Foto: Unsplash, @filmbetrachterin
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La felicità è consumare meno per vivere meglio

Il possesso di cose ci fa credere di essere liberi, ma in realtà ci lega a stili di produzione che non sono sostenibili né per noi, né per l'ambiente. Ripensare il nostro modello di sviluppo significa dare alla felicità un significato politico e collettivo.

Rossella Muroni

Rossella MuroniAttivista

6 novembre 2023

Essere liberi da un’idea di produzione, di consumo e di vita a cui tutti, in diverso modo, siamo invece ancora legati: questa è la felicità per uno o una ambientalista. Significa riconnettersi con la natura e scoprire di far parte di un ecosistema, riconoscendo che trovare questo tipo di equilibrio porta anche a una maggiore consapevolezza della dimensione collettiva, del fatto che non si è soli, ma connessi gli uni con gli altri. 

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Avere la possibilità di spostarsi da un luogo all’altro senza essere dipendenti dal possesso di un’automobile ci fa sentire meglio e, in fondo, parte di un’impresa collettiva come quella di ricostruire il sistema dei trasporti pubblici del nostro Paese. Ci sembra un sogno, dato che nei centri urbani è già difficile pensare a passeggiate salutari in spazi verdi e a trovare dei modi per spostarsi che siano meno stressanti. La crescita a tutti i costi ha minato altre forme di piccole serenità. 

Consumo e benessere: il grande inganno

Sono cresciuta con l’idea che più consumavo, più avrei potuto ambire al benessere. Negli anni ho scoperto non solo che non era vero, ma che anzi questa convinzione mi costringeva a collezionare oggetti che poi ingombravano e non avevano alcuna utilità.

Sono nata negli anni Settanta e cresciuta con l’idea che più consumavo, più avrei potuto ambire al benessere. Il possesso di oggetti era considerata la cartina tornasole del successo, l’unità di misura dell’avanzamento sociale. Negli anni ho scoperto non solo che non era vero, ma che anzi questa convinzione mi costringeva a collezionare oggetti che poi ingombravano e non avevano alcuna utilità. Basti pensare ai vestiti comprati e mai indossati o a tutto ciò che finisce nei rifiutidopo poco essere stato usato, con un pesante impatto sull’ambiente. Riciclare e reintrodurre nel mercato materie prime “seconde”, senza estrarne di nuove, libererebbe dalla dipendenza da materie preziose e da un’economia che sfrutta soprattutto i paesi del Sud del mondo. 

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