
21 marzo, Luigi Ciotti: "Liberiamo l'Italia da mafie e disuguaglianze"

28 febbraio 2025
I diritti all’affettività e alla sessualità non si perdono con la detenzione. Lo aveva stabilito un anno fa, nel gennaio 2024, la Corte costituzionale e negli ultimi mesi lo hanno ribadito alcuni tribunali italiani. In tutto questo, governo e parlamento non si sono mossi per portare avanti iniziative che soddisfacessero questi diritti. Su questa base, il Garante nazionale delle persone private della libertà ha scritto nei giorni scorsi una lettera al ministro della Giustizia Carlo Nordio per sollecitare un intervento. Ma andiamo con ordine.
Ad oggi nelle carceri italiane non è possibile avere rapporti intimi con i propri partner. Una pena accessoria rispetto a quella detentiva che non colpisce solo le persone condannate, ma di fatto anche quelle che continuano ad amarle e che, per questo, devono a loro volta rinunciare a una sfera fondamentale della propria vita relazionale.
Una sessualità sana – lo ha ricordato anche l’Organizzazione mondiale della sanità – contribuisce al benessere fisico, mentale e sociale degli individui, promuovendo relazioni affettive equilibrate e una migliore qualità della vita. Che hanno un’importanza enorme anche per quanto riguarda la vita in carcere, dove benessere fisico, mentale e sociale sono messi a dura prova, nonché nella fase successiva del ritorno in libertà, dove sono proprio le relazioni affettive a giocare un ruolo fondamentale nel percorso di reinserimento sociale.
L'isolamento nelle carceri va superato
Proprio sul divieto di avere rapporti intimi si era pronunciata la Consulta a proposito di una questione di costituzionalità sollevata da un magistrato di sorveglianza di Spoleto. Nel farlo la Corte costituzionale aveva dichiarato illegittimo l’articolo 18 dell’Ordinamento penitenziario che, in materia di colloqui visivi, imponeva il controllo a vista.
Vale la pena citare un pezzo di quella sentenza:
“L’impossibilità per il detenuto di esprimere una normale affettività con il partner si traduce in un vulnus alla persona nell’ambito familiare e, più ampiamente, in un pregiudizio per la stessa nelle relazioni nelle quali si svolge la sua personalità, esposte pertanto a un progressivo impoverimento, e in ultimo al rischio della disgregazione.
Da questo punto di vista si evidenzia la violazione dell’articolo 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto una pena che impedisce al condannato di esercitare l’affettività nei colloqui con i familiari rischia di rivelarsi inidonea alla finalità rieducativa. L’intimità degli affetti non può essere sacrificata dall’esecuzione penale oltre la misura del necessario, venendo altrimenti percepita la sanzione come esageratamente afflittiva, sì da non poter tendere all’obiettivo della risocializzazione.
Il perseguimento di questo obiettivo risulta anzi gravemente ostacolato dall’indebolimento delle relazioni affettive, che può arrivare finanche alla dissoluzione delle stesse, giacché frustrate dalla protratta impossibilità di coltivarle nell’intimità di incontri riservati, con quell’esito di “desertificazione affettiva” che è l’esatto opposto della risocializzazione”
Questo avevano scritto i giudici costituzionali (qui la sentenza completa), lasciando la palla in mano al decisore politico che avrebbe dovuto impegnarsi al fine di dotare gli istituti di pena di luoghi idonei a questi incontri.
Carcere, il sesso non si fa, né si vede
"Il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Ostellari, dinanzi all’iniziativa intrapresa nella casa di reclusione di Padova dove doveva partire la sperimentazione delle cosiddette “stanze dell’amore”, dichiarò che non esisteva alcuna autorizzazione specifica per simili iniziative"
Cosa che che già avviene in alcuni paesi, compresa la vicina Francia dove dai primi anni 2000 esistono delle “sale dell’affettività”, spazi dedicati agli incontri prolungati tra i detenuti e i loro familiari, compresi partner e figli, che mirano a preservare i legami affettivi e sociali delle persone detenute. Queste strutture sono di fatto mini-appartamenti situati nelle carceri, separati dalle aree di detenzione tradizionali, all’interno del quale le visite possono durare da alcune ore fino a 72 ore, a seconda delle normative della struttura e dello status del detenuto.
Non che questo dovesse essere per forza l’esempio da seguire per l’Italia, ma rappresenta certamente un modello virtuoso su cui, tuttavia, dopo la sentenza della Consulta non sono stati fatti passi conseguenti e concreti. Dal governo era anzi arrivato uno stop da parte del sottosegretario alla Giustizia, Andrea Ostellari che, dinanzi all’iniziativa intrapresa nella casa di reclusione di Padova dove doveva partire la sperimentazione delle cosiddette “stanze dell’amore”, dichiarò che non esisteva alcuna autorizzazione specifica per simili iniziative, né a Padova, né in altri istituti italiani, aggiungendo che si sarebbe istituito un tavolo di lavoro per approfondire la questione. Eravamo a febbraio 2024 e, dopo un anno, anche di questo tavolo si sono perse le tracce.
Un immobilismo rotto ancora una volta dalla magistratura che, in questo inizio di anno, ha visto tre differenti tribunali di sorveglianza, quelli di Terni, Parma e Verona, accogliere altrettanti reclami presentati da persone detenute che chiedevano il riconoscimento della propria sfera affettiva e sessuale, stabilendo che la mancanza di spazi idonei all’interno delle carceri costituisce una violazione della dignità della persona, nonché una pena accessoria anacronistica.
Nel caso di Parma il giudice ha posto anche un limite di tempo perentorio, 60 giorni, entro il quale l’Amministrazione penitenziaria deve predisporre spazi adeguati. L’Amministrazione dal proprio canto ha presentato ricorso contro questa decisione, facendo riferimento alla presunta pericolosità della persona detenuta, ricorso che è stato però rigettato dal tribunale che ha sostenuto come il quadro di pericolosità non sia più attuale, così come testimoniato dalle relazioni che riguardano il percorso penitenziario fatto.
Tuttavia, al di là di questo, quello del riconoscimento della sfera affettiva sessuale in carcere è un diritto che governo e parlamento non possono continuare a ignorare e su cui dovrebbero intervenire con estrema urgenza, dando seguito alla pronuncia della Consulta, alle decisioni dei tribunali di sorveglianza, ripristinando un diritto inalienabile che oggi lo Stato italiano sta sistematicamente violando.
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