16 gennaio 2024
Il 19 dicembre scorso la Camera dei deputati ha approvato a larga maggioranza – 160 voti a favore e 70 contrari (Movimento 5 Stelle, Pd e Alleanza Verdi e Sinistra) – un emendamento al disegno di legge di delegazione europea che vieta la pubblicazione sui mezzi di informazione, almeno fino alla chiusura delle indagini preliminari, dei testi, anche parziali, contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare.
L’ordinanza di custodia cautelare è l’atto firmato dal giudice per le indagini preliminari (gip), che riassume le accuse mosse dal pubblico ministero alla persona indagata e, contestualmente, ne dispone la custodia cautelare limitandone la libertà personale. Tra le misure cautelari rientrano la custodia in carcere o in un luogo di cura, gli arresti domiciliari e una serie di divieti di allontanamento da un determinato luogo e di avvicinamento a persone offese.
L’ordinanza di custodia cautelare è l’atto firmato dal gip, che riassume le accuse mosse dal pubblico ministero alla persona indagata e ne limita la libertà personale
L’emendamento al disegno di legge dovrà essere esaminato e votato dal Senato, ma nel frattempo da più parti sono giunte forti critiche alla norma, che in nome del garantismo limita il diritto di cronaca. Se è vero che i giornalisti potranno continuare a dare notizia dell’ordinanza cautelare riassumendone il contenuto, non sarà più possibile riportare gli stralci del documento, ad esempio i “virgolettati” delle intercettazioni che sulle pagine dei quotidiani hanno sempre trovato molto spazio.
L’emendamento è stato presentato dal deputato di Azione Enrico Costa (figlio dell’ex segretario del Partito liberale italiano e più volte ministro Raffaele Costa), che in passato ha militato tra le fila dell’Udc (Unione di Centro) e Forza Italia, ricoprendo fra il 2014 e il 2106, nel governo guidato da Matteo Renzi, le cariche di viceministro della giustizia e ministro per gli affari regionali e le autonomie.
Con le nuove norme sulla presunzione di innocenza tornano le notizie sottobanco
Dopo il voto della Camera, dinanzi Montecitorio lo stesso Costa ha commentato: “Non è un bavaglio, si potranno continuare a dare le notizie e riferire le ordinanze di custodia cautelare nel loro contenuto. Nel 2017 c’è stata una modifica di legge che reputo molto sbagliata, che consentiva la pubblicazione integrale di centinaia di pagine di ordinanza di custodia cautelare con dentro delle intercettazioni, delle informative, quando ancora non era intervenuta la difesa della persona accusata. Dobbiamo bilanciare la presunzione di innocenza e il diritto di informare e di essere informati”.
"Nel 2017 c’è stata una modifica di legge che reputo sbagliata, che consentiva la pubblicazione integrale di centinaia di pagine di ordinanza di custodia cautelare con dentro delle intercettazioni", dice Enrico Costa
L’obiettivo del deputato di Azione è quindi ripristinare la situazione precedente alle modifiche al Codice di procedura penale avvenute con la legge 103 del 23 giugno 2017, la cosiddetta “Riforma Orlando” – dal nome dell’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando, nel governo presieduto da Paolo Gentiloni –, che consente ai giornalisti di pubblicare, anche per intero, il testo contenuto nell’ordinanza di custodia cautelare.
Sulla questione è intervenuta la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), secondo cui “se anche il Senato dovesse approvare la norma, l’autonomia dei giornalisti sarebbe compressa. Saremmo costretti a essere meno precisi, analitici e verificabili nel racconto di un atto che è pubblico come la privazione della libertà personale, con il rischio di sapere molto poco fino all’udienza preliminare, diversi mesi o anni dopo il presunto reato. (…) Ne sarebbero danneggiati tutti: i cittadini che fruiscono le notizie, i magistrati, i legali di parte e chi è sottoposto alla misura cautelare”.
"Se il Senato approvasse la norma, saremmo costretti a essere meno precisi, analitici e verificabili nel racconto di un atto che è pubblico come la privazione della libertà personale", sostiene la Fnsi
E ancora: “Respingiamo con forza il sottinteso che esiste dietro questa norma. I giornalisti raccontano e non inventano, non sono ‘manettari’, ma anzi contribuiscono a rendere vivo il campo della democrazia con il loro lavoro di controllo su ogni potere. E non agiamo nell’illegalità: siamo sottoposti a un insieme di regole penali, civili e regolamentari/ordinistiche che determinano la nostra professione”. Per Fnsi, che ha rivolto un appello al presidente della Repubblica Sergio Mattarella invitandolo a non firmare la legge, e preannunciato eventuali mobilitazioni, la norma violerebbe i principi contenuti nell’articolo 21 della Costituzione italiana, che tutela la libertà di stampa escludendo autorizzazioni o censure.
È indubbio che sia capitato e capiti che giornalisti abusino delle informazioni contenute nelle ordinanze di custodia cautelare, soffermandosi su questioni poco attinenti ai fatti e prediligendo il sensazionalismo. Non è questo lo spazio per discutere sul perché succede. Ci limitiamo a ricordare che in tali circostanze, purtroppo, è spesso mancato l’intervento dell’Ordine dei giornalisti, che prima di chiunque altro ha il compito di vigilare sull’operato dei professionisti e prendere provvedimenti in caso di violazioni deontologiche.
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È altrettanto vero che se la legge andasse in porto, i cronisti si ritroverebbero senza la possibilità di pubblicare testualmente le parole “virgolettate” del giudice, finendo per interpretare le frasi del gip. In questo modo ai cittadini sarebbe negato il diritto di conoscere un documento nella sua integrità, anche se solo nelle parti di interesse pubblico.
Il Parlamento dimostra di usare due pesi e due misure su giornalismo e diritto di sapere dei cittadini. Se da una parte vuole tutelare il diritto degli indagati, dall'altra tace da anni sull'annosa questione delle querele temerarie ai giornalisti, ossia le cause avviate in sede civile contro testate o cronisti al solo scopo di scoraggiare le inchieste sul potere. Una proposta di legge c'è già, è a firma del senatore Primo De Nicola ma dorme nei cassetti di Montecitorio dal 2019. Di querele temerarie la libera informazione può morire, soprattutto se colpiscono freelance o blogger che non hanno alle spalle un editore, con annesso ufficio legale, in grado di reggere l’urto di richieste nell’ordine di centinaia di migliaia di euro.
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