(Foto di Fly:D/Unsplash)
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Più spese militari, meno diritti sociali e giustizia ecologica

Il mercato delle armi cresce quando servono invece investimenti per salute, istruzione e ambiente, cioè per la vita e non per la morte. Con l'inizio della guerra in Ucraina, l'Italia rallenta la riconversione ecologica. D'altronde la politica estera europea è dominata da tre lobby: militare-industriale; energie fossile e finanziaria. Intanto i principali media accusano chi la pensa diversamente di essere "putiniano"

Giuseppe De Marzo

Giuseppe De MarzoCoordinatore della Rete dei Numeri Pari

21 marzo 2022

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La spesa mondiale per l’acquisto di armi da anni è in continuo e costante aumento. Secondo i dati dell’Istituto di studi sulla pace di Stoccolma (Sipri) sono duemila i miliardi di dollari spesi. Gli Stati Uniti sono il paese più armato, con 766 miliardi di dollari “investiti”. A seguire Cina, con quasi 245 miliardi, India con 73, Russia con oltre 66 miliardi, Regno Unito con più di 58 miliardi, Arabia Saudita con 55 miliardi, e così via. In Europa dal 2019 la spesa è cresciuta del 4 per cento, nonostante la pandemia. Anche nell’Europa orientale è aumentata del 3,4 per cento. Dal rapporto di Sipri apprendiamo che i paesi membri della Nato sono tra i maggiori acquirenti di armi con più di 1103 miliardi, circa il 56 per cento della spesa globale. L’Italia, che ripudia la guerra in Costituzione (come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, ndr), è al quinto posto in Europa per spesa in armi e all’undicesimo a livello globale. Anche quest’anno, più che in passato, cresce l’investimento nel comparto militare. Il 9 marzo scorso la Camera ha approvato un ordine del giorno al decreto-legge Ucraina che prevede l’incremento delle spese militari al 2 per cento del Pil, impegnando il governo italiano a inviare armi a Kiev. Siamo passati da 25 a 38 miliardi: 104 milioni di euro al giorno. A niente sono servite le mobilitazioni e gli appelli della Global campaign on military spending che circa un anno fa aveva lanciato le Giornate globali di azione sulle spese militari, riprese in Italia dalla Rete pace e disarmo, per chiedere una riduzione drastica delle spese militari.

La pandemia di covid non ha fermato i conflitti, anzi ne ha riaccesi alcuni. Sono 33 le guerre e 16 gli scenari di crisi 

L’obiettivo era ed è quello di investire la parte dei fondi tagliati alle armi in risorse per i vaccini, per l’istruzione, per la lotta alle disuguaglianze, per il collasso climatico, i rifugiati ambientali. Investimenti per la vita e non per strumenti di morte. Perché la difesa e la sicurezza dipendono innanzitutto dalla qualità della democrazia, dall’effettivo esercizio dei propri diritti, dalla partecipazione dei cittadini, dall’accesso alle risorse, dagli investimenti nella ricerca, nella cultura, nella sanità pubblica e nella prevenzione. Senza equità sociale e sostenibilità ambientale non c’è futuro per la razza umana. Riconvertire le nostre attività produttive e la nostra filiera energetica, riducendo i consumi per rientrare nei limiti e nelle capacità di autorigenerazione e autorganizzazione della Terra, è l’unica strada per rimettere insieme il diritto al lavoro con il diritto alla salute. Sono le priorità della società che definiscono il percorso della sicurezza e della difesa, non gli interessi delle lobby. Purtroppo, i bilanci e le scelte politiche non stanno dando priorità alle necessità umane ed ecologiche. Per la giustizia sociale, ambientale ed ecologica di tutti e tutte non è stata speso nemmeno la ventesima parte di quello che viene investito in armi. La pace e la democrazia non sono un affare per il comparto militare-industriale né per coloro che sostenendolo ne traggano un personale vantaggio.

La guerra accelera la crisi ecologica: fondi Pnrr alle fonti fossili

Addio neutralità climatica, multilateralismo e salute pubblica. Tutto questo senza dibattito parlamentare e senza coinvolgimento del Paese, nel silenzio responsabile della quasi totalità dei media

In Italia il richiamo della guerra e le necessità del complesso militare-industriale stanno cancellando qualsiasi speranza di utilizzare davvero i soldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza  (Pnrr) per equità sociale e sostenibilità ambientale. La transizione del ministro Roberto Cingolani faceva già acqua da tutte le parti, avendo rinunciato in partenza alla riconversione ecologica (pianificata, inclusiva, equa e partecipata) per sostenere la transizione energetica delle lobby del gas e le richieste di Confindustria. Ma adesso la pressione delle élite e del comparto militare-industriale rischia davvero di capovolgere lo spirito e gli obiettivi del Next Generation Eu. Già negli scorsi mesi avevamo avuto il sentore di quello che si stesse preparando: basterebbe ricordare la vergognosa richiesta di inserire nella tassonomia verde il gas e il nucleare. Oggi gli obiettivi sono drammaticamente chiari e non possiamo ignorarne la portata distruttiva. Lo stato di emergenza dichiarato dal governo Draghi stabilisce, in nome della guerra e della sicurezza, come sia necessario anche nel nostro Paese aumentare le estrazioni nazionali di gas, insistere sull’uso del carbone, investire in nuovi rigassificatori e così via. Significa che l’Italia tradisce tutti gli impegni assunti (sulla carta) durante le conferenze mondiali sul clima, oltre alle indicazioni del Fit for 55 europeo. Addio neutralità climatica, multilateralismo e salute pubblica. Tutto questo senza dibattito parlamentare e senza coinvolgimento del Paese, nel silenzio responsabile della quasi totalità dei media.

