21 dicembre 2023
Scrivo queste righe in prossimità del Natale. E non posso fare a meno di pensare alla martoriata terra di Palestina. Proprio lì dove la fede cristiana racconta la nascita di Gesù, luce e speranza per i popoli, oggi è buio e disperazione. Al posto della cometa sono i missili a solcare il cielo. Mentre all’immagine del bambinello nella grotta si sovrappongono quelle, strazianti, dei neonati venuti al mondo sotto le bombe, in ospedali sventrati, senza più culle adatte ad accoglierli.
L’aggressione spietata di Hamas, contro famiglie inermi e giovani che volevano soltanto ballare, ha scatenato una reazione da parte di Israele altrettanto spietata, con un sacrificio ancora maggiore di vite umane. Il conflitto in Ucraina, nato a sua volta da un’aggressione militare ingiustificabile, si trascina da ormai due anni e "non fa più notizia", mentre nessuna delle parti né dei possibili mediatori internazionali sembra realmente interessato a porvi fine. Anche qui, i morti civili e le migliaia di giovani soldati massacrati al fronte si sommano alle devastazioni ambientali e alle tragedie socio-economiche che qualsiasi guerra porta con sé. Sono soltanto le ultime guerre alle quali assistiamo impotenti: altre si consumano in territori più lontani dai nostri confini e dunque dalle nostre coscienze: l’Africa profonda, l’Asia indecifrabile.
Nel 2022 le spese militari hanno toccato un nuovo record, ma non c'è nessuna pace senza disarmo
Ma com’è possibile? Com’è possibile che l’umanità abbia fatto progressi incredibili in qualsiasi campo del sapere, ma ancora non sappia vivere in pace su questo pianeta? Com’è possibile che in ogni ambito si studino teorie e pratiche innovative, mentre la violenza rimane l’unico, arcaico mezzo per risolvere i conflitti fra gruppi, popoli, nazioni? Com’è possibile che manchino sempre le risorse per la salute, l’istruzione, la lotta alla povertà o al cambiamento climatico, mentre i soldi per le armi si trovano sempre, persino nei paesi più disastrati? Come non smette di ammonirci papa Francesco, gli unici vincitori di ogni guerra sono i produttori di armamenti. Mentre il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres sottolinea che se una quota minima degli investimenti bellici fossero dirottati sulle sfide sociali, il mondo sarebbe molto più in salute.
Dobbiamo smetterla di nominare la pace come punto di arrivo, come esito sperato di una guerra che però intanto c’è stata. Dopo le grandi speranze seguite alla carneficina delle guerre mondiali, oggi persino in Europa in molti sembrano avere cancellato la pace, intesa come sforzo diplomatico, imperativo morale, orizzonte di senso, dal campo di ciò che si può pensare, prima ancora che realizzare. Occorre invece pensare la pace come alternativa concreta alla violenza, non semplice fantasia di menti ingenue, utopia per "anime belle".
I veri pacifisti si sporcano le mani per realizzare ciò in cui credono: i diritti, la giustizia, la libertà e la dignità per ogni essere umano
Significa fare spazio alla pace dentro di noi, imparare a guardare con indulgenza anche ai nostri limiti, fragilità e contraddizioni. Se siamo in pace, guarderemo pacificamente agli altri, a chi ci sta intorno. Saremo capaci di accoglierli. Ma attenzione! Cercare la pace interiore non significa pacificare la nostra coscienza. La pace può e deve convivere con l’inquietudine, col dubbio, con le domande che danno senso e sapore all’esistenza. La pace è infatti un cammino fatto anche di ostacoli e salite, che però non arretra, non demorde.
Intervista all'ambasciatore Pasquale Ferrara: "Manca l'ascolto delle ragioni del nemico"
Oggi c’è troppa aggressività già nel parlare. Si semplifica, si polarizza, ci si accapiglia. Servono parole chiare, ma miti. Parole “sdentate”, capaci di nominare i concetti più delicati senza morderli. Recuperiamo, a livello individuale e collettivo, il valore dell’ascolto. Studiamo, interroghiamoci, ritiriamoci da questa eterna corsa a voler sentenziare per primi. E caliamoci nella realtà.
I pacifisti vengono spesso accusati di essere dei parolai, incapaci di proporre soluzioni concrete. Gente che "predica bene" soltanto per uscire “pulita” dal dibattito. Ecco: non si tratta di uscirne puliti, i veri pacifisti sono anzi "costruttori di pace" che "si sporcano le mani" per realizzare ciò in cui credono: i diritti, la giustizia, la libertà e la dignità per ogni essere umano.
Sono medici che curano le persone, anche le più umili ed emarginate. Anche sotto le bombe. Sono naviganti che salvano i migranti in mezzo al mare, montanari che li accompagnano su per i sentieri impervi dei valichi di confine. Sono portuali che rischiano il lavoro per non caricare i container con le armi destinate a paesi che le useranno per opprimere. Sono religiosi e religiose che portano il Vangelo come pratica di vita fra i disperati della terra. Sono ragazzi e ragazze che coltivano le terre sottratte alle mafie con la gioia di produrre il segno visibile di un impegno che dà frutto. Sono insegnanti ed educatori che instillano nei giovani il desiderio di una conoscenza da fabbricarsi attraverso domande, esperienze e incontri. Sono lavoratori e lavoratrici sociali, volontari e volontarie che ogni giorno affondano occhi, mani e cuore nella sofferenza degli altri. Sono artisti, che non usano l’arte soltanto come veicolo di bellezza, ma anche presa di coscienza di tante situazioni drammatiche o sbagliate, che però insieme possiamo cambiare.
Familiari delle vittimi, ex militari e obiettori: Non fate la guerra in nostro nome
Sono esponenti del pensiero disarmato e nonviolento, che in tante parti del mondo rischiano la vita per il fatto stesso di opporsi alle logiche dell’oppressione e della guerra. L’obiezione di coscienza, cioè il rifiuto di obbedire a regole che si considerano ingiuste rischiando del proprio, rimane uno dei gesti più nobili di cui un essere umano è capace. Una coscienza che si ribella alle logiche della guerra è una coscienza viva, irrequieta, capace di cambiamento: una coscienza che diserta la violenza come “obbligo” e si assume il rischio di subirla come punizione. Proprio come hanno fatto i più grandi costruttori di pace della storia, da quelli più vicini a noi, come don Tonino Bello e monsignor Luigi Bettazzi, a personaggi internazionali come Gandhi e Martin Luther King. E come nel silenzio continua a fare un’enorme fetta della popolazione umana. Soprattutto, ricordiamolo, femminile.
Rimane come segno di speranza l’immagine delle migliaia di donne e madri, israeliane e palestinesi, che il 4 ottobre, tre giorni prima dell’esplosione del nuovo conflitto, avevano marciato insieme vestite di bianco nel nome della pace, della conciliazione, di un futuro di dialogo e rispetto reciproco per le nuove generazioni.
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