3 novembre 2020
Una settimana dopo l’omicidio del giornalista Jan Kuciak e della sua fidanzata Martina Kusnirova nel febbraio 2018, in tutta la Slovacchia, sono esplose le più grandi manifestazioni dalla caduta del comunismo nel 1989: mentre la rabbia cresceva per il ritmo a rilento delle indagini sull'uccisione di Jan e Martina, migliaia di cittadini slovacchi sono scesi in piazza per settimane chiedendo un’indagine indipendente per i due omicidi ed elezioni anticipate al governo per una minore corruzione interna e più trasparenza: “Siamo stati contenti di quante persone sono scese in piazza e hanno chiesto giustizia e una Slovacchia dignitosa – affermano il padre di Jan, Jozef Kuciak senior, e la madre di Martina, Zlat'ka Kušnírová –. Dopo la morte dei nostri figli e le grandi proteste, la coalizione di governo è stata costretta a fare alcuni aggiustamenti di facciata. Allo stesso tempo, abbiamo sentito che il nostro popolo era accanto a noi, convinto dell’inviolabilità del diritto alla vita dei nostri figli”. Jozef Kuciak, fratello di Jan, che lui rimarca intimamente come Jankov, trascrive (e ci invia) le parole delle due famiglie affinché dalla loro umile lotta per la verità iniziata più di due anni e mezzo fa, possa diffondersi una speranza per il loro Paese, e non solo.
Jan e la fidanzata Martina, entrambi ventisettenni, sono stati uccisi il 21 febbraio 2018 nel loro appartamento di Velka Maca, a 65 chilometri da Bratislava. Il governo slovacco – dopo le molteplici dimostrazioni di piazza a Bratislava e in tutto il Paese – ha visto le dimissioni a marzo 2018 del primo ministro Robert Fico, subito dopo quelle del primo ministro Robert Kalinak (che nei mesi precedenti aveva anche sminuito le minacce ricevute da Kuciak) e successivamente di tre alti funzionari di polizia dell’Agenzia nazionale per la criminalità (Naka) – Peter Hraško, Robert Krajmer e Pavol Vorobjov – che erano tutti coinvolti a vari livelli nelle indagini del caso Kuciak. Travolto dalle polemiche sui legami con il presunto mandante dell'omicidio del giornalista Jan Kuciak, si è dimesso a maggio 2020 anche il giudice della Corte costituzionale slovacca Mojmír Mamojka. Con la sua uscita di scena ha evitato l'avvio di un procedimento disciplinare per chiarire i suoi rapporti con Marian Kocner, l’uomo d’affari sotto processo per reati finanziari e corruzione giudiziaria, oltre che per la morte di Kuciak.
Dopo le minacce di Kocner, eravamo preoccupati, ma Jan non voleva che avessimo paura e ci rassicurava sempreJosef Kuciak senior - Padre di Jan
Jan è stato il primo giornalista a essere ucciso in Slovacchia dall'indipendenza del paese, nel 1992, ed era lui stesso a rassicurare la famiglia sul fatto che non ci fosse pericolo per la sua incolumità a causa del suo lavoro di giornalista d’inchiesta: “Non ci è mai venuto in mente, nemmeno nel peggior incubo, che qualcosa del genere sarebbe accaduto in Slovacchia – racconta il padre del giornalista –. Dopo le minacce di Kocner, eravamo preoccupati, ma Jan non voleva che avessimo paura e ci rassicurava sempre che non gli sarebbe potuto succedere nulla. Al massimo – diceva – qualcuno sporge denuncia e di questo lui non aveva paura, poiché tutte le informazioni da lui pubblicate sono state sempre pubblicamente disponibili e confermate”. Era stato infatti l’imprenditore slovacco Marian Kocner a minacciare Jan al telefono a settembre 2017: “Troverò prove su di te e sulla tua famiglia: tutti hanno uno scheletro nell'armadio”, aveva detto l'oligarca al cronista. Jan lo aveva denunciato, ma la polizia aveva infilato la pratica in un cassetto, dove era rimasta.
