
Dopo l'arresto di Matteo Messina Denaro si aprono partite importanti

23 dicembre 2022
Una delle affermazioni più ricorrenti nel dibattito sull’ecologia è l’inequivocabile "dovremmo fare quel che dice la scienza", dove con scienza si intende la variante cosiddetta "dura" – dall’inglese hard science –, "esatta", "naturale". Ecco allora che climatologi, biologi, geologi, etc., considerati come parti del tutto che è la comunità scientifica, per la porzione d’opinione pubblica più sensibile ai temi ecologici, assurgono al ruolo di guide, depositari di un sapere capace di dar conto del presente e di predire il prossimo, fosco futuro, indicando al contempo i possibili rimedi a un legislatore troppo spesso indolente. Prima arma nella panoplia degli scienziati sono, come sappiamo, i dati: un profluvio di numeri, grafici e tabelle che in drammatiche serie storiche tendenti a un rosso man mano più scuro fotografano la catastrofe in atto, individuando senz’appello le responsabilità del genere umano.
Meno determinante sembra essere l’apporto offerto alla questione dalle altre scienze cosiddette "molli" – soft sciences –, umane, sociali. Come se la faccenda ecologica non debba riguardare il pensiero o la postura etica, umana, psichica e sociale da adottare. La sacrosanta fede che abbiamo nelle scienze dure rischia così di oscurare l’apporto di quelle umanistiche.
Su questa parziale assenza, e sulla constatazione che finora l’evidenza dei dati non ha portato a cambiamenti nell’agire collettivo, come dimostrano i dati stessi, s’innesta una delle voci più originali nel dibattito ecologico attuale. Si tratta del filosofo Timothy Morton (1968), docente a Houston, dal cui lavoro si traggono non già delle prescrizioni comportamentali rispetto alla crisi, bensì delle modalità di riflessione e rappresentazione dello smisurato problema che ci tocca vivere. Base di partenza di Morton è la corrente filosofica nota come Ontologia orientata agli oggetti (OOO). Una filosofia distante dall’antropocentrismo e che pone il genere umano e i suoi singoli esemplari sullo stesso piano ontologico – cioè relativo all’essere in quanto tale – di pietre, camosci, muschi, virus, nuvole, macchine etc., in uno scenario prossimo all’animismo in cui gli oggetti, tra loro sempre connessi, hanno capacità di azione, anche se non un’intenzionalità consapevole simile alla nostra. In breve, secondo la OOO una realtà esiste ed è fatta di oggetti che agiscono, ma non ha l’essere umano al centro né risulta accessibile per intero, ciò a cui si può accedere sono solo alcuni aspetti degli oggetti e alcune relazioni incomplete, perché limitate alla nostra limitata esperienza, che li tengono costantemente collegati.
Di pandemie, catastrofi e salvaguardia degli affetti
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