6 novembre 2023
Per i cent’anni dalla nascita di Italo Calvino, forse non c’è modo migliore per rendergli omaggio di parlare di una delle sue fatiche editoriali più importanti, belle e arricchenti. Parlo della raccolta di Fiabe italiane uscita per Einaudi nel 1956. Per anni lo stesso Calvino si è addentrato in un mondo di draghi, principesse addormentate, animali parlanti, ponti e palazzi stregati, raccogliendo storie delle varie tradizioni orali di altrettanti luoghi e regioni d’Italia, da lui tradotte in una lingua più semplice. Possiamo definirlo il Grimm italiano? Sicuramente si inserisce in un filone di studi che addirittura risale al Rinascimento (come Le piacevoli notti di Giovanni Francesco Straparola o il Pentamerone di Giambattista Basile), ma Calvino fa qualcosa di più: rende omaggio alla fiaba dandole sistematicità e razionalità.
È pieno di rondini che vogliono volare e di rondinelle che pensano di essere topi e non sanno quanto in alto potrebbero arrivare
Dietro al progetto c’è un nome sopra tutti: Antonio Gramsci e le sue note sul mondo subalterno e sul folklore contenute nei Quaderni del carcere. Calvino, attentissimo ad antropologia, filosofia e storia, proverà a creare una rivista negli anni Sessanta, insieme a Carlo Ginzburg e Gianni Celati, sull’importanza della storia archeologica. E cosa c’è di più archeologico di una raccolta di fiabe come specchio di tornasole per raccontare la nostra nazione?
Gramsci indicava l’unica possibile salvezza in ciò che resiste alla modernità o che ne resta ai margini. La cultura subalterna o folclorica diventa perciò una cultura di contestazione avversa ai ceti dominanti e per questo motivo degna di essere preservata dalla distruzione. Il folclore non è una stranezza o un elemento esotico, ma qualcosa da prendere sul serio: conoscerlo significa sperimentare altre concezioni del mondo e della vita, che le élite tentano di estirpare e sostituire con concezioni ritenute superiori. Con la sua raccolta, Calvino fa tesoro della ricchezza culturale ereditata dalla tradizione popolare, unito in Gramsci nella paura per la scomparsa della cultura orale e del mondo dei vinti.
Fin dal 1956, Calvino aveva capito una cosa che molti anni dopo ci spiegherà la neuropsicologia: l’uomo ha bisogno di storie. La vita umana è un intreccio di storie ed è proprio grazie all’immaginazione che noi possiamo rimanere vivi. Buona lettura.
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