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2 gennaio 2025
La situazione ha assunto contorni paradossali. Perché mentre l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) afferma la necessità di garantire universalmente i diritti sessuali, c’è chi rischia di restarne tagliato fuori. È il caso dei disabili, una minoranza spesso confinata nell’ombra che secondo l’Istat conta oltre tre milioni di italiani. Il quadro è complicato per un’infinità di motivi. In molti casi, le persone affette da patologie mentali vengono viste come eterni bambini e cristallizzate in una sfera di asessualità, mentre per chi soffre di handicap fisici uscire di casa, anche solo per conoscere potenziali partner, può diventare un’impresa. Fino ai casi più gravi, in cui la possibilità di dare e ricevere piacere fisico in maniera autonoma assomiglia molto a un’utopia.
Proprio per questo a Bologna è nato Lovegiver, un comitato che da anni si batte per l’istituzione degli operatori all’emotività, all’affettività e alla sessualità (oeas), figure specializzate che guidano i disabili lungo un labirinto che porta all’accettazione della propria fisicità, alla consapevolezza di poter essere seduttivi per gli altri, nonché al godimento effettivo della sfera sessuale. Il tutto lavorando sulla piena autonomia del disabile. Perché è solo nei casi più gravi di impedimento fisico che l’oeas può intervenire materialmente, e solo tramite l’accompagnamento alla masturbazione. Dieci anni fa è stato presentato al Senato un disegno di legge per istituzionalizzare la figura, ma poi non se n’è fatto più niente e al momento l’oeas rimane borderline. Ne abbiamo parlato con Maximiliano Ulivieri, presidente del comitato Lovegiver.
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Maximiliano, cosa intendiamo quando ci riferiamo ai diritti sessuali dei disabili?
Il primo problema è capire davvero il significato del termine diritto. Non vuol dire che lo Stato debba portarti il fidanzato a casa, è qualcosa di più profondo. Lo Stato deve impegnarsi per abbattere tutte le barriere fisiche e culturali che non permettono al singolo di accedere in autonomia a un diritto. Se non riesco a uscire di casa, a frequentare un negozio, un locale o qualsiasi contesto dove potrei conoscere la persona giusta, non posso avere una chance per allacciare una relazione. Posso essere un disabile oppure Brad Pitt, ma resta il fatto che non avrò mai la possibilità di utilizzare le mie armi seduttive. Il punto di partenza è questo, permettere una vita sociale il più possibile libera.
E poi?
"Bisogna creare un’abitudine visiva ai disabili, solo così è possibile comprendere che una persona con un handicap può avere esigenze sessuali"Maximiliano Ulivieri - Presidente del comitato Lovegiver
Il secondo elemento è molto più complesso perché riguarda le barriere culturali, che si abbattono attraverso un importante programma di sensibilizzazione. Bisogna creare un’abitudine visiva ai disabili, solo così è possibile comprendere che una persona con un handicap può avere esigenze sessuali.
In questo senso anche la televisione e il cinema devono fare la loro parte?
Certo. Nei film ormai siamo abituati a vedere le coppie omossessuali, si è creata appunto un’abitudine visiva. Ora non è affatto strano che un disabile pratichi sport, perché abbiamo imparato a seguire le paralimpiadi. A volte scherzo dicendo che ci vorrebbero le paralimpiadi del sesso. Fino a quando rimarrà confinata in una nicchia, tanto dal punto di vista visivo quanto narrativo, la sessualità sarà sempre un punto interrogativo.
Le famiglie sono al corrente dei bisogni sessuali dei parenti disabili?
"I genitori di disabili intellettivi sono così presi a gestire una quotidianità dove tutto diventa difficile, che la sessualità è l’ultima cosa a cui pensano"
Il problema si pone soprattutto nei casi di disabilità intellettiva, con i genitori che sono così presi a gestire una quotidianità dove tutto diventa difficile, anche andare a scuola o interagire con gli altri, che la sessualità è l’ultima cosa a cui pensano. Nei casi di disabilità fisica, invece, magari i genitori ci pensano ma non lo dicono, forse per pudore. Spesso nei convegni sento ripetere che i disabili faticano a parlare con la madre e il padre della loro sessualità, ma non credo che gli altri lo facciano.
Tempo fa hai detto che quando la gente guarda una coppia e nota un disabile pensa subito si tratti di due persone infelici. È ancora così?
Purtroppo sì. In Italia molti credono che vivere con un disabile sia complicato e, di conseguenza, anche la relazione sia infelice. È un pensiero che fa sorridere, perché gli avvocati divorzisti non si occupano solo di coppie con un disabile. La gente è ancora spaventata dal disabile perché non è mainstream, non è sdoganato. Molti luoghi sono inaccessibili, basti pensare che cinquant’anni fa il disabile non usciva da casa. Quando hanno iniziato a farlo il mondo è cambiato ed è diventato più accessibile. Se iniziamo ad abituarci all’esistenza di coppie con almeno un disabile, finirà anche l’idea che stare con un disabile sia una sfiga.
