10 dicembre 2021
Popolare nel mondo, ma non nel suo Paese. È il destino di Michail Gorbaciov, ultimo segretario del partito comunista dell’Unione sovietica, colui che diede l’impulso alla perestrojka (in russo ricostruzione, ristrutturazione), l’insieme di riforme politiche, economiche e sociali avviate a metà degli anni Ottanta per rinnovare l’apparato statale e il Paese, poco prima della dissoluzione dell’Urss. Stando a diversi sondaggi del Levada Center (principale istituto indipendente di ricerche sociologiche in Russia), oggi l’apprezzamento dei russi nei confronti di Gorbaciov è il più basso tra quello rivolto ai leader sovietici e russi degli ultimi cento anni. Al suo opposto, l’attuale presidente Vladimir Putin raccoglie oltre l’80 per cento delle simpatie.
Vista la popolarità di Gorbaciov a livello internazionale, forse anche per lui vale l’adagio nemo propheta in patria. Eppure la faccenda è ben più complessa. È difficile trovare una figura tanto contraddittoria nella storia politica sovietica: il leader russo si ritrovò a dover gestire una serie di questioni delicate in un clima di crisi economica e morale, disfacimento e disillusione generale. Occorrevano riforme, e in fretta. Non potendo (né volendo) attendere i tempi necessari per concretizzare queste trasformazioni, l’Unione Sovietica si disfece in modo repentino e irreversibile.
Marta Lempart: "Sui diritti, la Polonia segue il Cremlino. L'Ue dovrebbe tagliarle i fondi"
Con quell’esperimento politico-economico sparì anche un intero mondo (dotato di un pensiero, una lingua, una società, una cultura, un orizzonte) e i suoi cittadini si trovarono inevitabilmente spaesati, privati di quella vettorialità un tempo loro imposta. A suo modo però, e con esiti eterogenei, la perestrojka gorbacioviana aveva gettato alcune basi, soprattutto in termini di riflessione civica. A questi aspetti è dedicato il testo di Michail Gorbaciov Ponjat’ perestrojku, otstojat’ novoe myšlenie (Capire la perestrojka, difendere un nuovo modo di pensare), pubblicato il 2 agosto 2021 sul portale Global affairs, di cui proponiamo un estratto.
Si sprofondava nella stagnazione. I dogmi ideologici tenevano sotto scacco la vita, la burocrazia controllava la societàMichail Gorbaciov
La perestrojka è passata attraverso diverse tappe, attraverso ricerche, illusioni, errori, conquiste. Se ricominciassi daccapo, farei molte cose diversamente. Tuttavia, sono convinto della giustizia storica della perestrojka. Questo significa che, in primo luogo, essa era necessaria e, in secondo, che andammo nella direzione corretta. Ai promotori della perestrojka vengono lanciate molte accuse e rimproveri: li si incolpa dell’“assenza di un piano preciso”, di “ingenuità”, di “tradimento del socialismo”. Alcuni sostengono che in generale la perestrojka non servisse. Di queste persone posso soltanto dire una cosa: hanno la memoria corta. Hanno dimenticato, o non vogliono ricordare, quale fosse la situazione morale e psicologica in cui si trovava la società sovietica prima del 1985.
La gente chiedeva cambiamenti. Tutti — sia i dirigenti che i cittadini comuni — percepivano a pelle che nel paese qualcosa non andava. Si sprofondava sempre più nella stagnazione. Di fatto si era interrotta la crescita economica. I dogmi ideologici tenevano in una morsa la vita intellettuale, culturale. La macchina burocratica reclamava il controllo totale sulla vita della società, ma non era capace di provvedere ai bisogni di base delle persone. È sufficiente ricordare cosa succedeva all’epoca nei negozi (Gorbaciov si riferisce qui alla mancanza cronica di prodotti e generi alimentari in quegli anni, NdT). In fretta si acuì la situazione sociale, l’insoddisfazione era generale. La maggioranza assoluta riteneva che non fosse più possibile vivere in quel modo. Queste parole non me le sono inventate, erano sulla bocca di tutti.
