22 febbraio 2022
VARSAVIA - Alah ci invia le ultime novità da Minsk via WhatsApp. Le autorità bielorusse gli hanno lasciato solo tre opzioni: o riprova a entrare in Polonia e rischia la vita, o torna nel suo Paese e rischia la vita, o viene arrestato. "Ho cambiato casa, ma non so per quanto tempo ancora riuscirò a nascondermi", dice. Alah ha 25 anni ed è di Damasco, in Siria. Racconta di una città tranquilla rispetto ad altre, dilaniate dai conflitti. Ma una lettera in arrivo non lo faceva dormire la notte: quella per il servizio di leva che presto l’avrebbe catapultato al fronte. Ecco perché è diventato uno dei tanti migranti che nei mesi scorsi sono atterrati a Minsk. Come molti, sperava di sistemarsi in Germania. Invece è rimasto intrappolato nelle maglie di un cinico gioco politico che ha come protagonisti il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko e i governi degli Stati alle porte orientali dell’Ue: Polonia, Lettonia e Lituania.
Ai migranti rimasti, Minsk dà tre opzioni: ritentare la sorte alla frontiera, rientrare nel proprio Paese, l’arresto
Il presidente bielorusso è stato accusato di essere l’artefice di una "guerra ibrida", favorendo l’immigrazione clandestina in Europa attraverso i propri confini. I Paesi di frontiera hanno reagito con chilometri di filo spinato. Una mossa che ha incassato il beneplacito della democratica Unione, terrorizzata dalle "nuove armi di Lukashenko": uomini, donne e bambini che per settimane si sono nascosti nella foresta, al freddo e senza cibo né acqua, nel tentativo di raggiungerla. In ottomila, dati Frontex, ci sono riusciti. Qualcuno ci sta ancora provando. In molti no.
Come la Polonia respinge i migranti, violando il diritto d'asilo
L’ultima vittima conosciuta risale al 6 gennaio scorso: si chiamava Avin, aveva 38 anni ed era mamma di cinque bambini. Ne aspettava un altro che ha perso in ospedale subito dopo essere stata soccorsa. Poi anche lei non ce l’ha fatta. Oggi la conta dei morti supera le 20 persone, ma secondo le associazioni umanitarie si tratta di una stima al ribasso, in attesa che la primavera restituisca molti corpi. Tra i sopravvissuti, c’è chi adesso si trova in un centro di detenzione nel Paese Ue d’arrivo ed è in attesa che la propria richiesta di asilo venga vagliata, chi ha accettato di tornare in patria e chi ha deciso di fermarsi a Minsk, ricevendo nelle ultime ore un ultimatum. Come Alah: "Anche se siamo bloccati nella capitale bielorussa e la nostra situazione è pessima – commenta – non possiamo pensare di tornare in Siria, dove le condizioni sono persino peggiori e ci invidiano per essere arrivati fin qui".
Migranti dalla Bielorussia, dietro l'esodo iracheno la paura di un nuovo Afghanistan
È l’epilogo di una vicenda iniziata nella primavera 2021, quando in molti Paesi del Medioriente si è diffusa la voce dell’esistenza di una nuova rotta facile ed economica per l’Europa. Aras Palani, un curdo iracheno che oggi fa il traduttore volontario per Grupa Granica, sigla sotto cui sono riunite più organizzazioni non governative polacche impegnate nella difesa dei diritti umani, spiega quanto successo con una storiella popolare dalle sue parti. Narra la vicenda di un uomo che entra in una moschea e, non trovando neanche uno spazio libero per pregare, dice ad alcuni fedeli che all’esterno stanno offrendo del cibo. In pochi minuti la moschea si svuota e alla fine anche l’autore della falsa notizia, rimasto da solo, si convince a uscire per vedere se davvero qualcuno fuori sta regalando da mangiare, come dicono tutti. Lo stesso – crede Palani – è capitato con la tratta bielorussa. Quest’estate il successo del viaggio era così garantito da convincerlo fosse la strada migliore per riunire la propria famiglia nel Regno Unito, dove lui ormai vive da oltre vent’anni: più facile persino delle pratiche per il ricongiungimento familiare che, come cittadino britannico, ha più volte chiesto e più volte si è visto negare. "I criteri sono troppo stringenti – afferma –. Abbiamo provato tante altre strade senza successo. Poi è saltata fuori questa novità ed è come se si fosse aperta una grande finestra. Ho telefonato a mia moglie e ai miei figli e gli ho detto di volare a Minsk".
La nuova via per l’Europa ha assunto i contorni del mito grazie a un passaparola sia spontaneo sia indotto da trafficanti e agenzie di viaggio che hanno visto nell’occasione una fonte di lucro. Ma nulla sarebbe stato possibile se Lukashenko non avesse modificato le regole d’ingresso nel Paese, seguendo una precisa strategia politica. Cosa sia cambiato lo rivela a lavialibera Aleksandr Azarov, ex ufficiale bielorusso fuggito in Polonia nel 2020, dopo aver assistito – spiega – ai brogli elettorali che hanno determinato la sconfitta di Svetlana Tikhanovskaya, la sfidante dell’attuale presidente. Ora Azarov è componente di ByPol, gruppo di esponenti delle forze dell’ordine impegnato nel denunciare i crimini di Lukashenko, ma in patria era a capo di un dipartimento della Direzione per la lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione. Tra le altre cose, si occupava di contrastare l’immigrazione clandestina. "Ogni anno – dice – il governo stila una lista di Paesi considerati problematici sotto il profilo migratorio, come Afghanistan, Iraq, Vietnam, Siria, Pakistan e Nigeria. Le persone che si trovano in questi Stati possono avere il permesso di entrare in Bielorussia solo per particolari motivi".