Jan era un giornalista d’inchiesta e da circa tre anni stava lavorando per il sito Aktuality.sk; allo stesso tempo collaborava con varie piattaforme giornalistiche tra le quali il Czech-Center for Investigative journalism, il consorzio italiano di giornalisti investigativi Investigative reporting project Italy (Irpi) ed il network internazionale Organized Crime and Corruption Reporting Project (Occrp), di cui tutte fanno parte. “Di tanto in tanto abbiamo parlato del suo lavoro investigativo – continua il padre di Jan -, mi ha sempre ricordato di combattere i mulini a vento. È estremamente difficile per un giornalista combattere gli oligarchi perché hanno potere costante sui media. Janko (Jan, ndr) era entusiasta del lavoro con il Czech-Center for Investigative journalism e il suo sogno era di mettere insieme qualcosa di simile in Slovacchia. L'esclusività della notizia è sempre stata secondaria per lui, ha sempre voluto che investigatori di tutti i media lavorassero insieme cosicché il loro contributo sociale sarebbe stato di gran lunga superiore”.
Nel febbraio 2018 Jan stava lavorando a un’inchiesta transnazionale insieme ai colleghi di quelle stesse piattaforme giornalistiche sulle attività della 'ndrangheta nella Slovacchia orientale e i suoi legami con i leader politici slovacchi, che non riuscì mai a completare perché fu ucciso. Dopo la sua morte quegli stessi giornalisti, suoi colleghi e amici, hanno continuato il suo lavoro collaborando a livello transnazionale – come era solito fare lui – e concludendo l’indagine che riempì le pagine dei giornali di tutto il mondo. E fu così che dopo alcuni giorni dalla morte di Jan e della sua fidanzata è stato pubblicato dal giornale on line per cui lavorava l'ultimo reportage di Kuciak, rimasto in parte incompiuto. Il sito Aktuality.sk e le piattaforme giornalistiche di riferimento hanno dato ampio rilievo all'articolo nel quale il giornalista descriveva le attività della criminalità organizzata italiana in Slovacchia, e rivelava i contatti di persone dell'entourage del premier Fico con figure legate alla 'ndrangheta. Kuciak si era occupato già in precedenza del tema ma stavolta il suo lavoro metteva in risalto le attività di alcune famiglie legate alla 'ndrangheta che in Slovacchia svolgono attività imprenditoriali e condividevano grossi appetiti per i fondi europei per l’agricoltura assegnati in quello Stato. Un “sistema” che sarebbe stato garantito grazie a contatti con i servizi segreti, con le dogane, fino ad arrivare alle alte cariche dello Stato. Un dato che troverebbe riscontro proprio da una telefonata, intercettata nel 2012, in cui l'imprenditore calabrese Antonino Vadalà parlava con l'allora presidente slovacco, Robert Fico. L’obiettivo ultimo di Jan era però l’imprenditore locale Marian Kocner, che accusava di operazioni fiscalmente non trasparenti e affari non chiari nella gestione dei fondi europei, appunto. Ed è per questo che Kocner avrebbe ordinato l'omicidio di Kuciak: per vendicarsi degli articoli scritti sul sito aktuality.sk, che descrivevano i suoi rapporti con vari politici, e appunto con l'allora premier Fico, accusando di corruzione il mondo della politica e dell'imprenditoria.
