31 marzo 2022
Al 41 bis il sesso non entra neanche in forma rappresentata. L’ha deciso una sentenza della Corte di cassazione che ha stabilito legittimo il no opposto dalla direzione di un istituto penitenziario all’ingresso di riviste pornografiche. Le aveva chieste un detenuto al regime speciale seguendo la usuale prassi: "domandina" ai vertici del penitenziario respinta, il reclamo al magistrato di sorveglianza non accolto, e poi quello al tribunale di sorveglianza che ha cambiato le carte in tavola disponendo la sottoscrizione dell’abbonamento a una rivista, seppur a spese dell’interessato.
L’amministrazione penitenziaria non ne ha voluto sapere ed è ricorsa in Cassazione, che le ha dato ragione. Nella sentenza si legge che "anche a volerlo considerare un aspetto della sessualità, nella sua accezione più lata, l’autoerotismo non è impedito di per sé dallo stato detentivo. La fruizione di materiale pornografico costituisce uno dei mezzi possibili per la sua migliore soddisfazione, ma non ne costituisce presupposto ineludibile". Se ne può fare a meno, insomma, anche perché – motiva la suprema corte – al loro interno potrebbero essere nascosti "messaggi criptici, di non agevole decifrazione, pregiudizievoli per l’ordine e la sicurezza pubblica e tali da aggirare le finalità del regime speciale".
Ergastolo ostativo, arriva la riforma
Lontani i tempi in cui nelle celle dei boss entravano persino prostitute e amanti. La vicenda è stata così sentita che il numero di ottobre della rivista del Sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe) ci ha dedicato la storia di copertina. La ragione è che la questione rimanda a un tema serio e importante, quello del diritto alla sessualità dei detenuti comuni, a cui è permessa la lettura di riviste porno, ma non i rapporti sessuali in istituto: questione da tempo aperta nel nostro Paese. Fin dagli anni Novanta Consiglio d'Europa e Parlamento europeo hanno raccomandato la predisposizione di regole per garantire il diritto ad avere una regolare vita affettiva e sessuale all’interno degli istituti penitenziari.
Le esperienze di alcuni Paesi dimostrano che sia fattibile. Negli istituti della Norvegia, per esempio, ci sono dei mini appartamenti in cui si possono ricevere le visite. In Italia la materia resta non regolata, un silenzio che però – spiega il giurista Andrea Pugiotto – opera concretamente come se ne prevedesse il divieto e questo determina "strappi al tessuto costituzionale". La Corte costituzionale ha parlato di un’esigenza reale e fortemente avvertita, ma ha delegato il tutto a una scelta parlamentare. I tentativi non sono mancati, tutti naufragati. Adriano Sofri, ex leader di Lotta continua ed ex detenuto, ha scritto su Ristretti.it che quando si affronta il tema della sessualità negli istituti penitenziari viene alla luce la concezione che del sesso ha una società: "La sessualità – sostiene Sofri – non le appare come una dimensione naturale, necessaria, ineliminabile della persone, ma come una concessione, un di più, se non un vizio".
Discutere dell’argomento per i detenuti al 41 bis è ancora più difficile, anzi "improponibile " commenta Lorenzo Tardella, volontario di Antigone e avvocato che ha seguito la vicenda del detenuto al 41 bis. "Vorrebbe dire – conclude Tardella – abolire il regime speciale e permettere la sessualità a tutti i reclusi".
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