9 novembre 2021
Hanno provato a far venir giù il muro di filo spinato con alberi e cesoie. La guardia di frontiera polacca ha risposto lanciando gas lacrimogeni. Alcuni si sono rifugiati nella foresta, altri hanno deciso di resistere e piantare le tende davanti ai soldati. È quanto sta succedendo alle porte di Kuznica, piccolo villaggio della Polonia al confine con la Bielorussia, dove nelle scorse ore sono arrivati migliaia di migranti: una fiumana di gente in marcia, come documentano diversi video pubblicati sui social dalle autorità di Varsavia e dai media. “È il più imponente afflusso di persone dall’inizio della crisi migratoria al confine orientale della Polonia”, commenta a lavialibera una volontaria della Fundacja Ocalenie, associazione che cerca di offrire supporto a chi è in arrivo: uomini, donne incinte e bambini che rischiano la morte rimanendo per settimane intrappolati nella foresta, al freddo e senza cibo.
Grupa migrantów znajduje si? obecnie w okolicach Ku?nicy pic.twitter.com/w5VxXp9QqQ
— Ministerstwo Obrony Narodowej ?? (@MON_GOV_PL) November 8, 2021
Per il portavoce del governo polacco Piotr Müller è solo l’inizio, perché altre gambe sono in cammino. Sono le nuove armi di Alexander Lukashenko, presidente bielorusso, impegnato da mesi in quella che l’Unione europea denuncia essere una “guerra ibrida”: permette a iracheni, siriani e afghani di arrivare a Minsk, capitale della Bielorussia, e poi di dirigersi al confine con gli Stati dell’Unione. Destinazione Germania, Europa. Diverse testimonianze dicono che sono gli stessi soldati di Lukashenko a spingere i migranti verso la frontiera, dove le guardie polacche li rispediscono indietro in un cinico rimpallo. Situazione che, nelle ultime ore, ha portato Bruxelles a chiedere nuove sanzioni contro la Bielorussia.
Gli argomenti:
La grande marcia verso Kuznica è iniziata domenica sera dal centro di Minsk. Almeno un migliaio di persone si sono dirette al confine con la Polonia, scortate – secondo le ricostruzioni ufficiali – dai soldati bielorussi. Hanno trovato la strada sbarrata dai militari polacchi. Mariusz Blaszczak, ministro della difesa di Varsavia, ha parlato di uno schieramento di oltre 12mila uomini. Sono stati mobilitati anche i cosiddetti terytorialsi: un’unità di difesa istituita nel 2017 che ha il compito di assistere l’esercito e la guardia di frontiera nella gestione delle emergenze. Nulla si sa di quanto discusso all’interno dell’unità di crisi convocata dal premier Mateus Morawiecki, a cui hanno partecipato i vertici del governo di destra che guida il Paese, se non quanto scritto dallo stesso Morawiecki su Facebook poche ore dopo: un post in cui ha ribadito che la Polonia è determinata a difendere i propri confini e quelli dell’Unione europea.
I dati forniti a lavialibera dal ministero dell’Interno polacco tratteggiano una situazione critica: da agosto a ottobre 2021 la guardia di frontiera di Varsavia avrebbe bloccato 19mila tentativi di ingresso illegale nel proprio territorio e arrestato 1500 persone. Nel 2020, in tutto, erano state 122. L’avvicinarsi dell’inverno non ha fermato gli arrivi e tuttora sono migliaia i migranti intrappolati nella foresta bielorussa, come Ahmad S. Mahmood, un giovane iracheno che ci contatta su Facebook e ci invia un video messaggio in cui si vede un gruppo di una decina di persone, tra cui una bimba di non più di dieci anni: “Aiutateci – dice –. Siamo qui da trenta giorni, senza né cibo né acqua”. Gente che rischia di morire di fame o di freddo, cui si deve la maggior parte delle vittime fino ad ora, registrate quasi in silenzio. Nei boschi del Podlaskie, la regione polacca che confina con la Bielorussia, già ad ottobre le temperature hanno toccato lo zero.