Ci toccò un’eredità pesante. Sapevamo che servivano cambiamenti enormi, radicali, sapevamo che questi cambiamenti sono sempre legati a un rischio, ma occorreva decidersi. Alla dirigenza del paese, al politbjuro c’era una completa unanimità sulla questione. Sarebbe stato strano avere pronto fin dall’inizio un programma delle riforme imminenti, quello stesso “piano preciso” della cui assenza ci fanno una colpa i critici della perestrojka. Da dove l’avremmo tirato fuori dopo vent’anni di stagnazione? Ci era chiaro che c’attendeva una difficile ricerca di un binario da percorrere e non facevamo finta di avere già l’“orario dei treni” sotto mano, una “tabella di marcia delle riforme”. Ciò però non significa che mancasse un obiettivo chiaro delle trasformazioni, la loro direzione fondamentale.
Fin dall’inizio della perestrojka c’era un leitmotiv, un filo rosso che passava attraverso tutte le tappe e determinava le nuove ricerche. La perestrojka era rivolta alle persone. Il suo obiettivo era liberare l’uomo, renderlo padrone del proprio destino, del proprio paese. Alla base del sistema che avevamo ereditato c’era il controllo totale del partito. Dopo la morte di Stalin il regime che lui aveva creato rigettò le repressioni di massa, ma non cambiò nella sostanza. Il sistema non si fidava delle persone, non credeva nella capacità del popolo di poter essere artefice della propria storia. Mentre noi, promotori della perestrojka, sapevamo che le persone, una volta ottenuta la libertà, avrebbero mostrato iniziativa ed energia creativa.
Dopo la morte di Stalin il regime che lui aveva creato rigettò le repressioni di massa
Siamo forse stati ingenui nella nostra fede nell’uomo, nel potenziale creativo del popolo? Posso testimoniarlo: alla dirigenza del paese, al politbjuro, di gente ingenua non ce n’era. Sulle spalle di ciascuno di noi c’era una grande esperienza. Ci furono discussioni e poi anche profonde divergenze, ma l’idea di fondo — una perestrojka per l’uomo — era sostenuta da tutti. La perestrojka fu pertanto un progetto umanitario di enormi dimensioni. Era una rottura con il passato (che aveva visto per secoli l’uomo sottomesso a uno stato autocratico prima e totalitario poi) ed era una svolta verso il futuro. Sta qui la rilevanza della perestrojka oggi, dacché una diversa scelta strategica può soltanto portare un paese in un vicolo cieco.
***
Una leva fondamentale dei cambiamenti e del coinvolgimento in essi della popolazione fu la “glasnost’” (letteralmente trasparenza, NdT). Non è un caso che questa parola sia spesso ricordata assieme a “perestrojka”. Io vidi nella glasnost’ il mio principale aiutante e questa mia opinione non è mutata, sebbene di critici della glasnost’ ce ne siano più che abbastanza. Tra loro ci sono anche personalità inaspettate, come Aleksandr Solženicyn. La glasnost’ gorbacioviana ha rovinato ogni cosa, disse una volta il grande scrittore. Si parla della stessa persona che scrisse: “la trasparenza onesta e totale è la prima condizione perché una società sia in salute”. Gli chiesi dove sarebbe Solženicyn se non ci fosse stata la glasnost’. Senza di essa non ci sarebbe stato nulla, nessun cambiamento, nessuna perestrojka. Ogni cosa si sarebbe impantanata in un’ideologia obsoleta e nella burocrazia amministrativa.
Scopri il nostro tag "Libertà d'espressione"
“La trasparenza onesta e totale è la prima condizione perché una società sia in salute”
L’antica parola russa “glasnost’” ha inglobato molti significati. È sia l’apertura della società, che la libertà di parola, che la responsabilità di chi governa davanti a chi è governato. Non è casuale che sia impossibile tradurla in altre lingue. La glasnost’ è iniziata, come tutto il resto nella perestrojka, dall’alto. Molti all’inizio ci videro l’ennesima forma di propaganda, di spiegazione alla gente del corso politico del partito. Tuttavia, io vidi il compito in tutt’altra cosa. Per la dirigenza sovietica dell’epoca della perestrojka, glasnost’ significava iniziare a dire la verità al proprio popolo sulla situazione del paese e del mondo circostante. La glasnost’ era un canale di comunicazione con il popolo, il quale ottenne la possibilità di dire ciò che pensava, comprese cose sempre più spesso poco piacevoli per chi governava.