"Con la sua inchiesta Kuciak ha evidenziato i limiti nell’applicare e far rispettare la legge in base agli strumenti classici della cooperazione giudiziaria", spiegava la procuratrice europea Codruta Kövesi in un'intervista a lavialibera
Non ci sono associazioni nel nostro Paese per aiutare le vittime di reati, ma sempre più le persone con un destino e una mentalità simili si raggruppano e cercano di aiutare per una causa specifica, come la nostraJosez Kuciak senior - Padre di Jan
Ma Kocner è stato recentemente assolto dall’accusa di essere stato il mandante dell’omicidio di Jan e della sua fidanzata Martina dal Tribunale speciale slovacco di Pezinok. “Purtroppo, la sentenza del 3 settembre 2020 non ha confermato l’accusa, ma crediamo ancora che alla fine la giustizia prevarrà – dicono i genitori dei due ragazzi –. Siamo rimasti molto delusi dal verdetto, il pubblico ministero e i nostri avvocati hanno presentato ricorso. La motivazione scritta della sentenza è stata ricevuta da noi solo di recente e ora è in corso di elaborazione un ricorso alla Corte suprema. Questo nuovo procedimento sarà quindi probabilmente non prima di aprile-maggio 2021. Noi continuiamo a credere nella giustizia”.
Accanto a Kocner, è stato già ritenuto colpevole il killer reo confesso, l'ex militare Miroslav Marcek, condannato a 23 anni di reclusione, insieme al cugino Tomas Szabo, a cui sono stati inflitti 25 anni, in quanto esecutore materiale dei delitti. Assolta nell’ultimo processo anche la collaboratrice di Kocner, Alena Zsuzsova, che secondo uno degli imputati, il "pentito" Zoltan Andrusko, aveva ingaggiato i killer.
La lotta per ottenere verità e giustizia per Jan e Martina quindi non è ancora finita. E la convinzione delle famiglie è diventata sempre più centrale per portare avanti il caso, come racconta il padre di Jan: “Mia moglie e io abbiamo altri due figli. Per di più, sono uno di quattro fratelli. Zlat'ka, la madre di Martina, invece è vedova e ha solo un altro figlio, quindi si sente più sola. Tuttavia, ha molti amici, cugini e tutta la famiglia sta cercando di aiutarci. La famiglia è ancora un elemento fondante in Slovacchia e rappresenta un rifugio per noi. Non ci sono associazioni nel nostro Paese per aiutare le vittime di reati, ma sempre più le persone con un destino e una mentalità simili si raggruppano – soprattutto sui social – e cercano di aiutare per una causa specifica, come la nostra”.
Martina voleva diventare una poliziotta, ma a causa della corruzione intrinseca negli apparati statali non ci è riuscita, perché non potevamo permetterci di pagare una tangente per farla entrare all'accademiaZlat'ka Kušnírová - madre della vittima
Proprio grazie alla sete di giustizia di Martina, sua madre Zlat'ka non perde la fede: “Martina amava tutte le cose belle della vita che la circondavano; era intransigente nella sua lotta per la giustizia. Ha sempre sostenuto i più deboli. Per non vedere le persone soffrire, sarebbe stata in grado di uccidersi. Amava moltissimo gli animali. Voleva diventare una poliziotta, ma a causa della corruzione intrinseca negli apparati statali non ci è riuscita, perché non potevamo permetterci di pagare una tangente per farla entrare all'accademia. Alla fine Martina andò a studiare archeologia, che probabilmente era il suo destino, incontrando Jan a Nitra, dove studiava. Sfortunatamente, è andata così. Ma almeno con la loro bontà hanno fatto qualcosa per tutto il Paese”.
Il ruolo di Martina nella vita di Jan era più che solidale, racconta ancora Zlat'ka: “Non ho mai saputo nulla delle minacce a Jan: anche se fosse successa una cosa del genere, probabilmente non me l'avrebbero detto, perché avevo una paura terribile per loro e li avevo sempre cercato di spiegare che Jan avrebbe dovuto smettere di occuparsi di certe cose. Ma Martina mi ha sempre detto che qualcuno doveva farlo. Lo ha sostenuto molto nel suo lavoro: lo aiutava con gli articoli, li ha controllati molte volte; era la sua prima lettrice, era a conoscenza di tutta la situazione ed era consapevole di ciò che stava rischiando. Ma i nostri figli ci dicevano sempre che viviamo in Slovacchia e non in qualche paese in via di sviluppo, quindi non gli poteva succedere nulla. E invece non è stato così”.