Intanto, da qualche parte nella foresta tra Bielorussia e Polonia, ci sono decine di persone bloccate. Ahmad mi manda su Fb questo video, in cui si vede anche una bimba: “Aiutateci. Siamo nella foresta Bielorussa da 30 giorni, senza cibo né acqua”, dice. L’Europa che fa? pic.twitter.com/KoI1BjNMSh
— Rosita Rijtano (@RositaRijtano) November 4, 2021
Dall’estate a oggi la conta dei morti conosciuti si ferma a dieci, ma per le organizzazioni umanitarie che lavorano al confine, si tratta di una stima al ribasso. Difficile saperne di più dato che l’attività delle associazioni, così come quella dei giornalisti, è stata ostacolata dall’introduzione dello stato di emergenza, un provvedimento che ha imposto una serie di restrizioni a tre chilometri dalla linea di frontiera: non si può più accedere senza autorizzazione, sono vietati assembramenti e manifestazioni, non si possono filmare luoghi e persone, e le informazioni pubbliche sono limitate. Il provvedimento è stato approvato a inizio settembre, doveva durare 30 giorni, ma è stato prorogato fino alla fine di novembre. Inoltre, a metà ottobre il Sejm, la camera bassa del parlamento polacco, ha passato un emendamento alla legge sugli stranieri che di fatto legalizza la pratica dei pushback: i migranti che arrivano al confine vengono respinti senza che sia presa in considerazione la loro volontà di richiedere asilo.
Una pratica condannata da molte ong, tra cui Fundacja Ocalenie, che ha scritto una lettera aperta indirizzata a Ylva Johansson, commissaria europea per gli affari interni: “Siamo al corrente del cinico gioco di Alexander Lukashenko – si legge –. Ma ci rifiutiamo di accettare che la Polonia, uno stato membro dell’Unione da 17 anni, utilizzi le stesse tattiche inumane”. Il ministero dell’interno, dal canto suo, ci fa sapere per email di considerare ogni morte “un grande dramma”, ma le “responsabilità della tragedia cadono esclusivamente su Lukashenko”. È lui - proseguono dal ministero - a offrire ai migranti la prospettiva di un passaggio facile per la Germania.
Le violenze della polizia croata e le responsabilità dell'Italia nei respingimenti dei migranti a catena
La crisi migratoria tra la Bielorussia e l'Ue va avanti da mesi. La prima mossa Lukashenko l’ha annunciata il 22 giugno scorso quando ha fatto sapere di non essere più intenzionato a proteggere l’Unione né dai trafficanti di droga né dai migranti. La rappresaglia è iniziata poco dopo per via delle ultime sanzioni contro i principali prodotti dell’export di Minsk, introdotte dal Consiglio Ue con l'obiettivo di punire "l'ultimo dittatore d'Europa" per la repressione portata avanti nei confronti dell’opposizione, culminata nel dirottamento di un volo Ryanair su cui viaggiavano l’attivista bielorusso Roman Protasevich e la fidanzata Sofia Sapega, entrambi arrestati.
All’inizio i migranti erano spinti al confine lituano. La pressione si è spostata sulla Polonia ad agosto dopo un incidente diplomatico che ha avuto per protagonista la velocista bielorussa Kristina Timanovskaya, autrice di alcune dichiarazioni contro le autorità sportive del suo Paese: costretta al ritiro dalle Olimpiadi di Tokyo e attesa in patria contro la sua volontà, ha trovato rifugio nell’ambasciata polacca, dove ha ottenuto il visto umanitario. Uno sgarbo che Lukashenko non ha digerito. Per tutta risposta trentadue afghani sono diventati degli ostaggi. Pochi giorni dopo la vicenda Timanovskaya, vengono bloccati nella foresta di Usnarz Górny, nel nord-est della Polonia. Le autorità polacche sono inflessibili a non concedergli il passaggio, le milizie bielorusse a non farli tornare indietro. Il muro contro muro ha determinato uno stallo che non è mai stato risolto: pochi giorni fa alcune delle persone intrappolate hanno tentato l’ingresso in Polonia, ma sono state catturate dalla guardia di frontiera e non si sa dove siano state portate. Inutili gli appelli internazionali e la richiesta della conferenza episcopale di Varsavia di fornire assistenza.
Una fonte de lavialibera che si trova a Minsk racconta di una “migrazione mai vista”, non solo per quantità di persone arrivate nella capitale bielorussa ma anche per tipologia. “Famiglie e giovani uomini della piccola e media borghesia che viaggiano in aereo e dormono in alcuni alberghi al centro della città”. Provengono anche dalla Siria e dall’Afghanistan, ma il principale punto di partenza è l’Iraq.
