31 maggio 2024
“Uno di questi apriva la cella di isolamento e diceva a S.M. di entrare; poiché S.M, temendo di essere picchiato, non voleva entrare, uno degli agenti lo colpiva con un calcio da dietro e lo faceva rovinare a terra, battendo la testa; a questo punto tutti gli agenti lo colpivano con calci e pugni…”. Questo è uno stralcio della ricostruzione che i giudici milanesi hanno fatto di quanto sarebbe accaduto nell’Istituto penale per minorenni Beccaria di Milano. È uno degli episodi accaduti all’interno dei reparti di isolamento che si trovano nelle carceri italiane: luoghi spesso collocati in aree separate rispetto alle sezioni ordinarie, lontano quindi dagli sguardi, dai controlli e dove, per questo, è più facile si possano verificare episodi di violenza e tortura.
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“Uno di questi apriva la cella di isolamento e diceva a S.M. di entrare; poiché S.M, temendo di essere picchiato, non voleva entrare, uno degli agenti lo colpiva con un calcio da dietro e lo faceva rovinare a terra, battendo la testa; a questo punto tutti gli agenti lo colpivano con calci e pugni…”
Ma non è il solo, anzi. Lamine Hakimi è morto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 4 maggio del 2020. Era una dei detenuti vittima di quella che viene definita “mattanza” e per cui oltre 100 persone (agenti penitenziari, operatori e dirigenti) sono oggi sotto processo per diversi reati, a partire dalla tortura. In questo caso il reato contestato è morte come conseguenza della tortura. Dopo aver subito violenti pestaggi, Lamine è stato portato in una cella di isolamento per un provvedimento disciplinare, poi contestato dai giudici perché basato su documenti e attestazioni false, e lì lasciato ben oltre i tempi consentiti. Abbandonato, senza che gli fossero prestate le cure necessarie. Nel dicembre 2004 due persone detenute sono state condotte nelle celle di isolamento del carcere di Asti, prive di vetri, nonostante il freddo intenso, nonché di materassi, lenzuola, coperte, lavandino, sedie, e sgabello. Gli è stato razionato il cibo e impedito di dormire. Nei giorni successivi, sono stati insultati e sottoposti a percosse quotidiane anche per più volte al giorno con calci, pugni, schiaffi in tutto il corpo. A uno dei due, è stata persino schiacciata la testa con i piedi. L’episodio è emerso a causa di intercettazioni dirette ad appurare altri reati su cui i pubblici ministeri indagavano.
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Il processo si è concluso nel 2012 con il proscioglimento per prescrizione degli agenti imputati. Il giudice del caso ha precisato che i reati contestati erano riconducibili alla fattispecie di tortura ma che, in assenza di una legge ad hoc, non si poteva procedere. Legge poi introdotta nel 2017, dopo una sentenza della Corte europea dei diritti che ha riconosciuto a quei due detenuti lo status di vittime di torture e di trattamenti inumani e degradanti, condannando lo Stato italiano a risarcirli con 80 mila euro ciascuno. Ma l’isolamento non è un problema che riguarda solo le violenze. Infatti, ha un impatto devastante dal punto di vista psicologico, fisico e sociale. Separa le persone dalla vita comune, riducendo i contatti non solo con l’esterno ma anche con l’interno dell’istituto, e ponendo i detenuti in celle spoglie. Una condizione che ha conseguenze emotivamente forti, come dimostrano anche i numeri dei suicidi: delle 34 persone che si sono tolte la vita dall’inizio del 2024, almeno cinque di loro si trovavano in una cella di isolamento.
Ecco perché dal 2022 Antigone e Physicians for Human Rights Israel hanno avviato una campagna a livello globale per superare questa pratica carceraria, realizzando delle Linee guida internazionali sulle alternative all’isolamento penitenziario: un documento che include raccomandazioni dirette a eliminare le cause all’origine dell’isolamento, a mettere in atto misure di responsabilità e supervisione, nonché a orientare la creazione di piani di assistenza personalizzati e a formare il personale.
Nei primi mesi del 2024 in Italia ci sono stati 668 casi di isolamento disciplinare e 15 di isolamento giudiziario
In Italia l’isolamento è ampiamente ammesso nella legislazione interna. Ne esistono di tre tipi: c’è l’isolamento disciplinare che può essere disposto fino a 15 giorni nel caso di infrazioni disciplinari. Poi, l’isolamento giudiziario, stabilito dai magistrati nella fase di custodia cautelare per evitare che gli arrestati possano precostituire tesi difensive. Infine, c’è l’isolamento diurno, un obbrobrio tutto italiano, introdotto in epoca fascista (1930), nel codice Rocco e da allora rimasto nel nostro ordinamento penale, che prevede l’isolamento diurno da sei mesi a tre anni come pena vera e propria nel caso di pluri-ergastolani. Quest’ultimo è, peraltro, l’unico caso in cui il giudice può disporre della modalità di esecuzione della pena che in tutti gli altri casi non sta più a lui, ma ad altre amministrazioni dello Stato.
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Nei primi mesi del 2024 in Italia ci sono stati 668 casi di isolamento disciplinare e 15 di isolamento giudiziario, quindi più o meno l’un per cento della popolazione detenuta è passata per una cella di isolamento. Per quanto riguarda l’isolamento disciplinare, in alcuni casi si è assistito a un suo abuso. Se la normativa prevede un limite massimo di 15 giorni, la stessa non pone altri limiti temporali e, dunque, non è raro sapere di persone che dopo i 15 giorni sono stati riportati nella propria cella e, dopo poche ore, poste di nuovo in isolamento per altri 15 giorni.
Eppure, secondo la letteratura medica, una persona può essere posta in isolamento per un tempo massimo proprio di 15 giorni: dopo due settimane, infatti, i danni prodotti da questo regime, potrebbero essere addirittura irreversibili. Inoltre, l’isolamento come pena è in contrasto con l’articolo 27 della Costituzione in base al quale le pene non possono essere contrarie al senso di umanità e “devono tendere alla rieducazione del condannato”. E un regime come quello dell’isolamento, tanto quello disciplinare, quanto quello giudiziario e diurno, non si vede come possa mai avere questo scopo.
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