Una scena del docufilm "I diari di mio padre"
Una scena del docufilm "I diari di mio padre"

Srebrenica non è solo un ricordo

Il regista bosniaco ha raccolto i filmati prodotti dal padre durante le guerre nell'ex Jugoslavia e li ha uniti ai suoi per realizzare un docufilm che scava nel passato familiare e di un'intera comunità

Carlotta Bartolucci

Carlotta BartolucciGiornalista freelance e attivista

1 luglio 2025

Ado Hasanović è nato a Srebrenica, in Bosnia ed Erzegovina, dove trent’anni fa più di 8mila persone bosniache di religione musulmana furono uccise in meno di sette giorni dalle forze serbe di Ratko Mladić nel corso delle guerre nell'ex Jugoslavia. Un trauma che Hasanović ha provato per anni a dimenticare, senza però riuscirci, finché ha capito che affrontarlo era l’unico modo per andare avanti. Aveva a disposizione del materiale straordinario, le riprese che suo padre Bekir aveva fatto nel 1993, durante l’assedio a Srebrenica. Immagini realizzate  grazie a una videocamera scambiata per una moneta d’oro, con la troupe improvvisata Dzon, Ben & Boys. Quelle riprese, insieme ai diari quotidiani da lui tenuti, hanno fornito ad Hasanović il materiale per costruire il docufilm I diari di mio padre (2024), un’opera che scava nel passato della figura paterna e, di riflesso, in quello di un’intera comunità. Il docufilm si fa portatore di una richiesta collettiva di riscatto da un dolore che ancora oggi, a distanza di tre decenni, rimane profondo. Ma è soprattutto il tentativo di fare i conti con una serie di domande irrisolte, attraverso l’esplorazione del rapporto con il padre Bekir, tra i pochi sopravvissuti alla Marcia della morte, e l’incapacità di comunicare con lui. Un’indagine sulle ferite invisibili lasciate dalla guerra, ma anche sul delicato equilibrio tra il bisogno di testimoniare e ricordare e quello, altrettanto umano, di dimenticare.

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