Da anni ti batti per il riconoscimento dell’operatore all’emotività, all’affettività e alla sessualità. Che figura è?
Sono professionisti che svolgono un lavoro molto profondo, con l’obiettivo di dare autonomia alla persona nella sfera sessuale ed emotiva. Non si può pensare che una persona sia legata all’assistenza per tutta la sua vita. Per alcune persone con disabilità gravi è difficilissimo avere una relazione, molti devono addirittura convincersi di poter conquistare una donna e poterle dare piacere. L’obiettivo è far capire loro che possono essere seduttivi. Come intervengono operatori e operatrici dal punto di vista tecnico? Il massimo che si può praticare è l’accompagnamento alla masturbazione. Una ragazza di Torino, ad esempio, ha difficoltà pratiche a masturbarsi e l’abbiamo aiutata a farle capire in che modo utilizzare i sex toy.
Disabilità: cercare la felicità anche se non è facile
In questo modo si evita che i disabili finiscano per affidarsi alle prostitute?
Nel caso in cui un disabile avesse bisogno di qualcosa di esclusivamente materiale, basterebbe il lavoro di sex worker preparate e preparati, ma in Italia si pensa che le proibizioni eliminino i problemi, quando invece finiscono per aggravarli. Se operatori e operatrici fossero riconosciuti, tanti e tante sex worker seguirebbero i nostri corsi. Noi supervisioniamo le nostre figure con psicologi e sessuologi e questo fa in modo che i genitori siano tranquilli, perché sanno che si affidano a personale qualificato e formato.
Quindi anche una sex worker potrebbe diventare oeas?
"Alcune sex workers vogliono seguire i nostri corsi ed è un bene. Il problema è il costo dei gigolò. I nostri operatori costano meno"
In molte mi hanno scritto perché vorrebbero seguire i nostri corsi. È un bene, altrimenti come trovi una sex worker che sia preparata in questo senso? Il problema vero riguarda però le donne disabili, perché un gigolò costa il triplo. So di una ragazza che ha chiesto di avere un rapporto con un sex worker e lui le ha chiesto addirittura 1.200 euro. I nostri operatori hanno un costo basso: 60 euro per un incontro di due o tre ore. È un’attività che può essere paragonata a una seduta con lo psicologo e si svolge sotto la nostra supervisione.
Dieci anni fa è stato presentato al Senato un disegno di legge per istituire la figura del lovegiver, ma poi non se n’è fatto più niente. Restano quindi figure borderline?
Assolutamente si, ma nessuno ci ha mai dato fastidio. Più che con le famiglie dei disabili facciamo fatica con le strutture importanti, nonostante ci chiamino per coinvolgerci in corsi di formazione e per avere gli strumenti in grado di gestire queste situazioni. Il problema è che introdurre un nostro operatore in una struttura diventa complicato in assenza di una legge che lo inquadri bene. Hanno paura che qualcuno possa denunciare qualcosa di strano. Inoltre, molti temono che i lovegiver possano ghettizzare il disabile, creando un’assistenza ad hoc su questo, quando in realtà cerchiamo solo di dare autonomia a chi ci chiama.
Chi sono i lovegiver oggi?
"Al momento abbiamo 26 persone divise a metà fra donne e uomini, il 30 per cento sta ancora svolgendo il tirocinio"
Al momento abbiamo 26 persone divise a metà fra donne e uomini, il 30 per cento sta ancora svolgendo il tirocinio. Arrivano dal Centro e dal Nord, mentre abbiamo solo una ragazza proveniente dal Sud, dalla Puglia in particolare. Le lezioni sono in Emilia e non per tutti è facile raggiungerci.
Chi richiede il vostro aiuto?
Nel 70 per cento dei casi sono uomini, un dato che fa emergere come esista un problema culturale profondo: per le donne è ancor più difficile esprimere il proprio desiderio sessuale e scinderlo dall’amore. L’età è variegata, si va dai 20 ai 60 anni, ma anche oltre. La maggior parte delle richieste arriva da famiglie con figli che presentano disturbi dello spettro autistico.
Quali caratteristiche devono avere gli oeas?
Non sono adatte al ruolo le persone con determinate parafilie, ad esempio i devotee, attratti dalla disabilità, dalla carrozzina, dal bastone, dalla gobba, ai quali non interessa realmente il benessere del disabile.
Sul mercato esistono alcuni sex toy dedicati ai disabili. Semplice consumismo o segno che la società civile è un passo avanti rispetto alla politica?
Penso che tutto sia business, ma se questi oggetti riescono ad aiutare le persone a vivere meglio la loro sessualità per me va bene così.
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