Prima della glasnost', i dati sull'economia, sulle questioni sociali, sulla demografia venivano pubblicati dopo controlli e grandi cancellazioni
La glasnost’ è il diritto delle persone di sapere, la riduzione al minimo indispensabile di informazioni classificate e di ogni segretezza. Cosa succedeva prima? La scienza statistica era sotto il controllo della censura. I dati sull’economia, sulle questioni sociali, sulla demografia venivano pubblicati esclusivamente su delibera speciale del Comitato Centrale, con grandi omissioni e cancellazioni. Informazioni relative alla criminalità, indicatori ecologici e igienico-sanitari si conservavano sotto chiave. Le spese militari nelle loro dimensioni effettive erano un segreto. Non solo i cittadini, ma anche i dirigenti non avevano un quadro preciso di molti ambiti. Tutto ciò ora era una storia chiusa. In breve tempo la glasnost’ si evolvette nell’effettiva libertà di parola e di stampa. La gente poteva leggere decine di opere di scrittori russi e sovietici che prima non si pubblicavano o erano mutilate dalla censura. Tra queste vi è Arcipelago Gulag di Solženicyn, che fece scoprire a milioni di cittadini la verità sui crimini dello stalinismo.
La glasnost’ permise di discutere di qualsiasi argomento. Senza di essa la gente non avrebbe alzato la voce sui diritti dell’uomo, sulla libertà di coscienza, sulla libertà economica, sul mercato. È vero tuttavia che la glasnost’ aveva anche un’altra faccia. La libertà è sempre un rischio e quella di parola non fa eccezione. Nessuno ha ottenuto tanto dalla glasnost’ come la nostra intellighenzia, che utilizzò appieno le possibilità di parlare e scrivere liberamente. L’intellighenzia letteralmente si precipitò a far proprie nuove idee, a svilupparle, a giustificare la necessità di profondi cambiamenti. È anche vero però che in condizioni di libertà si palesò in fretta l’impreparazione di molti rappresentanti dell’intellighenzia, in particolare quelli con un certo “status”, davanti a cambiamenti ragionevoli e graduali; non comprendevano che la libertà è semplicemente inseparabile dalla responsabilità.
"La libertà è sempre un rischio e quella di parola non fa eccezione"
L’intellighenzia non fu capace di sostituire la nomenklatura del partito nella sfera governativa; non ne aveva le conoscenze né l’esperienza. I suoi rappresentanti si concentravano sulla critica e la denuncia del nostro passato, ma non riuscivano a proporre idee costruttive su come procedere nel futuro. Mentre aumentavano le difficoltà, il comportamento di molti intellettuali divenne sempre più deleterio e irresponsabile. Tutto ciò, tuttavia, non toglie significato storico alla glasnost’, non cancella la sua rilevanza oggi. La perestrojka ha confermato che un normale sviluppo della società esclude qualsiasi segretezza nel metodo di governo. Presuppone l’apertura, la libertà dell’informazione, la libertà dell’espressione da parte dei cittadini delle proprie posizioni politiche, delle convinzioni religiose e di altre opinioni, la libertà di critica in tutta la sua interezza.
***
Alla perestrojka toccò un’eredità pesante anche nella sfera della politica nazionale e delle relazioni federali. Non posso dire che io e i miei colleghi, che avevamo dato inizio alla perestrojka, vedessimo il problema in tutta la sua interezza. Oggi, chiaramente, è del tutto evidente che la preservazione e il rinnovamento di un paese che si presentava come “mondo dei mondi” — un conglomerato di popoli entro il quale, per volontà dei destini storici, si ritrovarono a convivere repubbliche tanto diverse come, ad esempio, l’Estonia e il Turkmenistan — costituissero oggettivamente un compito di una difficoltà colossale. Negli anni della perestrojka venne fuori tutto quello che si era accumulato in tal riguardo nel corso di secoli e decenni. Non penso che ci fosse qualcuno pronto a questo.