Dossier Center, un centro investigativo che ha condotto un’indagine su questi “viaggi organizzati” insieme al quotidiano tedesco Der Spiegel, ha notato un incremento dei passeggeri sui voli da Baghdad a Minsk almeno da maggio 2021, tanto che la compagnia aerea Iraqi Airways ha aggiunto una corsa in più a settimana: erano quattro, sono diventate cinque. La sospensione di questa linea diretta, decisa dall’azienda ad agosto probabilmente per timore di ritorsioni economiche da parte degli Stati occidentali, ha solo dirottato le persone su altre tratte, come Dubai.
“Se il migrante ha abbastanza soldi – spiega a lavialibera un rappresentante del Dossier Center – va in una delle tante agenzie di viaggio di Baghdad, la quale contatta a propria volta un operatore turistico in Bielorussia (almeno una dozzina, quelle accusate di favorire la tratta ndr) che sa come ottenere il visto turistico ufficiale per entrare senza problemi a Minsk”. Stando ai documenti ottenuti dal centro investigativo, un ruolo centrale lo svolge Centrkurort: una compagnia di viaggio statale bielorussa incorporata nella struttura dell’ufficio del presidente, Lukashenko. “Gli iracheni – prosegue il portavoce del Dossier Center – ottengono i visti non dal ministero degli esteri bielorusso ma da questa compagnia, una procedura inusuale”. Da notare che una delle motivazioni comuni per entrare a Minsk con il visto turistico sono battute di caccia nella foresta bielorussa: “Non solo uomini, ma anche donne e bambini hanno motivato l’ingresso con la stessa ragione”, conclude.
Finora l’Europa ha mantenuto una posizione ambigua sulla vicenda: un cambiamento rispetto al 2015, quando almeno sul piano formale aveva condannato l’Ungheria per il respingimento dei migranti. Stavolta la Commissione ha evitato di prendere posizione sui pushback praticati dalla Polonia, come dalla Lituania, pur dicendo di avere “diversi interrogativi”. Ambigua è stata anche la reazione alla richiesta congiunta di 12 Paesi Ue, tra cui Varsavia, che hanno chiesto finanziamenti per costruire barriere ai propri confini. Se il presidente del parlamento europeo David Sassoli è stato critico dichiarando che i muri equivarrebbero a “rinnegare i nostri valori", Johansson ha affermato: "Hanno il diritto di rafforzare le frontiere, ma non con i nostri fondi". Di conseguenza, un paio di settimane dopo il parlamento di Varsavia ha approvato la costruzione di una barriera con la Bielorussa, per il valore di circa 350 milioni di euro.
La crisi di Kuznica ha determinato unanime solidarietà nei confronti della Polonia e unanime condanna nei confronti della Bielorussia. La presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha definito “inaccettabile” la strumentalizzazione delle persone a fini politici portata avanti dal regime di Lukashenko. E ha annunciato che l’Unione valuterà la possibilità di applicare sanzioni alle compagnie aeree di paesi terzi che portano i migranti in Bielorussia.
Una menzione a parte merita l'atteggiamento della Germania, meta finale del viaggio di molti dei migranti in arrivo, che ha annunciato di non aver intenzione di chiudere i propri confini, ma allo stesso tempo ha offerto il proprio aiuto alla guardia di frontiera polacca. Il ministro dell’Interno tedesco Horst Seehofer ha suggerito che il supporto potrebbe permettere di identificare più facilmente chi cerca di entrare illegalmente nell’Ue e i trafficanti di esseri umani.
Ong e attivisti chiedono l'abolizione dell'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, accusata di sistematiche violazioni dei diritti umani, di spese folli, molestie e abusi di potere
Supporto che ancora non è stata accolto. Così come non è stato accolto l’aiuto di Frontex, l'agenzia europea deputata alla “difesa e al controllo dei confini esterni dell’Unione”, che ha sede proprio a Varsavia. Per alcuni commentatori l’intervento di Frontex potrebbe garantire un certo controllo su quanto sta accadendo, anche se negli ultimi anni l'agenzia è stata accusata di complicità nei respingimenti illegali dei migranti, spese folli, mancata trasparenza, abusi di potere e molestie, tanto che una campagna internazionale ne chiede l'abolizione. A inizio ottobre il direttore Fabrice Leggeri ha visitato il confine e lodato l’impegno dei militari polacchi. Impossibile al momento capire perché il governo di Morawiecki abbia rifiutato il sostegno, ma significativa è la distanza posta con le istituzioni europee: vicine, eppur sempre più distanti.
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