12 ottobre 2021
Con i se e con i ma non si racconta la storia. Soprattutto una storia complessa, dove le variabili sono tante e le interpretazioni anche di più. Nella storia della condanna a 13 anni e due mesi di reclusione, in primo grado, nei confronti di Domenico Lucano, ex sindaco di Riace, i se e i ma sono davvero tanti. Ma i giudici non avrebbero dovuto considerare il modello di accoglienza di Riace come un modello virtuoso? Ma Lucano e i suoi amici e colleghi hanno davvero commesso dei reati economici e fiscali, e delle irregolarità amministrative? E se i giudici avessero evitato di esercitare l’azione penale invece di cancellare quell’esperienza col rigore della legge? E se Lucano, amici e colleghi, avessero in fondo avuto solo a cuore la realtà di Riace? E se i giudici, che hanno deciso per una pena che è quasi il doppio di quanto chiesto dalla pubblica accusa, avessero solo cercato di dare un segno di indipendenza dalla mediaticità del processo e del suo imputato? Ma se Lucano non fosse stato il Lucano degli articoli dei media stranieri, dei documentari o degli articoli accademici sull’accoglienza ai migranti, ci sarebbero stati il processo, la sentenza e la reazione alla sentenza?
L'esilio, la resistenza e la condanna: le tappe del processo a Mimmo Lucano
Con i se e con i ma non si racconta nessuna storia, se non quella critica, a posteriori. E non ci sono ancora le motivazioni della sentenza che tanto ha fatto scalpore lo scorso 1° ottobre. Quella sentenza forse ci spiegherà perché, per i giudici del tribunale di Locri, Mimmo Lucano non solo era a capo di un’associazione a delinquere, ma soprattutto era intenzionato a frodare lo Stato, farsi beffe della burocrazia, manipolare l’utilizzo di fondi pubblici, locali ed europei, e abusare di fatto del suo ruolo di sindaco. La sentenza forse ci racconterà Riace come quel luogo che da fuori era guardato come modello di accoglienza e solidarietà, ma che da dentro era solo una messa in scena per accaparrarsi fondi e "vantaggi politici".
Se Riace, destinata all'abbandono, ha avuto una chance, lo deve a chi ha manovrato il sistema per valorizzare la comunità locale
Ma attenzione. Perché in realtà al centro di questa storia, ancor più che Mimmo Lucano e la sua squadra di amministratori, c’è proprio Riace. Tanti stentiamo a ricordarlo, inclusi i pubblici ministeri per quel che si legge nella requisitoria di maggio 2021, e quanti oggi sono concentrati sulla pena esorbitante, sul diritto applicato e sul cosiddetto processo politico alla solidarietà.
C'era una volta Riace. Quel che resta di un sogno
Riace, come tanti paesi dell’entroterra reggino-ionico, rischia di essere di nuovo, ancora una volta, obnubilata, dimenticata, condannata all’oblio. Riace, che sta in balia di interessi di ‘ndrangheta, di politica predatoria, di amministrazioni regionali e provinciali scontente e disattente. Riace, che la sua gente abbandonerà, perché non ha futuro. Riace, che non ha una chance, e quando l’ha avuta è stato solo perché probabilmente qualcuno (leggi Lucano e la sua squadra) ha manovrato il sistema di finanziamento in modo da dirottare fondi destinati all’accoglienza migranti anche allo sviluppo del paese, al "lavoro in generale", per dirla con Lucano, alla valorizzazione della comunità locale. Si trattava di un modello reticente al controllo, al displinamento e alla vittimizzazione, sia del migrante sia del cittadino, pertanto un modello de-istituzionalizzante. No, Riace – come quasi tutta la Calabria con certi paesini aggrappati alle montagne per miracolo, ed altri frananti verso le spiagge senza reti – una chance di crescita, o forse proprio di salvezza, non ce l’ha più. Il modello di accoglienza di Riace rispondeva a una volontà di integrare i migranti in paese, non soltanto per aiutare loro, ma per aiutare Riace, per dare una chance a Riace. Se altri fondi e finanziamenti non c’erano, perché non utilizzare i fondi destinati all’accoglienza in modo creativo, per aiutare anche Riace? Perché aiutare i migranti e aiutare i cittadini era, in fondo, la stessa cosa.
Si possono quindi giustificare, in nome della salvezza dei luoghi, una serie di condotte creative, quando diventano condotte illegali?
Distrutto il modello di accoglienza, condannato Lucano che ne era il suo più fiero promotore, a Riace oggi rimangono le rovine di quel modello di potenziale sviluppo solidale. Svuotata la comunità, sventrate le casse comunali, Riace torna a languire. Si possono quindi giustificare, in nome della salvezza dei luoghi, una serie di condotte creative, quando diventano condotte illegali? Si può giustificare, legalmente, il disprezzo per la burocrazia e per la destinazione dei fondi fino alla manipolazione dei diktat dello Stato, quando dall’altra parte c’è un’amara terra di Calabria e una volontà, confusa, illusoria e forse ingenua, di renderla meno amara?
Amara Calabria, dove la politica è una tragicommedia e i compromessi sono al ribasso
Il filosofo politico e del diritto Ronald Dworkin scrisse nel 1977 un testo, molto contestato, titolato Taking rights seriously (I diritti presi sul serio). Dworkin apparteneva alla corrente di pensiero che sosteneva la necessità di adoperare la morale a correzione del diritto in casi giudiziari complessi. Dworkin soprattutto suggerisce come la disobbedienza civile possa giustificarsi qualora i disobbedienti agiscano per motivazioni migliori – moralmente superiori – rispetto a quelle di chi viola il diritto per ragioni di avidità o per sovvertire l’ordine di governo. In questo tipo di disobbedienza il filosofo rileva la sussistenza del diritto individuale, inalienabile, di considerare le leggi dello Stato a volte semplicemente distanti dalla concretezza della complessità sociale. Le leggi e gli ordini dello Stato finiscono talora per ledere il diritto individuale all’eguaglianza sostanziale. E questo diritto individuale va preso sul serio dalla politica, soprattutto quando lo Stato ha tante facce, non tutte facilmente comprensibili dai cittadini.
Sicuramente della condanna di Lucano si discuterà per anni. Ma dell’ineguaglianza nell’esercizio dei diritti individuali che regna sovrana in terra di Calabria, dell’assopimento a cui è stata (ri)condannata Riace – come tanti altri paesi – a seguito di questa vicenda giudiziaria che da Riace è nata ma su Riace non si è poi centrata, dovrebbe parlarne la politica, non il diritto. E, per dirla sempre con Dworkin, certamente non il diritto di "sonnambuli etici", perché la dignità, anche quella di Riace, è indivisibile.
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