La trasparenza della pubblica è fondamentale per il buon funzionamento di uno Stato. Leggi i nostri articoli sul tema
"Alla perestrojka toccò un’eredità pesante anche nella sfera della politica nazionale e delle relazioni federali"
Storicamente l’Unione Sovietica era erede dell’Impero russo. Quest’ultimo era una “prigione dei popoli”? Se sì, allora va detto che il primo tra i prigionieri era il popolo russo. Anche in epoca staliniana esso sopportò non meno privazioni e tormenti di altri popoli sovietici. Fu così, ma poteva andare anche altrimenti: si poteva avere un’esperienza di convivenza e creazione collettiva, unita alla possibilità di preservare in nuove forme il meglio di questa esperienza. Perché questa alternativa non si è realizzata?
Nei suoi discorsi il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin più di una volta ha addossato la responsabilità principale per il collasso dell’Unione Sovietica al concetto leninista di “federazione”, al principio da esso derivante di “sovranità” delle repubbliche sovietiche e alla possibilità di “autodeterminazione” che ammetteva la separazione. Sorge però una domanda: sta davvero qui la ragione del collasso? Sappiamo che sono crollati molti imperi e stati le cui costituzioni non ammettevano questa possibilità.
Credo che le ragioni vadano cercate altrove. Sotto Stalin questo stato multinazionale prese a degenerare in un sistema unitario rigido e iper-centralizzato. Il centro decideva e controllava tutto. Inoltre, Stalin e i suoi sodali ridisegnavano arbitrariamente i confini, come confidando che nessuno potesse nemmeno pensare a se stesso fuori dall’URSS. I problemi nazionali vennero gettati in fondo all’armadio, ma da lì non si sono mai mossi. Dietro alla facciata di “prosperità e coesione dei popoli sovietici” si nascondevano questioni spinose, la cui risoluzione non veniva cercata. Stalin considerava qualsiasi richiesta nazionale e disputa transnazionale come qualcosa di natura antisovietica e sopprimeva ogni questione, non perdendo tempo a soppesarla.
"All'inizio abbiamo sottovalutato l'entità e la gravità della situazione"
Era inevitabile che in condizioni di democratizzazione e di maggiore libertà tutto questo sarebbe venuto a galla. Bisogna riconoscere che all’inizio ne sottovalutammo l’entità e la gravità. Quando però la questione emerse, non potevamo agire utilizzando i vecchi metodi di soppressione e divieto. Ritenevamo che occorresse percorrere un’altra strada, cercare approcci ponderati e soppesati, agire attraverso metodi di persuasione. (…) Nel biennio 1987-1988 cercai di elaborare un approccio univoco e democratico alle dispute transnazionali. In sostanza, secondo questo approccio, le problematiche nazionali andavano risolte solamente nel contesto di una riforma politica ed economica. Occorre dire che in origine i movimenti nazionali nelle repubbliche baltiche, in Moldavia, Georgia e Ucraina sostenevano la perestrojka con i loro slogan. La questione di un’uscita dall’Unione Sovietica nel 1987 non era discussa da nessuno.
Tuttavia, molto in fretta all’interno dei movimenti nazionali presero il sopravvento le tendenze separatiste, mentre i leader del partito nelle repubbliche non erano capaci di lavorare in condizioni democratiche. Erano confusi. Questo emerse in maniera evidente in Georgia quando, nell’aprile del 1989, la gente uscì in strada e in piazza a Tbilisi. Invece di andare incontro al popolo, i membri del Comitato Centrale del partito comunista georgiano preferirono restarsene in un bunker. Ciò portò alla tragedia: fu adoperata la forza per “ripulire” la piazza dai manifestanti, morirono 21 persone, decine furono i feriti
"Posso affermare con la coscienza pulita che la decisione di disperdere la manifestazione a Tbilisi fu presa alla mie spalle, contro la mia volontà"
È gravoso ricordare questi avvenimenti. Posso però affermare con la coscienza pulita che la decisione di disperdere la manifestazione a Tbilisi fu presa alla mie spalle, contro la mia volontà. Allora come in seguito, mi sono attenuto strenuamente al mio credo: occorre risolvere i problemi più complessi con mezzi politici, senza utilizzare la forza, senza spargere sangue.
***
Il collasso dell’Unione Sovietica ha interrotto la perestrojka, ma esso non ha affatto costituito — come ancora oggi sostengono i miei detrattori e coloro che non comprendono la sostanza di quell’epoca — il suo “risultato finale”. In generale poi, la perestrojka va valutata non in base a ciò che è riuscita o non è riuscita a dare, ma in base all’entità della svolta che ha incarnato per la storia millenaria della Russia, in base alle ripercussioni positive che ha avuto per il mondo intero.
