15 marzo 2023
Dopo aver recitato nei panni di don Salvatore Ricci nella serie Mare Fuori, di cui ha curato la colonna sonora, il cantante Raiz celebra Sergio Bruni, definito da Eduardo De Filippo “la voce di Napoli”. Un ritorno alle radici per chi, negli anni Novanta, ha mischiato testi napoletani a sound più nord europei. “Se a 20 anni mi avessero detto ‘un giorno farai un omaggio a Sergio Bruni’, avrei risposto: impossibile, io ascolto altro”, ha affermato Raiz (al secolo, Gennaro Della Volpe) il 25 febbraio scorso, visibilmente emozionato sul palco del Teatro Trianon di Napoli, riferendosi all’artista, vissuto tra il 1921 e il 2003, che ha riportato in vita l’anima più genuina della canzone partenopea. A venti anni dalla scomparsa, il cantante degli Almamegretta pubblica l’album “Si l’ammore è o ccuntrario d’‘a morte” (Visage Music – 2023), un disco che raccoglie brani memorabili di Bruni come Carmela, Amaro è’ ‘o bbene, Napule doceamara, molti dei quali portano la firma del poeta Salvatore Palomba.
“Mi sono avvicinato con un timore quasi religioso a queste canzoni – spiega Raiz – ma mi sembrava un atto dovuto verso me stesso. Un’affermazione di consapevolezza: io vengo da qui, anche se ho poi preso tante strade e vissuto tante vite”. Un omaggio sentito, fatto in punta di piedi da una delle voci soul più belle d’Italia, in cui echeggia tutto il suono del Mediterraneo grazie ai Radicanto, band pugliese che da anni lo accompagna. Un album che Raiz ha dedicato alla memoria della madre Anna Esposito, “senza di lei non avrei saputo cantare neanche una parola”, e alla figlia Lea, “alla quale spero di saper trasmettere l’amore per questa musica”.
Come alla fine delle serie tv di successo, oggi ho sentito il bisogno di girare il prequel della canzone napoletana di oggi: è la musica di Bruni.
Hai mai conosciuto Sergio Bruni?
L’ho incontrato una volta sola all’Orientale di Napoli in occasione di un convegno di Roberto De Simone (regista teatrale e musicologo, ndr). Sergio Bruni rappresenta il background sonoro della mia infanzia e prima adolescenza, i pranzi familiari, i Quartieri Spagnoli, il mio ancestro culturale insomma.
Al concerto di presentazione dell’album, al Teatro Trianon di Napoli, hai detto che a vent'anni non avresti mai immaginato quest’omaggio. Cosa cambia a cinquant'anni?
Negli anni ‘90 la sperimentazione di un’intera generazione di musicisti napoletani, che si avvicinava o ritrovava la tradizione, ha creato un sound che ha rotto diversi argini. Senza quello studio sonoro oggi quello che sembra la normalità, ovvero la lingua cittadina che si muove a suo agio sui beat più all’avanguardia del pianeta, non sarebbe tale. Come alla fine delle serie tv di successo, oggi ho sentito il bisogno di girare il prequel: è la musica di Bruni.
Più che un disco sembra quasi un regalo che hai fatto prima a te e poi alla tua città.
Esatto. Oltre all’immenso artista, celebro un’intera collettività che ha vissuto gioie e dolori accompagnandosi a queste canzoni: Napoli, che è madre, amante, dea.
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Cosa hai provato mentre cantavi, in studio, queste canzoni?
Una forte emozione, mi sono commosso nell’indugiare su quelle note che, come un profumo, mi hanno riportato indietro nel tempo. Mi sembrava di non essere da solo in studio, ma con tante voci che cantavano insieme a me. Bruni evoca un tempo in cui sentimenti che oggi sembrano fuori moda erano al centro dell’etica di un’intera collettività: la lealtà, la fedeltà a una parola data, la solidarietà vista non come elemosina ma come un atto dovuto verso chi ha bisogno di noi.
Dopo tanti camorristi mi piacerebbe interpretare un operaio, un padre di famiglia, un poliziotto non colluso. Non è che tutti i napoletani con il mio aspetto siano per forza dei malavitosi.
Le nuove generazioni non conoscono Sergio Bruni.
Sergio Bruni non ha bisogno certo di me, ma mi piaceva l’idea d’essere un mezzo attraverso il quale far conoscere la sua arte a chi, per distanza geografica o culturale, non avrebbe potuto accedervi.
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Come hai scelto le canzoni da inserire nel disco?
Mi ha aiutato il maestro Salvatore Palomba, che ha seguito questo lavoro dagli esordi. Mi ha molto incoraggiato, dicendomi che sono una voce napoletana che non ha un tempo definito.
Con gli Almamegretta hai coniugato la melodia napoletana con un suono contemporaneo. Oggi, invece, la melodia sembra essersi arresa al rap. Qual è il futuro della canzone napoletana?
Non lo so, lo scopriremo insieme. Penso che molte emozioni si siano perse in un cinismo senza senso. Questo disco prova a ripartire da dove si è interrotto quel flusso.
Ti si vede sempre di più in film e serie tv in qualità di attore. Chi vorresti interpretare?
Dopo tanti camorristi mi piacerebbe interpretare un operaio, un padre di famiglia, un poliziotto non colluso. Mi rendo conto di avere un “personale” ingombrante e una faccia “popolare”, ma non è che tutti i napoletani con il mio aspetto siano per forza dei malavitosi.
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