Gaza, 5 febbraio 2025. Personale dell'Unione europea impegnato nell'assistenza umanitaria (foto Unione Europea)
Gaza, 5 febbraio 2025. Personale dell'Unione europea impegnato nell'assistenza umanitaria (foto Unione Europea)

Le armi bruciano il pianeta

Esiste un legame tra guerre e crisi climatica: il riscaldamento globale provoca scarsità di risorse, alimenta scontri e migrazioni, mentre i conflitti generano enormi emissioni e devastazioni

Antonello Pasini

Antonello PasiniFisico climatologo del Cnr

1 novembre 2025

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In un mondo complesso come quello in cui viviamo oggi, si verificano fenomeni creati da noi umani che, rinforzandosi a vicenda, costituiscono circoli viziosi molto pericolosi. Un esempio, purtroppo molto attuale, è quello delle relazioni che si instaurano tra guerre e cambiamento climatico. Da un lato, il cambiamento climatico di origine antropica contribuisce spesso all’innesco di conflitti e migrazioni, perché induce scarsità di risorse e perdita di raccolti, specie nelle zone più fragili del mondo.

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D’altro lato, le guerre contribuiscono a far aumentare il riscaldamento globale e il cambiamento climatico a esso collegato, mediante un drastico aumento delle emissioni climalteranti, sia per via diretta, sia con la distruzione di territorio, vegetazione e manufatti, che ha anche impatti locali molto forti.

Conflitti che devastano la Terra

Qualche dato aiuta a capire la situazione. Innanzi tutto, già in tempi di pace il comparto militare mondiale produce circa il 5,5 per cento delle emissioni totali. Se fosse un Paese, si piazzerebbe al quarto posto dopo Cina, Stati Uniti, India e addirittura prima della Russia.

In tempi di pace il comparto militare mondiale produce circa il 5,5 per cento delle emissioni totali

Si pensi che le emissioni dovute alle sole forze armate americane sono almeno quanto quelle della Svizzera. In tempi di guerra, i dati ovviamente si aggravano. Per esempio, solo i primi due anni di guerra in Ucraina hanno prodotto una quantità di emissioni di CO2 equivalente corrispondente alla metà di quelle annuali di tutta l’Italia. Ma non solo si bruciano combustibili fossili; le distruzioni dei territori e gli incendi boschivi tagliano l’assorbimento naturale di anidride carbonica. In aggiunta, bisogna conteggiare tutti i “costi emissivi” della ricostruzione post-bellica.

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Tanti pensano che delle guerre lontane possiamo anche non interessarci: "Sono affari loro!". Ma non è così. Non esistono più conflitti locali; oltre alla mortalità diretta e locale, esiste quella portata dalle emissioni ulteriori di gas serra che inducono ondate di calore ed eventi estremi in tutto il mondo. Siamo sempre in presenza di influssi globali.

Cooperazione e cura

Infine, le guerre sono l’opposto di quanto serve per affrontare il problema del cambiamento climatico: il multilateralismo e il concetto di un pianeta dalle risorse finite. Qui non possono esistere vincitori e vinti: si vince o si perde tutti insieme; il contrario dell’idea della guerra, con i vinti che pagano le conseguenze e i vincitori che pensano di prosperare. Ma è un’illusione: sembra proprio che la storia non ci insegni niente.

Continuiamo a utilizzare la parte rettile e predatoria del nostro cervello e a fare guerre, mentre dovremmo evolvere da questa concezione e mettere a frutto la sua parte più evoluta. Siamo un nodo della rete di relazioni che ci lega, non i padroni della natura e degli altri umani. Occorre cooperazione e cura, non guerra.

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