17 marzo 2022
Sulla guerra della Russia contro l’Ucraina, ho poche certezze da comunicare e molti dubbi da condividere. Guardo questa tragedia da credente e da cittadina italiana. Come cittadina il mio punto di riferimento è l’articolo 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Da cristiana ho come riferimento il Vangelo, il magistero dei Pontefici che fin da Benedetto XV non solo ha condannato la guerra, ma archiviato anche il concetto di guerra giusta. Il Compendio della dottrina sociale al n. 500 è molto chiaro: “Una guerra di aggressione è intrinsecamente immorale. Nel tragico caso in cui essa si scateni, i responsabili di uno Stato aggredito hanno il diritto e il dovere di organizzare la difesa anche usando la forza delle armi". L'uso della forza, per essere lecito, deve rispondere ad alcune rigorose condizioni: "che il danno causato dall'aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; che ci siano fondate condizioni di successo; che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione. Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della 'guerra giusta'. La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune". Se tale responsabilità giustifica il possesso di mezzi sufficienti per esercitare il diritto alla difesa, resta per gli Stati l'obbligo di fare tutto il possibile per "garantire le condizioni della pace non soltanto sul proprio territorio, ma in tutto il mondo". Non bisogna dimenticare che "altro è ricorrere alle armi perché i popoli siano legittimamente difesi, altro voler soggiogare altre nazioni. Né la potenza bellica rende legittimo ogni suo impiego militare o politico. Né diventa tutto lecito tra i belligeranti quando la guerra è ormai disgraziatamente scoppiata”.
La Russia di Putin non è una democrazia perché non può essere definito tale un paese dove i dissidenti sono avvelenati o incarcerati
Questa guerra non ammette l’equidistanza perché da una parte c’è un esercito invasore, quello russo, dall’altra c’è una nazione, uno stato sovrano, un popolo aggredito e offeso, l’Ucraina. Niente giustifica la scelta di Vladimir Putin e nessuno può mettere in dubbio la legittima e valorosa resistenza del popolo ucraino. Non ammette equidistanza questa guerra perché è combattuta anche sul fronte della democrazia. La Russia di Putin non è una democrazia perché non può essere definito tale un paese dove i dissidenti sono avvelenati o incarcerati, dove non c’è libertà di informazione, dove la ricchezza è concentrata nelle mani di chi ha il potere di decidere le sorti della popolazione, dove non è ammesso il controllo del corretto svolgimento delle elezioni, dove mafia e corruzione divorano gran parte delle risorse. Non è una democrazia e non è mai stata una democrazia. Gli oligarchi di oggi sono gli eredi dei nobili proprietari terrieri dell’impero zarista e dei burocrati comunisti dell’Unione sovietica. I Paesi che hanno condannato la scelta di Putin senza distinguo ispirano i loro ordinamenti ai principi della liberaldemocrazia, vivono la crisi profonda dei loro sistemi, sono attraversati da pulsioni populiste e sovraniste, spesso attratte e coltivate negli anni dallo stesso Putin, pagano il prezzo di forti disuguaglianze, ma restano ancorati alle loro Costituzioni approvate, quelle europee, dopo la tragedia seconda guerra mondiale.
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Siamo di fronte a una follia, e tuttavia è doveroso chiedersi il perché, ricercare spiegazioni non per giustificare, ma per capire, individuare le cause e soprattutto cercare le soluzioni per mettere fine a questa tragedia. È stato affermato da molti che all’origine di questa guerra c’è la volontà di Putin, da lui stesso dichiarata nell’annuncio televisivo, di ricostruire l’Impero russo, di riunificare la Grande Russia di Mosca con la Piccola Russia di Kiev e la Russia bianca di Minsk, perché la Russia è Impero o non è. Le mire imperialistiche di Putin, non possono essere accettate, ma forse non possono essere ignorate le richieste di sicurezza che si traducono in una netta contrarietà della Russia ad essere circondata da Stati aderenti alla Nato.