La regola sarebbe venuta meno a maggio scorso, quando le autorità "hanno cominciato a rilasciare il visto turistico a chiunque e senza alcuna limitazione". Il risultato è stata una migrazione che una nostra fonte a Minsk ha descritto con le parole "mai vista" e non solo per quantità, anche per tipologia: "Famiglie e giovani uomini della piccola e media borghesia che dormono negli alberghi al centro della città". I giornali bielorussi parlano di circa ventimila persone, però non esistono dati ufficiali attendibili. Tra loro, siriani, afghani, ma soprattutto iracheni. E proprio a partire da maggio 2021, Dossier center, un centro investigativo che ha condotto un’indagine su questi viaggi insieme al quotidiano tedesco Der Spiegel, ha riscontrato un incremento dei passeggeri sui voli da Baghdad a Minsk, tanto che la compagnia aerea Iraqi Airways ha aggiunto una corsa in più a settimana: erano quattro, sono diventate cinque.
Per i familiari di Palani ottenere il necessario alla partenza è stato semplice. È bastato rivolgersi a uno dei tanti operatori turistici dell’Iraq. Loro si sono occupati di acquistare i biglietti aerei, ma soprattutto di recuperare il visto grazie all’intermediazione di un’agenzia di viaggi a Minsk: in tutto sono una dozzina quelle che avrebbero favorito il giro d’affari. Stando ai documenti ottenuti dal centro investigativo, un ruolo centrale l’ha svolto CenterKurort, una compagnia turistica statale incorporata nell’ufficio di Lukashenko.
"Gli iracheni che abbiamo intervistato – ci ha scritto un portavoce di Dossier center – hanno ricevuto il visto non dal ministero degli Esteri bielorusso, ma da questa agenzia". Il più rilasciato era legato a battute di caccia nella foresta bielorussa perché permetteva di evitare i giorni di autoisolamento imposti dalle norme anti-covid. L’hanno ottenuto tanto gli uomini quanto le donne e i bambini. Sia Alah sia Ares dicono che a novembre il costo del pacchetto base si aggirava intorno ai quattromila euro a persona e comprendeva: visto, soggiorno in un hotel di Minsk, volo di andata così come quello di ritorno, il cui acquisto era obbligatorio. Il prezzo totale del viaggio, inclusi gli spostamenti all’interno dell’Europa, non superava i diecimila euro.
Tutti i migranti con cui abbiamo chiacchierato hanno raccontato che per muoversi dal centro della capitale bielorussa alla zona di confine si sono auto-organizzati con taxi, pulmini privati o mezzi pubblici. Ma Azarov sostiene che nelle prime settimane erano gli uomini delle forze speciali del Paese ad accompagnarli alla frontiera. Poi non ce ne sarebbe stato più alcun bisogno e si sono limitati – su questo le testimonianze concordano – a impedirgli di fare marcia indietro, spesso minacciandoli con dei cani, nonché a fornire strumenti utili per passare dall’altra parte.
A maggio le autorità hanno iniziato a rilasciare il visto turistico a chiunque, senza limitazioni
L’ex ufficiale aggiunge qualche dettaglio in più parlando di un piano ideato dal Kgb, l’intelligence dell’ex repubblica socialista, in sinergia con l'Fsb, la controparte di Mosca. "Si chiama operazione Chiusa – prosegue – e quando hanno deciso di lanciarla hanno modificato anche la norma che impedisce ai migranti di avvicinarsi alla zona di confine, pena multa, rimpatrio, o arresto. Sono stati lasciati liberi di circolare". Affermazioni che sembrano trovare conferma nelle dichiarazioni di una guardia di frontiera di Minsk raccolte da una giornalista del quotidiano polacco Gazeta Wyborcza: "Sappiamo che le autorità stanno conducendo quest’operazione in collaborazione con i servizi di sicurezza – ha detto –. Abbiamo l’ordine di non fermare i migranti irregolari, non dobbiamo né mandarli nei centri temporanei né controllare la loro identità". Rispondendo alla Bbc, Lukashenko ha giudicato "assolutamente possibile" che le sue forze dell’ordine abbiano aiutato i migranti ad attraversare la frontiera. Del resto, il 22 giugno lui stesso ha reso pubblico il nuovo corso dicendo di non essere più intenzionato a proteggere l’Unione né dai trafficanti di droga né dalle persone in transito.
Motivo ufficiale della rappresaglia: le sanzioni adottate dal Consiglio Ue per la repressione portata avanti dall’ultimo dittatore d’Europa nei confronti dell’opposizione, culminata il 23 maggio con il dirottamento del volo Ryanair su cui viaggiavano l’attivista Roman Protasevich e la fidanzata Sofia Sapega, entrambi arrestati. Motivo ufficioso, secondo alcuni, far in modo di rendersi insostituibile agli occhi dell’alleato Vladimir Putin e sostenere le sue ambizioni in Ucraina. Anche alla Bbc, però, Lukashenko ha continuato a negare di aver "invitato i migranti" e incolpato della situazione l’Ue che, introducendo le nuove misure, sarebbe venuta meno a un accordo di riammissione siglato con Minsk. Un patto che permette agli Stati europei di rispedire indietro chi arriva dalla Bielorussia, in cambio di fondi per la costruzione di strutture destinate a queste persone. In altre parole, di tanti soldi per tenere chiuse le porte d’Europa.
(hanno collaborato Fabio Turco e Abdel Hatimy)
La nostra cronaca dal confine polacco
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