24 febbraio 2022
La guerra reale o minacciata, la guerra di cui ci accorgiamo solo quando si affaccia più vicina a noi e ai nostri interessi, ma che senza tregua insanguina tante regioni del mondo. La guerra che non “scoppia” all’improvviso, ma che – covata da chi se ne avvantaggia – lievita e poi dilaga con forza distruttiva, travolgendo persone, ecosistemi, patrimoni storici e culturali.
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Non sono solo gli Stati e le coalizioni a entrare in guerra fra loro. Prima, o nel frattempo, sono i potenti a dichiarare guerra ai propri popoli, i ricchi a lottare non contro la povertà ma contro i poveri, dolenti testimoni della loro ingiustizia, i violenti ad accanirsi contro i miti e i non-conformi, dalle cui mani dipende il futuro del pianeta.
Esiste un rapporto di forze che non è fra gli eserciti schierati, ma fra chi ha il potere della forza e chi, solo, speranza di giustizia. Chi è in condizione di decidere e chi no.
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E questo dovrebbe esserci più che mai chiaro oggi. Durante la pandemia sono infatti cresciute a livello planetario – inclusa l’Italia – la produzione e la vendita di armamenti. Mentre il mondo della medicina e della scienza si spendeva per salvare le vite dal Covid, altri spendevano per acquistare strumenti di morte, da mettere in mano a quelle stesse vite salvate. Ecco l’insensatezza della guerra, che inizia ben prima di scoppiare.
Di fronte a tutto questo la pace non può essere promossa in forma di appello generico, né, solo, di fideistica convinzione. Non può ridursi a ciò che don Tonino Bello – che la pace l’ha sempre praticata e non solo proclamata in forme retoriche e rassicuranti – chiamava il “monoteismo della pace”. C’è infatti un legame necessario fra pace e giustizia, fra pace e diritti umani, poiché solo se fondata sul riconoscimento della dignità delle persone la pace è vera e destinata a durare. Altrimenti è una traballante tregua, un accordo contingente mosso da interessi di altro genere.
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Oggi dobbiamo allora concepire la pace come una tensione, una costruzione quotidiana che comincia da ciascuno di noi, dai nostri rapporti più prossimi. Una società attraversata dalla competizione e dai conflitti sarà sempre terreno fertile per la guerra. Ma se impariamo a praticare l’ascolto, il confronto, il riconoscimento anche nei riguardi di chi ci appare meno simile e “conforme”, concimeremo campi di pace.
Il nostro pensiero e il nostro impegno vanno a chiunque nel mondo, indipendentemente dalle appartenenze e dai confini, s’impegna per smascherare la guerra non “fredda” ma nascosta, dalla quale esplode quella delle bombe e dei cannoni. Il nostro pensiero e il nostro impegno vanno a chi si mette in gioco in prima persona per vivere e per affermare la pace.
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