Foto di Denis Oliveira/Unsplash
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8 marzo, donne discriminate anche nelle carceri d'Italia

Le donne fanno meno reati, ma sono le più penalizzate dalle istituzioni penitenziarie: hanno poche sezioni e pochi servizi nelle carceri, pensate per gli uomini

Redazione <br> lavialibera

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8 marzo 2023

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Il nostro sistema penitenziario è declinato al maschile: non c'è una specifica attenzione alle donne detenute. Anche se compiono meno reati rispetto agli uomini, sono loro le più penalizzate dall'istituzione carceraria. Sul totale dei crimini, quelli realizzati da mano femminile coprono il 18,3 per centro del totale, mentre le detenute sono il 4,2 per cento dei reclusi in Italia. Lo raccontano i dati raccolti dall'associazione Antigone che, in occasione dell'8 marzo, festa delle donne, ha pubblicato il Primo rapporto sulle donne detenute in Italia. Nel 2021, le donne arrestate o denunciate sono state 151.860, gli uomini invece 679.277. 

Quante sono le donne nelle carceri d'Italia

In Italia vi sono 8 donne detenute ogni 100.000 abitanti donne. Vi sono invece 182 uomini detenuti ogni 100.000 abitanti uomini. Vi sono inoltre 17 persone transgender detenute ogni 100.000 abitanti transgender. 

La presenza delle donne detenute nelle carceri italiane è ormai ferma da molti anni attorno all’attuale 4,2 per cento Erano 2.392 le donne presenti negli istituti penitenziari italiani al 31 gennaio 2023, di cui 15 madri con 17 figli al seguito.  Negli ultimi quindici anni si è quasi dimezzato il numero degli ingressi annuali delle donne. Ciò è piuttosto in linea con quanto accaduto con gli ingressi in carcere in generale, calmierati da norme volte a evitare le cortissime permanenze. La riduzione ha comunque interessato le donne più degli uomini, essendosi, negli anni considerati, ridotta di un punto la percentuale di ingressi femminili, passata dal 7,8% del 2008 al 6,8% del 2022. Essa rimane tuttavia maggiore della percentuale delle presenze delle donne in carcere pari al 4,2% del totale delle presenze, segno della maggiore brevità delle permanenze e dunque della minore severità nelle pene ricevute.

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Quali reati compiono le donne

Quando compiono reati, le donne sostanzialmente rubano: ia loro sono attribuite il 20,2 per cento delle denunce totali per furto, il 23,2 per cento delle truffe o frodi informatiche e il 7,5 per cento delle rapine. Sono particolarmente attive nello sfruttamento e nel favoreggiamento della prostituzione: loro è la responsabilità del 25,8 per cento dei reati di sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione. Altro dato interessante, sono rivolte al genere femminile il 16, 8 per cento delle denunce di associazione a delinquere di stampo mafioso. Molto meno rappresentati invece gli omicidi (6,1 per cento) e le violazioni della legge sulle droghe (7,7 per cento).

Perché le donne delinquono meno degli uomini? "Questi dati potrebbero essere tanto il riflesso di una minore partecipazione delle donne ad attività etichettate come criminali, quanto di una minore tendenza a denunciare il reato commesso da donne  risponde nel rapporto la ricercatrice Giulia Fabini –, o anche il fatto che i comportamenti devianti delle donne non siano necessariamente categorizzati come violazioni del diritto penale". Ma, come ammette la stessa ricercatrice, non ci sono informazioni e risposte univoche sulla questione.