L'Italia a tutto gas

A poco serve la retorica secondo la quale avremo bisogno di scaldarci d’inverno e che quindi la giustizia climatica può aspettare. Non abbiamo visto il governo investire le risorse necessarie per garantire la sicurezza sanitaria e sociale ai dieci milioni di italiani che non si possono curare o per i sei milioni in povertà assoluta o per i portatori di handicap o per sconfiggere la povertà educativa e la dispersione scolastica, giusto per fare qualche esempio concreto. Qualcuno dovrebbe invece spiegarci perché quando non c’era la guerra non abbiamo modernizzato il Paese con le rinnovabili e con una nuova base produttiva. Quali tipi di impedimenti hanno frenato ragione, buon senso, etica e visione del futuro? Se chi siede al governo avesse continuato a investire in impianti di energie rinnovabili come nel triennio 2010/2013 l’Italia disporrebbe oggi di 60GW di rinnovabili in più, che significano 18 miliardi di metri cubi di gas in meno (circa due terzi di quello che importiamo dalla Russia). Di chi sono le responsabilità? Se si vuole costruire la pace parlamento e governo dovrebbero puntare su un nuovo programma di politiche energetiche, investendo su rinnovabili, idrogeno verde ed eco-sufficienza, coinvolgendo la cittadinanza in questa sfida per il lavoro, la salute e la giustizia ecologica. A oggi quello che abbiamo, oltre a un carico enorme di preoccupazioni, è solo l’aumento sconsiderato dei prezzi dei combustibili, sui quali in tanti stanno speculando senza che il governo riesca a mettere un argine.

Il conflitto, le armi: l’Europa e il rischio di una guerra mondiale

Un’Europa senza visione e senza memoria ha finito per essere dominata in politica estera dagli interessi di tre oligarchie: il complesso militare-industriale; il complesso del gas, del petrolio e delle miniere; e il complesso bancario-immobiliare. Le conseguenze sono sotto i nostri occhi

Siamo ormai alla quarta settimana di guerra. Secondo il diritto internazionale, che dovrebbe orientare le nostre riflessioni e decisioni, la Russia è un Paese invasore e l’Ucraina è un Paese invaso. Gli ucraini hanno il diritto alla resistenza: a loro la scelta di quale tipo. Alla comunità internazionale spetta invece l’imprescindibile compito di cercare una soluzione politica per evitare l’escalation del conflitto. Dialogo e mediazione degli interessi è ciò che chiamiamo "politica" ed è quella di cui abbiamo bisogno se vogliamo risparmiare altre vittime innocenti. Perché la vera notizia sono le migliaia di vittime civili. Se li vogliamo aiutare dobbiamo fare di tutto per fermare la guerra e non lo possiamo fare se partecipiamo al conflitto, perché il passo successo come osservano gli analisti è la terza guerra mondiale. Non significa non condannare l'oligarca Putin e il disegno imperialista che ne muove gli istinti più profondi. Dobbiamo lavorare tutti per rafforzare la voce della richiesta di tregua e trattare, con l'obiettivo di fermare la guerra che in questo momento colpisce soprattutto la popolazione ucraina. Non possiamo accettare che l'umanità sia incapace di ragionare e di comprendere che non ci potranno mai essere vincitori in un conflitto globale di tipo atomico. 

Guerra in Ucraina, Ciotti: "La pace non si fa con gli appelli"

Purtroppo, invece, l’Italia e l’Europa hanno preferito la soluzione militare (nonostante la stragrande maggioranza della nostra popolazione sia contraria, anche se sottoposta quotidianamente a una costante campagna di arruolamento attraverso i media). Inviando aiuti militari abbiamo perso la possibilità di essere al centro della via diplomatica. Ma soprattutto allunghiamo l’agonia della popolazione ucraina che non potrà vincere la guerra contro la Russia. Un altro gigantesco quesito va affrontato: se è giusto inviare armi all’Ucraina, allora sarà corretto fornire armi a ogni popolo aggredito, cominciando ad esempio dai curdi e dai palestinesi? La lista rischia di essere lunga e di svelare profonde ipocrisie. Il voto all’assemblea delle Nazioni unite di condanna all’invasione russa ci dice tra l’altro che la Russia non è isolata sul piano internazionale. Tra coloro che hanno votato contro e si sono astenuti (5 e 34) si sono paesi come la Cina, l’India, ad esempio. L’escalation del conflitto è dietro l’angolo. 