Ero parlamentare europea quando è crollato il muro di Berlino, quando è iniziato il processo di riunificazione della Germania e i paesi appartenenti all’ex Unione sovietica, in virtù del principio dell’autoderminazione dei popoli, si sono ricostituiti come Stati sovrani, Ucraina compresa, quando Michail Gorbaciov cercava di portare a termine il faticoso processo di democratizzazione della Russia.
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Dobbiamo ammettere che i confini della Nato si sono spostati ben oltre quelli della Germania e non siamo stati capaci di coltivare con la dovuta attenzione la funzione dello stato Ucraino “cuscinetto”
Ricordo bene le attese e le speranze di quegli anni, ma ricordo anche la fatica di individuare un percorso che portasse a compimento le grandi potenzialità di quel momento. Provo a riassumerle: accompagnare gli Stati dell’ex Patto di Varsavia e ex Unione sovietica verso la democrazia con l’intento di attrarli nella Comunità europea, riconoscere la Russia come un interlocutore importante e sostenere lo sforzo di Gorbaciov, fermare la Nato ai confini della Germania riunificata, assegnare alla Ucraina la funzione di cosiddetto Stato cuscinetto.
In quegli anni era forte, in molti europarlamentari la soddisfazione di aver vinto contro il comunismo e l’Unione sovietica, di aver abbattuto la cortina di ferro. Ma in alcuni di noi era altrettanto forte la preoccupazione che lo spirito del vincitore si trasformasse in spirito di rivincita, che la fine della guerra fredda anziché aumentare la pace tornasse a comprometterla con nuove ambizioni di espansionismo occidentale, che la forza delle regole democratiche non riuscisse a regolare il potere del capitalismo trionfante.
Molte attese di quegli anni si sono realizzate, ma non tutti gli impegni assunti sono stati rispettati, non tutte le opportunità sono state sfruttate o i pericoli evitati. L’Europa è più grande, ma la Russia non è diventata una democrazia, mentre molte guerre sono state combattute per “esportare” la democrazia. Ma soprattutto dobbiamo ammettere che i confini della Nato si sono spostati ben oltre quelli della Germania e non siamo stati capaci di coltivare con la dovuta attenzione la funzione dello stato Ucraino “cuscinetto”. Non lo ha fatto la Russia invadendo la Crimea, e non lo hanno fatto l’Europa e l’Occidente attraverso la politica di sicurezza della Nato. La neutralità è una condizione speciale che richiede saggezza, equilibrio e non si coltiva alternando presidenti filo-russi a presidenti filo-occidentali.
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Ora questa guerra va fermata perché le conseguenze sono già insostenibili e tragiche per il popolo ucraino e potrebbero diventarlo presto per l’Europa e anche per tutto il mondo. Per l’Europa si apre una fase nuova: il dividendo della pace del quale abbiamo usufruito negli ultimi anni non è più scontato. Dovremo avere il coraggio di affrontare la crisi dei nostri sistemi democratici e l’Europa dovrebbe finalmente assume un ruolo di protagonista nelle relazioni internazionali per aprire una stagione in cui sia davvero possibile coniugare pace e giustizia sociale, coesistenza pacifica e promozione integrale della dignità umana.
Questa guerra va fermata accompagnando le parti al tavolo delle trattative. Va accompagnato Putin attraverso le sanzioni e soprattutto l’isolamento dal resto del mondo, mostrando fermezza contro ogni mira imperialista e chiedendo la cessazione delle ostilità. Va accompagnato Volodymyr Zelensky con la solidarietà, gli aiuti umanitari, il rispetto, l’accoglienza dei profughi, con il sostegno alla resistenza senza cedere alla tentazione dell’escalation militare e senza esporre la popolazione a conseguenze ancora più tragiche.
Al tavolo dovrà esserci un facilitatore che abbia davvero a cuore il superamento di questa follia e il raggiungimento di una mediazione, di un compromesso giusto e rispettoso delle attese ragionevoli delle parti in causa. Quando consegno questi miei pensieri alla redazione sembrano troppo timidi gli sforzi della diplomazia, la parola è ancora alle armi, anche se la base di trattativa appena annunciata, su quindici punti, appare ragionevole. Nutro la speranza che le armi della pace possano presto prendere il sopravvento e i miei pensieri siano smentiti dai fatti.
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