In attesa del prossimo grado di giudizio l’omicidio di Jan e Martina deve diventare sempre più un simbolo di riscatto per il paese, come auspica Jozef Kuciak senior: “I ricordi di Jan e Martina rimarranno per sempre nei nostri cuori. So che la storia apprezzerà il loro contributo alla costruzione di una vera democrazia in Slovacchia, ma Jan voleva avere figli, una famiglia. Ed è per questo che ha combattuto per un mondo migliore e più giusto. Non c'è bisogno di monumenti per un ricordo duraturo, è solo necessario che le persone siano più attente a ciò che li circonda, non siano manipolate e cerchino di essere corrette in ogni attività che svolgono.”
Prima di Jan, un’altra giornalista era stata ammazzata pochi mesi prima in Europa: Daphne Caruana Galizia, che a Malta lavorava incessantemente per denunciare gli scandali di corruzione del suo Paese, e non solo, e che fu vittima di una bomba nella sua auto il 16 ottobre 2017. Ed è su questo tema che i genitori di Jan e Martina concludono il loro racconto: “Gli omicidi di diversi giornalisti investigativi non hanno fermato il lavoro di altri giornalisti coraggiosi in diversi paesi del mondo, la paura non li ha catturati e stanno combattendo continuando a scrivere. Gli attacchi di alcuni politici e potenti – ad esempio sui social network – sono la prova che il loro lavoro è di grande importanza. Pensiamo che riuscire provare la verità di tutti gli articoli di Jan aiuterà molto il caso. Il giornalismo indipendente è in aumento – anche nel nostro Paese – e speriamo che presto il nuovo governo modificherà alcune leggi volte alla libertà di parola”.
Proprio sul caso Kuciak sono arrivate minacce a una giornalista italiana: “Il 30 aprile 2019 – ricorda Maria Grazia Mazzola, inviata speciale del Tg1 – dal profilo Facebook di un noto criminale slovacco mi è arrivato un messaggio con una bara, un pugnale, un ghigno, ed il mio nome di battesimo con sopra un punto interrogativo. Sono andata subito alla polizia postale a denunciare l’accaduto”. Il messaggio è stato scritto dopo lo speciale del Tg1 "Euromafie". Mazzola aveva pubblicato alcune foto che attestano come Jan Kuciak fosse spiato e pedinato su ordine di Ko?ner. La giornalista italiana inoltre ha dimostrato che sin dal 2013 la Direzione investigativa antimafia aveva segnalato alla polizia slovacca gli affari dell’ndrangheta nel Paese. Ma l’ex capo della polizia Tibor Gaspar ha sempre negato. Dopo questo scoop, era stato il nuovo premier slovacco Peter Pellegrini a chiedere un’indagine alla ministra dell’interno Denisa Sakova e al capo della polizia Milan Lucansky.
Nel nome di Jan è stato anche fondato il Jan Kuciak Investigative Center (Jkic) grazie al sostegno di suoi amici personali come la giornalista Pavla Holcova del Czech: “È fondamentale che la gente si interessi all’informazione e ai giornalisti, riconoscendo il valore del buon giornalismo e capendo il potere che l’interesse dei cittadini verso la buona informazione possiede. Non basta una legislazione che ci protegga: importante è che vi sia attenzione alla verità e sostegno al buon giornalismo di inchiesta, come ci ha insegnato Jan e prima ancora Daphne”.
Guardando al futuro anche il fratello di Jan, Jozef, auspica che il suo sogno possa continuare a vivere: “Molti dei nostri casi nazionali hanno una dimensione transfrontaliera, in particolare riguardano i paradisi fiscali. Pertanto, sono molto lieto che l'Jkic continuerà il lavoro di Jan, investigando soprattutto la dimensione internazionale dei casi che potrebbe essere la chiave fondamentale per decostruire le ‘zone grige’. Mi dispiace che Janko non l'abbia visto perché si è battuto sempre per l’incremento della collaborazione fra giornalisti e sarebbe molto contento di far parte di questo progetto”.
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