Fosse stata implementata in questi anni una Difesa comune europea, così come una comune politica di ripartizione e accoglienza dei migranti, si sarebbe potuto evitare l’invio di armi da parte dei singoli Paesi, guadagnando un minimo di autonomia rispetto alla Nato e agli Usa, interessati ma lontani dal conflitto bellico. L’Europa invece non è stata capace di affrontare le cause della crisi. Per questo è condannata ad affrontarne le conseguenze. Ha ragione il sociologo Boaventura De Sousa Santos quando nella sua riflessione conclude che i leader europei non erano e non sono all’altezza della situazione che stiamo vivendo, perché non hanno difeso la popolazione europea che da 70 anni ripudia la guerra. Per questo passeranno alla storia come i più mediocri politici dalla fine della Seconda guerra mondiale. Un’Europa senza visione e senza memoria ha finito per essere dominata in politica estera dagli interessi di tre oligarchie: il complesso militare-industriale; il complesso del gas, del petrolio e delle miniere; e il complesso bancario-immobiliare. Le conseguenze sono sotto i nostri occhi.

De Sousa Santos: "La pandemia ci insegna che lo Stato deve essere reinventato"

I media uniti contro il dissenso e la complessità

Servono davvero la retorica dei buoni e dei cattivi, la polarizzazione e l’isterismo per affrontare la complessità della situazione che abbiamo davanti, con il suo grumo di interessi e il suo carico di rischi per tutta l’umanità?

Corre un brivido lungo la schiena nel leggere le posizioni e i commenti di molte firme dei principali quotidiani italiani. Servono davvero la retorica dei buoni e dei cattivi, la polarizzazione e l’isterismo per affrontare la complessità della situazione che abbiamo davanti, con il suo grumo di interessi e il suo carico di rischi per tutta l’umanità? Se nel nostro Paese chi manifesta per la pace, la giustizia sociale e la giustizia ecologica è considerato “putiniano” e descritto come tale dai media, allora il declino della nostra democrazia, messa in crisi da disuguaglianze, povertà, corruzione, mafie, pandemia e assenza di partecipazione, sarà inevitabile. Da quando è scoppiato il conflitto è cominciata una campagna di mobilitazione bellica organizzata dalla comunicazione che, inneggiando all’acquisto di armi e massacrando chiunque dissenta, ha lo scopo di semplificare in buoni e cattivi il contesto dinanzi a noi. In realtà siamo parte di quel contesto e dividere il mondo in buoni e cattivi, oltre che sbagliato e non vero, ci porta dritti dritti verso l’escalation del conflitto che ha un inevitabile esito viste, le forze in campo: la guerra mondiale. Stupisce, spaventa ed è profondamente sbagliato il linguaggio politico usato in queste settimane nel nostro Paese. Se la maggioranza del Parlamento usa il linguaggio della guerra, contribuendo a dividere l’umanità in due, da una parte il male e dall’altra il bene, mentre il dissenso non è tollerato perché “giova al nemico”, allora siamo in serio pericolo perché gli spazi del pensiero e della complessità sono finiti e con esso finisce la democrazia.

Secondo il rapporto dello European network against arms trade (Enaat) il budget del nuovo bilancio europeo per il 2021-2027 è aumentato di 13 volte rispetto al precedente. A guadagnarci sono lobbisti e aziende che fanno parte anche degli organi di consiglio della Commissione Ue. Cosa dovremmo mai farci con tutte queste armi? La guerra è il modo di pensare che oggi guida il mondo economico, scientifico e culturale. 

Rosy Bindi: "La guerra in Ucraina è una follia"

Ogni secondo conta: lo dice il segretario generale Onu

Qualche giorno fa il segretario generale delle Nazioni unite, Antonio Guterres, commentando l’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), ha denunciato come il ricorso alle fonti fossili e l’attuale mix energetico sia fallimentare, esponendoci al rischio di shock geopolitici. Ha aggiunto: "La rinuncia degli Stati a una leadership climatica è criminale. Ogni ulteriore ritardo significa morte. I più grandi inquinatori del mondo sono colpevoli di aver incendiato la nostra unica casa. Ovunque c’è gente ansiosa e arrabbiata. Lo sono anch’io. Ora è il momento di trasformare la rabbia in azione. Ogni frazione di grado conta, ogni voce può fare la differenza. E ogni secondo conta".

Bisogna dare forza e gambe alla stragrande maggioranza – a cui non viene data voce – che in Italia, in Europa e nel mondo non vuole la guerra e rappresenta l’unica opzione possibile che abbiamo per sopravvivere e convivere come specie vivente su questo pianeta: pace con giustizia sociale, ambientale ed ecologica. Abbiamo urgente bisogno di rappresentare questo punto di vista e non quello di chi, in maniera irresponsabile, soffia sul fuoco della catastrofe. Per ego, interessi o stupidaggine non cambia.

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