s.f., qualsiasi oggetto di cui l’uomo si serve come mezzo materiale di offesa o di difesa.
Io le conosco bene, le armi. Vengo da una famiglia di collezionisti e mi sento di affermare che, secondo me, sono un’opportunità. Lo motivo con tre storie, una che mi ha particolarmente impressionato e due, invece, che riguardano proprio me.
La storia di Adam, per esempio, che è un ragazzino introverso e solitario, che veste sempre di nero, se ne sta chiuso in camera ad ascoltare musica pesante e a giocare a sparatutto con la Playstation davanti a un muro tappezzato di poster inquietanti. Niente di male, è un ritratto in cui potrei benissimo riconoscermi anch’io negli anni del mio periodo dark, a parte la Playstation, a cui non giocavo non per mancanza di interesse quanto perché non esisteva ancora. Adam, però, ha qualche problema più significativo: il suo essere introverso nasconde problemi comportamentali e di relazione di tipo patologico, ha una mamma ossessiva che invece di aiutarlo ne aggrava la condizione e, soprattutto, nella sua cameretta da eremita nasconde il potenziale di fuoco di un plotone di marine.
All’età di quattro anni la mamma gli ha regalato il suo primo fucile, un bel Ruger Savage calibro 10/22 in alluminio, più leggero e adatto alle manine di un bambino, a cui ha fatto seguito un piccolo arsenale che il ragazzo ha integrato con quello che ha potuto facilmente trovare su internet: due pistole automatiche calibro 9 – una Sig Sauer e una Glock –, un Bushmaster MX15, che sarebbe la versione civile di un fucile d’assalto in dotazione alle truppe speciali, e una quantità impressionante di caricatori e cartucce. Così, il 14 dicembre del 2012, verso le 9 e 30 del mattino, dopo aver sparato in testa a sua mamma, Adam va alla sua vecchia scuola elementare, la Sandy Hook School di Newton, nel Connecticut, e in poco più di cinque minuti spara 144 proiettili, ammazzando sei insegnanti e venti bambini tra i sei e i sette anni.
Distruzione a portata di mano
Un giorno, un po’ di anni fa, un settimanale mi chiede di andare in una cittadina della Toscana per una specie di reportage. Nello spazio di pochi mesi si erano verificati tre suicidi tra gli agenti in servizio ai commissariati della zona, io dovevo raccontare la storia e cercare di verificare le ipotesi più concrete tra quelle che andavano dal più sfrenato complottismo ad una più semplice questione di coincidenze. La seconda che ho detto. Molti suicidi si intensificano per imitazione, ma soprattutto sono statisticamente più frequenti tra quei componenti delle forze dell’ordine o della sicurezza che portano un’arma da fuoco. A differenza di altri che sono costretti a informarsi e a procurarsi gli strumenti ritenuti adeguati a farla finita, chi ha a portata di mano – letteralmente – una pistola fa molto prima e con più facilità ad assecondare l’istinto distruttivo del momento. E ancora. A parte qualche insetto – di solito mosche e in particolari momenti di stress di cui comunque mi dispiaccio – non ho mai causato direttamente e con una mia azione la morte di un altro essere vivente. Tranne che una volta.
Da ragazzino, per i motivi di collezionismo di cui sopra, ho preso la licenza di caccia. Non mi interessava, non mi piaceva neanche e ci sono andato solo una volta, con un mio amico, lui sì un cacciatore, che aveva molto insistito perché lo accompagnassi. Ho accettato perché mi piaceva l’idea di andarmene in giro per i boschi all’alba, e il fucile in spalla era solo un dettaglio, dal momento che non l’avrei usato. Era un bellissimo oggetto, molto elegante, e ogni tanto sparavo, una sorta di gesto plastico e liberatorio, tirando a stormi di uccelli così lontani che non avrei mai potuto colpirli, e infatti il mio amico mi diceva scandalizzato «ma sei matto, non vedi dove sono?». Poi però è successo che mentre sparavo a una nuvola di puntini in cielo che probabilmente volavano addirittura fuori regione, un pettirosso si è alzato proprio davanti alla mia canna e l’ho colpito. Nessuna giustificazione, se non avessi voluto fargli male non avrei dovuto sparare, non avrei dovuto portare un fucile, potevo andarmene in giro per i boschi all’alba con un bastone da passeggio.
Allora: conosco bene le armi, le rispetto e so che sono un’opportunità. Difensiva, economica, artistica, tecnologica, quello che volete. Soprattutto, però, sono un’opportunità di morte.
Eh sì, di morte
Arma.
s.f., qualsiasi oggetto di cui l’uomo si serve come mezzo materiale di offesa o di difesa.
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