1 maggio 2024
Pensavi di essere in incognito. Invece non lo eri. Google dovrà cancellare miliardi di dati per aver tracciato in modo improprio le abitudini di migliaia di utenti statunitensi che credevano di navigare online in maniera riservata, sfruttando la cosiddetta funzione “in incognito” di Chrome. È l’accordo raggiunto dalla compagnia per risolvere una class-action avviata negli Usa nel 2020. In Italia, la notizia è passata un po’ in sordina, ma è importante per due motivi.
In primis, ci ricorda quanto sia ingannevole credere nella privacy in Rete, soprattutto se a farsene promotrici sono le grandi aziende tecnologiche. "La riservatezza non deve essere un bene di lusso, ma accessibile a chiunque", scriveva Sundar Pichai, l’amministratore delegato del motore di ricerca, in un editoriale pubblicato sul New York Times nel 2019. Sul tema l’azienda promuove da sempre molte campagne di sensibilizzazione a fianco delle istituzioni. "Vivi Internet, al sicuro", era lo slogan di un’iniziativa che nel 2016 l’ha impegnata nelle piazze d’Italia insieme alla polizia postale, ad Altroconsumo e all’Accademia italiana del codice di internet. Mentre quest’anno Big G, così come Facebook, accompagnerà il nostro Garante per la protezione dei dati personali in un "privacy tour".
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