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1 maggio 2025
L’associazione si chiama San Salvario, come il quartiere multietnico di Torino, ma per tutti è la Sansa, rigorosamente al femminile. Una storia cominciata nel 2010, quando un gruppo di amici decide di unire due squadre di calcio a 7 e formarne una a 11: un allenamento settimanale e la partita di campionato al sabato pomeriggio. Presto, però, il progetto prende forma, gli sport aumentano e le attività si moltiplicano. Cresce soprattutto il senso di appartenenza, come dimostra la nascita spontanea di un gruppo di tifosi che segue le squadre in giro per la città, i Nativi. Giancarlo D’Agostino, per tutti Gigi, è il presidente della Sansa, nonché uno dei fondatori. Si occupa delle pratiche burocratiche, organizza i tornei, stampa le locandine, pensa alle magliette e ai gadget. "Siamo stati i primi in città a proporre lo sport popolare – racconta – consentendo a chiunque di giocare dietro al pagamento di una quota di iscrizione. Non tutti riuscivano, però, a pagare 200 euro all’anno e così abbiamo organizzato degli eventi per autofinanziarci. Siamo convinti che lo sport è un eccezionale mezzo per favorire la socialità, a condizione però che sia accessibile, senza blocchi di alcun tipo: sessuali, razziali, religiosi, ma soprattutto economici".
Dopo la squadra a 11 è nata quella dei giovani, poi è toccato al calcio a 5 femminile, il volley misto, il corso di boxe, il basket maschile, l’under 17 di calcio a 7 e la squadra dei bambini under 10.
"Rispetto ad altre realtà del territorio – spiega D’Agostino – nello statuto abbiamo deciso di non schierarci politicamente. Questo non significa che non abbiamo le nostre idee su determinati argomenti, ma volevamo accogliere tutti senza escludere chi la pensa diversamente. Non è un disimpegno, semmai un modo per non creare discriminazioni. Poi ognuno di noi segue le manifestazioni che interessano e spesso ci ritroviamo nello stesso corteo".
Con il trascorrere del tempo la Sansa si è trasformata in altro. Non soltanto un’associazione, ma anche un gruppo in cui rifugiarsi nei momenti complicati. "Per tutti noi è una seconda famiglia, per alcuni è la prima", dice D’Agostino che poi aggiunge: "Siamo molti legati al quartiere, qui cerchiamo di organizzare le attività con serate calcio balilla, le feste al Parco del Valentino, il mundialito di calcio. Per guadagnare qualcosa da reinvestire in progetti, abbiamo anche dipinto le serrande di alcuni negozi. Tutto si basa sul volontariato: allenatori, dirigenti, nessuno riceve un compenso, chi dà una mano lo fa perché ci crede".
I fondatori oggi hanno più di quarant’anni e tra lavoro e famiglia il tempo da mettere a disposizione è sempre meno. Nessuno ha mai pensato di rinunciare alla Sansa, ma un ricambio generazionale è necessario. "Si dice sempre che i giovani sono disinteressati, ma qui non è così. Tanti sono coinvolti e quando è servito ci sono sempre stati. Alcuni hanno giocato in squadre professionistiche e poi sono tornati, perché avevano nostalgia. Ecco, se dovessi descrivere la Sansa direi che è un posto dove si sta bene insieme".
L’associazione conta circa 150 tesserati, ma attorno vi gravitano un migliaio di persone. Per scelta, il direttivo ha deciso di partecipare solo a bandi comunali, escludendo quelli promossi da banche e fondazioni. "Nel quartiere riusciamo a fare pallavolo, nelle palestre messe a disposizione da due scuole, e un corso di boxe. Abbiamo anche avviato un centro estivo, con attività dedicate ai bambini in difficoltà, e grazie a un finanziamento comunale gestiamo una struttura polivalente in una circoscrizione vicina, che adesso speriamo di rilanciare".
Nella periferia nord della città un’altra associazione segue le orme della Sansa. È l’associazione AsdOra, anche lei nata da un gruppo di amici che fino al 2015 si davano appuntamento ogni settimana per giocare a calcetto. Il presidente storico e uno dei fondatori, Armando Riccardi, da qualche anno ha lasciato il testimone a Claudiu Hodoroaba, che oggi gestisce le attività al campo Regaldi di via Monteverdi, dato in concessione dalla circoscrizione 6 del comune di Torino.
"Contiamo 50 iscritti provenienti da otto nazioni e tre continenti – spiega quest’ultimo – che partecipano alle due sessioni di calcetto, il lunedì e il giovedì sera. La quota annuale per iscriversi è di appena 20 euro, serve poi il certificato medico e si può giocare. Un prezzo così basso favorisce anche l’ingresso di quei soci che non hanno grandi possibilità economiche. Abbiamo sempre cercato di includere ragazzi provenienti da paesi stranieri per favorire il loro inserimento nella comunità cittadina".
Una volta al mese, terminata la partita, l’associazione organizza il terzo tempo, una cena collettiva in uno dei pub della zona. "Grazie al calcio e a questi momenti di svago – dice Riccardi – sono nate tante amicizie ma, soprattutto, si è creata una rete trasversale che aiuta anche a livello professionale. E così per i nuovi torinesi è più facile inserirsi nel mondo lavorativo. Questa è vera inclusione".
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