Bruxelles, 24 marzo 2022. Draghi, Macron e Biden al vertice Nato per pianificare le strategie contro la Russia (Stephanie Lecocq/Ansa)
Bruxelles, 24 marzo 2022. Draghi, Macron e Biden al vertice Nato per pianificare le strategie contro la Russia (Stephanie Lecocq/Ansa)

Guerra in Ucraina, chiamata alle armi

Con l'inizio del conflitto in Ucraina, non vi è alcun imbarazzo a parlare di guerra e armi. I governi annunciano investimenti senza precedenti nel settore militare e quelli che una volta erano argomenti tabù oggi non lo sono più. Nella corsa agli armamenti, le parole di Papa Francesco pesano come macigni: "Pazzi, questa non è la risposta"

Marco Panzarella

Marco PanzarellaRedattore lavialibera

25 marzo 2022

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I primi a parlare sono stati i tedeschi, appena tre giorni dopo l’annuncio di Vladimir Putin dell’imminente invasione in Ucraina. Rivolgendosi alla Bundestag, il parlamento federale teutonico, il cancelliere Olaf Scholz ha spiegato che la Germania avrebbe stanziato un fondo speciale da 100 miliardi di euro per rafforzare la Bundeswehr, le forze armate del Paese, investendo ogni anno nella Difesa oltre il 2 per cento del Pil, all’incirca 70 miliardi di euro. Una proposta che era già stata avanzata dalla Nato nel 2014, dopo l’invasione russa in Crimea, ma che nel frattempo soltanto pochi paesi dell’alleanza avevano ratificato in parlamento. 

Il conflitto ucraino ha segnato un netto e repentino cambio di paradigma: all’improvviso non vi è alcun imbarazzo a parlare di guerra, soldati, armamenti e perfino di nucleare. I temi “scottanti” non bruciano più, anzi, i politici sembrano adesso maneggiarli con disinvoltura, sviscerando dettagli che rendono certe conferenze e summit quasi di cattivo gusto. Un esempio sono le frasi pronunciate dal deputato Pd Alberto Pagani, secondo cui gli investimenti nel settore militare "finanziano una ricerca di altissimo livello scientifico, che permetterà all’industria italiana di essere competitiva nel futuro, con ricadute positive per tutti i cittadini".

Il discorso di Scholz, membro del Partito Socialdemocratico di cui è stato anche segretario e presidente, ha stupito per tempismo e risolutezza. Senza giri di parole, il capo del governo ha svelato i piani nazionali in tema di sicurezza, sfatando quel tabù che trasversalmente, almeno in Europa, ha sempre portato i politici a maneggiare con cura le questioni che hanno a che fare con armi e strategie militari. 

Ucraina, la guerra si finanzia anche su Facebook

"Coming out" pro armi

Siamo pur sempre in Europa, dove intere generazioni non hanno mai avuto a che fare con sirene, rifugi e fame, limitandosi a immaginare miseria e distruzione ascoltando i racconti dei nonni. Dalla fine della seconda guerra mondiale, l’Occidente ha garantito ai suoi cittadini una pace senza precedenti, che ora sembra vacillare, quantomeno nel linguaggio. Osservare l’attacco russo in Ucraina, un paese che è fuori dall’Ue e dalla Nato, per chi governa in Europa e Stati Uniti è stato come assistere al pestaggio del migliore amico, che non è uno di famiglia ma è come se lo fosse. Si spiega anche così l’invio, senza precedenti, di armi e denaro al governo di Kiev da parte di ventidue paesi della Nato, a cui si è aggiunta la Svezia, che ha rinunciato alla sua storica neutralità recapitando all’esercito del presidente Volodymyr Zelensky migliaia tra armi anticarro, giubbotti antiproiettile, elmetti e razioni da campo. 

Dal "coming out" della Germania, l’escalation di dichiarazioni pro armi non ha conosciuto sosta. In Italia il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha chiesto più fondi per le spese militari, dopo che nel 2019, a margine della Berlin security conference, aveva escluso l’incremento suggerito dalla Nato definendolo "un obiettivo non realisticamente realizzabile". Il nuovo appello lanciato nei giorni scorsi è stato colto al volo dal leghista Roberto Paolo Ferrari, che ha proposto un ordine del giorno, votato a larga maggioranza dalla Camera, per destinare - seguendo l’esempio del governo tedesco - il 2 per cento del prodotto interno lordo all’Esercito. La spesa militare annua passerebbe quindi da 25 a 38 miliardi, vale a dire 104 milioni di euro al giorno. Lo stesso incremento ha previsto la Danimarca, pronta a stracciare il Trattato firmato ad Amsterdam nel 1997 con il quale ha rinunciato alla politica di sicurezza e difesa comune dell’Ue. La prima ministra, Mette Frederiksen, ha indetto un referendum a inizio giugno per abolire l’opt out e unirsi alle truppe europee. "Tempi storici richiedono decisioni storiche", ha detto la premier.

Più spese militari, meno diritti sociali e giustizia ecologica

Il costo della sicurezza

Quando, a inizio marzo, i discorsi pronunciati dai rappresentanti dei governi cominciavano a influenzare il mercato azionario, con le quotazioni dei titoli del settore militare salite oltre il 17 per cento, l’alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, si è spinto oltre, scrivendo su La Repubblica che "in un mondo in cui la politica è basata sul potere, dobbiamo avere la capacità di mettere pressione e difenderci. Sì, questo include mezzi militari e dobbiamo svilupparne di più". Pochi giorni dopo, Grecia e Polonia hanno chiesto di esentare la spesa per la Difesa dalle regole dell’Unione sui disavanzi di bilancio. A ruota, Alessandro Profumo, amministratore delegato di Leonardo, azienda specializzata nei settori difesa e aerospazio, che ha come maggiore azionista il ministero dell’Economia, ha auspicato maggiori investimenti in sicurezza e lo sviluppo di tecnologie europee condivise, anche in previsione di un grande esercito europeo, vecchia idea tornata in auge. Chi, invece, ha dovuto stravolgere i suoi piani, anche dal punto di vista della comunicazione, è il presidente francese Emmanuel Macron, che in piena campagna elettorale ha deciso anche lui di puntare sul rafforzamento dell’Esercito, promettendo di raddoppiare il numero di riservisti tra i militari e aumentare il personale tra agenti e gendarmi. 

La guerra in Ucraina è una follia

Il monito del Papa

Sulla questione è intervenuto Papa Francesco, che durante un incontro promosso dal Centro femminile italiano ha condannato la corsa agli armamenti. "Mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono compromessi a spendere il 2 per cento del Pil per l'acquisto di armi come risposta a quello che sta accadendo, pazzi!". Il pontefice ha quindi aggiunto che "la vera risposta non sono altre armi, sanzioni, alleanze politico-militari, ma un'altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo, non facendo vedere i denti". 

Le dichiarazioni sono all’ordine del giorno, si moltiplicano con lo stesso refrain e l’opinione pubblica sembra già non farci più caso. L’abitudine a un linguaggio differente, all’utilizzo di vocaboli che pesano molto meno rispetto al passato, nasconde però delle insidie e rappresenta il primo passo verso una guerra che nessuno vuole. Forse, soltanto a parole.

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