Mi domandano spesso come io valuti le singole decisioni prese in quegli anni, cosa sia stato giusto, che cosa errato. Certamente abbiamo commesso errori. Di alcuni ho già parlato. Occorreva riformare prima il partito, decentralizzare l’Unione Sovietica, avere più coraggio nella riforma dell’economia. Tuttavia, i risultati effettivi della perestrojka sono questi: la fine della guerra fredda, una serie di accordi sul disarmo nucleare privi di precedenti, la conquista di diritti e libertà per le persone — libertà di parola, associazione, fede, movimento, libere elezioni, multipartitismo. E, cosa più importante, abbiamo condotto il processo di cambiamento fino a un punto in cui non era possibile riportarlo indietro.
Abbiamo condotto il processo di cambiamento fino a un punto in cui non era possibile riportarlo indietro
Dopo la fine della perestrojka, per la Russia e le altre repubbliche la strada si è fatta difficile e accidentata. La rottura dei legami, scelte economiche poco ponderate, l’immaturità e l’assenza di un’autentica formazione democratica dei leader giunti al potere hanno condotto a conseguenze drammatiche e talvolta tragiche. Criticare la perestrojka, incolpare i suoi promotori di ogni difetto, distruggere si è rivelato semplice, mentre creare qualcosa di nuovo sulla base di rovine autoprodotte era ben più arduo. Io misi in guardia davanti alle conseguenze cui avrebbero portato il radicalismo e l’irresponsabilità che regnavano in Russia negli anni Novanta. Questi avvertimenti sono stati confermati. Il danno fu arrecato non soltanto all’economia, ma anche agli istituti democratici.
Siamo ancora lontani dagli obiettivi posti all’inizio delle nostre trasformazioni, ovvero una periodica alternanza politica e la creazione di meccanismi affidabili che permettano alle persone di influire davvero sulle decisioni da prendere. In ogni caso, i decenni passati non hanno rappresentato né un arretramento, né una stasi. In tutti questi anni, muovendo talvolta delle critiche e non di rado elogiando quanto avveniva, ho invitato a conservare gli ideali e i valori della perestrojka. Si tratta di punti di riferimento senza i quali è facile perdere la strada.
***
Oggigiorno nessuna sfida e nessuna minaccia con cui l’umanità si è scontrata nel nuovo millennio hanno come risoluzione la guerra. Nessun grande problema può risolversi con gli sforzi di un solo paese o gruppo di stati. All’uscita dalla guerra fredda, la comunità mondiale formulò una serie di compiti concreti che la nuova generazione di leader globali avrebbe ereditato: lo smantellamento delle armi di distruzione di massa, il superamento della povertà nei paesi del “terzo mondo”, la garanzia per ogni individuo di uguali opportunità negli ambiti dell’istruzione e della sanità, la risoluzione delle problematiche ambientali. Nel corso delle sue sedute e conferenze, l’Organizzazione delle Nazioni Unite è stata costretta a constatare che il progresso nella risoluzione di questi compiti non è sufficiente.
Questa constatazione non è un verdetto finale per l’attuale generazione di leader. Deve però costringerli a riconsiderare seriamente le proprie linee politiche e a tenere conto dell’esperienza dei predecessori che hanno avuto a che fare con minacce ancora più pericolose. Quest’esperienza non può essere cancellata. Spero che il mio rammentare gli obiettivi e i valori della perestrojka e del nuovo modo di pensare di allora aiuterà i lettori a riconsiderare l’attualità. Voglio che si conservi il legame tra i tempi, che non si interrompa il dialogo tra passato e presente. Conoscere la verità sul passato e trarne delle lezioni per il futuro è necessario per tutti noi in un mondo che cambia.
Crediamo in un giornalismo di servizio ai cittadini, in notizie che non scadono il giorno dopo. Aiutaci a offrire un'informazione di qualità, sostieni lavialibera
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti
Record di presenze negli istituti penali e di provvedimenti di pubblica sicurezza: i dati inediti raccolti da lavialibera mostrano un'impennata nelle misure punitive nei confronti dei minori. "Una retromarcia decisa e spericolata", denuncia Luigi Ciotti
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti