30 agosto 2021
L'ultimo volo dell'aeronautica militare partito da Kabul è atterrato a Roma sabato. Da giugno il ponte aereo umanitario tra l'Afghanistan e l'Italia ha consentito l'evacuazione di circa cinquemila persone: famiglie di interpreti, collaboratori e attivisti per cui servono case e finanziamenti. Ma il sistema di accoglienza, soprattutto dopo i tagli voluti dall'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini e dal primo governo Conte, è in difficoltà. Non ci sono posti né soldi. E in attesa di un decreto ad hoc, previsto in settimana (ma già slittato), il Viminale ha diffuso una circolare per far leva sulla disponibilità di privati e associazioni che forniranno alloggio e assistenza agli afghani, a spese loro. La dimostrazione di una macchina in affanno. "Il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione che firma la circolare, guidato dai tempi di Salvini da Michele Di Bari, è lo stesso responsabile della pessima gestione del sistema di accoglienza che dal 2018 ha drasticamente ridotto la qualità dei servizi – denuncia Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) –. Oggi chiede aiuto ai privati per dare assistenza a richiedenti asilo e rifugiati che hanno supportato la missione italiana, verso cui lo Stato avrebbe l'obbligo di provvedere".
"L'ennesimo tentativo dello Stato di scaricare sul privato sociale, e sui privati, le proprie responsabilità", Filippo Miraglia, responsabile immigrazione Arci, e Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio itaiano di solidarietà
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Sotto il coordinamento della Protezione civile, gli afghani arrivati in Italia in queste ore sono stati accolti in strutture messe a disposizione dal ministero della Difesa e dalle Regioni, dove trascorreranno la quarantena. Terminato il periodo di isolamento sanitario, dovranno essere inseriti nel Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), la rete di seconda accoglienza che nel 2020 è andata a sostituire il Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati (Siproimi), ed è destinata sia a rifugiati sia ai richidenti asilo. La gestione è affidata al Ministero dell'Interno in collaborazione con l'Associazione nazionale dei comuni (Anci), grazie a cui gli enti locali possono realizzare progetti per l'integrazione e l'accoglienza dei migranti accedendo al Fondo nazionale per le politiche e i servizi di asilo. L'ultimo rapporto, però, evidenzia che la capienza delle strutture è già al limite: nel 2020 i posti disponibili erano 31.324 e i beneficiari 37.372. Il governo ha annunciato il varo di un decreto con cui la rete verrà ampliata attraverso dei finanziamenti ad hoc. Ma non si sa ancora quanti saranno i soldi né quanti enti parteciperanno. Inoltre, i posti non saranno disponibili prima di un paio di mesi.
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In alternativa al Sai è prevista la possibilità di inserimento nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) che non solo devono già far fronte al regolare flusso di migranti, ma non sono adatti a ospitare famiglie. Si tratta di strutture dipendenti a livello centrale dal ministero dell'Interno e a livello periferico dalle prefetture che attraverso dei bandi ne affidano la gestione ai privati. E se non mancano gli esempi positivi, assicura Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell'Arci, tante realtà "sono nelle mani di persone che non hanno alcuna esperienza nell'accoglienza". La situazione è peggiorata nel 2018, quando il secondo decreto dell'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini ha introdotto un nuovo schema di capitolato di appalto ministeriale (un documento tecnico che serve a definire le regole del rapporto tra il committente, cioè la prefettura, e l'appaltatore, ovvero l'ente gestore) che ha determinato una riduzione delle risorse offerte e dei servizi a disposizione. Nonostante la parziale marcia indietro di Luciana Lamorgese, che ha sostituito Salvini nel secondo governo Conte, "i livelli di assistenza sono rimasti bassissimi", spiega Schiavone. "Hanno sacrificato risorse fondamentali come la mediazione linguistica, l’assistenza psicologica, l’integrazione social e i corsi di italiano. I Cas sono discariche umane in cui mandare i richiedenti asilo, inclusi quelli afghani".
Da qui la "necessità di adottare ogni utile iniziativa per assicurare l'accoglienza dei nuclei familiari trasferiti in Italia", puntando sul coinvolgimento di privati, organizzazioni non governative e associazioni del terzo settore. Realtà che, stando a quanto scritto nella circolare del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, dovrebbero impegnarsi a "provvedere, con le proprie risorse professionali ed economiche, a fornire, secondo standard adeguati, ospitalità, accoglienza e assistenza alle persone beneficiarie". Sono stati in centinaia a dare la propria disponibilità, ma se da un lato la solidarietà e il coinvolgimento sono lodevoli, dall'altro è "l'ennesimo tentativo dello Stato di scaricare sul privato sociale, e sui privati, le proprie responsabilità", dicono Miraglia e Schiavone.
"L'associazionismo può sostituirsi allo Stato per denunciarne le lacune, ma la sostituzione non può diventare prassi, come accaduto in questi anni. Gli afghani hanno subito dei traumi e hanno bisogno di essere seguiti da personale qualificato" Filippo Miraglia - responsabile immigrazione Arci
"L'associazionismo può sostituirsi allo Stato per denunciarne le lacune, ma la sostituzione non può diventare prassi, come accaduto in questi anni", prosegue Miraglia, aggiungendo che in queste ore sono tanti gli italiani che chiamano l'Arci per offrire le proprie case agli afghani. "Ma è lo Stato a doversi occupare di loro – precisa Miraglia –. Queste persone hanno bisogno di essere assistite da chi ha le competenze per farlo: vanno aiutate a superare i traumi subiti e poi nelle procedure necessarie per fare richiesta di asilo, integrarsi nella società e trovare lavoro. Precedenti esperienze hanno dimostrato che soluzioni del genere non sono durature e generano conflitti: in molti casi è stato necessario ricorrere agli avvocati".
L'altra sfida è l'Europa. I politici Ue da un lato esprimono solidarietà verso gli afghani, dall'altro non sono disposti all'accoglienza: un esempio è l'Austria che ha annunciato di voler continuare i rimpatri verso il Paese. Un'ambivalenza su cui si è espresso anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. "Non è all'altezza dei valori della Ue", ha sottolineato a Ventotene, in occasione degli 80 anni del Manifesto che ha posto le basi per l'Europa unita. Per il Capo dello Stato quanto successo a Kabul "ha messo in evidenza la scarsa capacità di incidenza dell'Unione europea, totalmente assente negli eventi (...). Soltanto una politica di gestione del fenomeno migratorio dell'Unione può essere in grado di governarlo in maniera ordinata, accettabile, legale".
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Nei prossimi giorni il Tavolo asilo presenterà delle richieste al governo italiano, perché si impegni a promuovere a livello europeo delle azioni per evacuare dall'Afghanistan quante più persone possibile e accoglierle. Anna Brambilla, avvocato dell'Associazione italiana per gli studi giuridici sull'immigrazione (Asgi), spiega che esistono già diversi strumenti giuridici che possono essere utilizzati come il rilascio dei visti per il ricongiungimento familiare e per motivi di studio. Basta applicarli. Si potrebbe poi ricorrere alla direttiva europea 55 del 2001 che consente di far fronte agli afflussi massicci di profughi, concedendo una protezione temporanea, però immediata. Ma in questo caso servirebbe un accordo tra gli Stati dell'Unione. Che in questo momento sembra difficile da raggiungere.
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