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A Roma il più grande carcere femminile d'Europa

Nel mondo, le donne rappresentano il 6,9 per cento della popolazione detenuta di tutto il mondo. Ad Hong Kong la percentuale più alta al mondo, pari al 19,7 per cento, alla repubblica ceca quella della Ue, con l’8,5 per cento. In Italia, al 31 gennaio 2023, erano detenute 2.392 donne, di cui 15 madri con 17 figli al seguito. Le quattro carceri femminili presenti sul territorio italiano (a Trani, Pozzuoli, Roma e Venezia) ospitano un quarto del totale, le altre 1.779 donne sono sostanzialmente distribuite nelle 44 sezioni femminili ospitate all’interno di carceri maschili. Si trova a Roma, a Rebibbia, il più grande carcere femminile d'Europa, con le sue 334 detenute (118 straniere), rispetto ad una capienza regolamentare è pari a 275 posti.

Secondo i dati di Antigone, sono 12 le donne  attualmente sottoposte al 41 bis, tutte detenute presso l’istituto penitenziario presente all’Aquila.

Un carcere pensato per uomini

Le donne, per il loro numero esiguo, non sono responsabili del sovraffollamento carcerario, ma lo subiscono più degli uomini: Il tasso di affollamento ufficiale delle carceri femminili è del 112,3%, superiore al tasso di affollamento ufficiale generale delle carceri italiane. Ma sono anche i pochi servizi offerti a vederle penalizzate. Il sistema penale investe la maggior parte delle risorse sul controllo della devianza maschile e sul mantenimento dell’ordine, relegando il sistema detentivo femminile a una spesa residuale. In altre parole le donne hanno spazi più piccoli, minore possibilità di risposta ai bisogni specifici, meno strutture e quindi meno possibilità di scontare la pena vicino al territorio in cui si hanno reti familiari e sociali.

C'è "una differenza tra i disturbi femminili e maschili – spiega Grazia Zuffa, psicologa e membro del Comitato nazionale di Bioetica –. Ad esempio per le donne prevalgono le sindromi depressive e gli stati di sofferenza legati al distacco dai figli". Inoltre, "un punto molto delicato da tenere a mente, particolarmente quando si parla di donne detenute, è quanto dice l’Oms in relazione alla salute mentale in carcere, ossia che essa non è solo una questione di servizi di salute mentale, non è solo questione di psichiatri e psicologi in carcere, ma è una questione di condizioni ambientali".

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Donne trans in istituti maschili, una condanna nella condanna

La marginalizzazione delle persone trans nelle carceri inizia con una condanna nella condanna: l’essere ristrette in istituti maschili e in ambienti separati, i reparti transex.  Le circa 70 trans presenti nelle carceri italiane sono ospitate in apposite sezioni protette all’interno di carceri maschili negli istituti di Belluno, Como, Ivrea, Napoli Secondigliano, Reggio Emilia e Roma Rebibbia Nuovo Complesso. Il rapporto denuncia che "queste donne vivono spesso in uno stato di abbandono, essendo coinvolte in pochissimi attività interne".

In dettaglio, se a Belluno le 16 detenute ospitate dalla sezione trans non svolgono alcuna attività culturale, ricreativa o sportiva e soltanto una detenuta partecipa a un corso scolastico, neanche nella sezione di Ivrea risulta attiva alcuna attività e nessuna delle 7 donne trans è iscritta a corsi scolastici. Per le 11 donne di Como le lavorazioni e gli spazi destinati ai laboratori sono assai ridotti e, a differenza degli uomini, non è loro concesso l’utilizzo di palestra o campo sportivo. Le 11 donne di Secondigliano seguono un corso professionale di nail art e trucco. Per le 11 donne di Reggio Emilia non vi sono corsi scolastici disponibili. Le 16 donne trans di Rebibbia, la maggior parte di origine straniera, possono invece usufruire di corsi di alfabetizzazione e scuola secondaria, entrambi svolti nelle aule interne alla sezione. Le attività ricreative previste sono il cucito e un corso di teatro. Per quanto riguarda lo sport è possibile praticare la pallavolo.

Alicia Alonso, volontaria del Difensore civico dei detenuti di Antigone e componente dello sportello di Antigone e Garante regionale al carcere femminile di Rebibbia “Stefanini”: “La tossicità del ruolo maschile rischia di essere potenziata da un’architettura dell’esecuzione penale che rende il femminile invisibile: capita ad esempio nelle relazioni quotidiane che alcune detenute parlino di sé al maschile perché lo associano a un esercizio di potere".

