Un gruppo di persone partecipa nel 1995 alla raccolta firme per la legge sui riuso sociale dei beni confiscati alle mafie
Un gruppo di persone partecipa nel 1995 alla raccolta firme per la legge sui riuso sociale dei beni confiscati alle mafie

Beni confiscati: Corleone, dalla "tana del lupo" la rivincita del riuso sociale

Dal comune che ha dato il nome al clan di Riina è partita la raccolta firme per il riutilizzo dei beni confiscati. Lo racconta il sindaco di allora Pippo Cipriani

Paolo Valenti

Paolo ValentiRedattore lavialibera

1 marzo 2025

"Una sfida dall’esito incerto". Giuseppe “Pippo” Cipriani, sindaco di Corleone (Palermo) dal 1993 al 2002, ricorda così la petizione lanciata da Libera nel 1995 per introdurre nell’ordinamento italiano il riutilizzo sociale dei beni sottratti alle mafie. Divenne legge nel marzo dell’anno successivo dopo aver raccolto oltre un milione di firme, le prime tra i giovani della città natale di alcuni tra i più noti boss di Cosa nostra.

Guida ai beni confiscati alle mafie

Sindaco, che clima si respirava a Corleone in quegli anni?
L’atmosfera era quella del dopo-stragi, ma anche quella dell’arresto di Totò Riina, che mostrò per la prima volta la reale volontà dello Stato di perseguire Cosa nostra. In questo clima stavano emergendo forze, associazioni e personalità della società civile che combattevano la mafia nella convinzione che non era solo un affare di poliziotti e magistrati. Tra questi, ho avuto la fortuna di incrociare don Luigi Ciotti e Libera, nata proprio in quegli anni.

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