso i profughi dimenticati

Stoccolma ha estradato in Turchia un membro del Pkk, secondo l'accordo di scambio fissato per l'ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. Il presidente Erdogan ha accordato l'ingresso dei paesi scandinavi nell'alleanza atlantica, a condizione che questi non offrano più asilo agli indipendentisti curdi. L'occidente ha accettato, segnando ancora una volta la distanza tra popoli tutelati e altri sacrificabili

Gad Lerner

Gad LernerGiornalista

Aggiornato il giorno 4 dicembre 2022

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Il 28 giugno scorso il vertice Nato riunitosi a Madrid ha accettato senza obiezione alcuna lo “scambio” proposto dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan: rinuncia da parte di Ankara a porre il veto all’ingresso di Svezia e Finlandia nell’alleanza militare atlantica in cambio della rinuncia dei due paesi scandinavi alla loro tradizionale politica di asilo politico degli esponenti delle formazioni indipendentiste curde. Si è addirittura trattato, senza imbarazzo, su quali e quanti di loro dovrebbero essere estradati nelle carceri del Paese che – a differenza della comunità internazionale – li considera terroristi.

Nel frattempo la Turchia non ha perso tempo e, approfittando della “distrazione” provocata dalla guerra in Ucraina, ha intensificato le sue incursioni armate contro la popolazione curda al di fuori dei suoi confini, in Siria e nell’Iraq settentrionale. È passato sotto silenzio, fra gli altri, il bombardamento che lo scorso luglio nella provincia di Dohuk (regione autonoma del Kurdistan iracheno) ha provocato 9 morti civili e 33 feriti.

Sul Sud del mondo si abbattono tre ingiustizie 

Profughi di serie B

Che importa se afghani, siriani, iracheni fuggono anch’essi da altre guerre?

Accantonata con disinvoltura l’ammirazione tributata alle combattenti e ai combattenti curdi per l’eroismo con cui lottano contro l’Isis, i paesi occidentali che si presentano come paladini dei diritti umani hanno confermato l’indicibile gerarchia cui da sempre usano far ricorso: esistono, per loro, popoli di serie A, meritevoli di tutela, e popoli di serie B, sacrificabili in nome dei propri interessi. Da sempre i curdi appartengono a questa seconda categoria.
In verità questa imbarazzante classificazione è soggetta a continue variazioni di convenienza, figlie di antichi stereotipi. Se oggi, giustamente, gode di diffusa solidarietà il popolo ucraino aggredito dall’esercito di Putin, e milioni di profughi hanno trovato accoglienza nel resto d’Europa, come dimenticare l’ostilità rivolta in passato contro i migranti albanesi, romeni, e gli ucraini stessi, accusati di essere ladri e stupratori? Ma non basta.

Se l’indubbia generosità con cui è stata gestita senza traumi questa imprevista, enorme ondata di fuggiaschi è servita anche a confutare la propaganda dei partiti xenofobi sostenitori della teoria "non c’è più spazio a casa nostra", ciò non ha impedito loro di rilanciare la propaganda contro i profughi di serie B. Che importa se afghani, siriani, iracheni fuggono anch’essi da altre guerre? Hanno la carnagione olivastra e sono per lo più musulmani, quindi nemici. Gli africani, poi, figuriamoci: sono neri, e poco importa se nei loro paesi d’origine imperversa la desertificazione e sono in corso altri sanguinosi conflitti.

Nei comizi elettorali gli stessi che in passato urlavano contro il pericolo degli immigrati ucraini ora proclamano: "Bisogna espellere i nigeriani per fare posto agli ucraini". L’ideologia cui fanno riferimento è quella professata dal premier ungherese Orbàn: "Non vogliamo mescolarci con altre razze extra-europee". Un sinistro, pericoloso tuffo nel nostro passato più buio.

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