Disagio psichico e tossicodipendenza dietro i suicidi

Drammatico il numero dei suicidi lo scorso anno: nel 2022 ben 84 persone si sono tolte la vita all’interno di un istituto di pena, una ogni 4 giorni. Un numero così alto non era mai stato registrato, né in termini assoluti né in termini relativi. Tra loro, 5 erano donne, di cui 3 straniere (sia il 2020 che il 2021 avevano registrato un unico suicidio femminile in carcere). 

Due donne soffrivano di disagio psichico, altre due avevano problemi di tossicodipendenza. Alcune erano giovanissime. Concetta Manuela Agosta aveva 29 anni e si trovava da soli due giorni nella casa circondariale di Messina. Si è impiccata nella sua cella. Una donna rumena di 36 anni si è impiccata con un paio di pantaloni elastici ad un albero di nespolo, al termine dell’ora d’aria nel carcere di Barcellona Pozzo di Gotto. Aveva 36 anni e problemi di tossicodipendenza la donna italiana che si è tolta la vita a Rebibbia. La donna straniera di 51 anni che si è impiccata nel carcere di Brescia era dentro da alcuni mesi per reati contro il patrimonio. Anche Donatella Hodo, 27 anni, aveva problemi di tossicodipendenza e sin da giovanissima aveva fatto avanti e indietro tra carcere e comunità. Si è uccisa una notte nel carcere di Verona. Il magistrato di sorveglianza ha ammesso che il sistema con lei aveva fallito e che il carcere non era il luogo adatto a Donatella.

Le donne studiano meno

Oggi come in passato, le donne tendono a frequentare corsi di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana e gli altri corsi di primo livello, accedendo meno ai corsi di secondo livello. Nell’anno scolastico 2021-22, sono stati iscritti a qualche corso del ciclo di istruzione 20.357 detenuti (pari al 32,1% dei presenti all’inizio del periodo, ovvero al settembre 2021). Di questi, 835 erano donne. Tuttavia, solo il 15,8% del numero dei presenti a inizio periodo ha conseguito la promozione nel corso dell’anno scolastico (8.456 persone, di cui 334 donne), ovvero meno della metà. Segno di un grande problema nella capacità di garantire una solida formazione scolastica in carcere.

Se nei gradi inferiori di istruzione le donne iscritte e promosse rispetto al totale delle donne presenti tendono a essere percentualmente più rappresentate degli uomini iscritti e promossi sul totale degli uomini presenti, nei gradi più alti la situazione si ribalta. Uno sguardo ai dati sugli studi universitari conferma questa considerazione. Alla fine del 2021, ultimo dato disponibile, erano 1.093 i detenuti iscritti all’Università (di cui 517 in istituti sede di Poli Universitari). Di questi, le donne erano solo 36. Tra i 19 detenuti che hanno conseguito la laurea nel corso dell’anno vi era una sola donna. 

Tamar Pitch, direttrice della rivista Studi sulla Questione criminale e protagonista di una pionieristica ricerca sulla detenzione femminile in Italia pubblicata nel 1992, sostiene che "a rileggerla adesso lo sconforto è grande, perché quello che dicevamo allora non è molto diverso". "A parte l’innovazione degli Icam, il quadro d’insieme non pare infatti molto cambiato. Si trattava di donne, già allora molte delle quali straniere, molte tossicodipendenti, con un basso livello di istruzione, disoccupate e con lavori saltuari, le quali denunciavano sofferenza per il venir meno dei legami affettivi, in particolare familiari e figli/e, ma anche per la sensazione di non essere rispettate dal personale penitenziario (l’infantilizzazione cui erano e sono sottoposte le detenute sia da parte degli e delle agenti di polizia penitenziaria sia da educatori, psicologi e simili)". 

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