Rosso diretto contro il razzismo nel calcio

Il mondo del calcio si è dato regole e strumenti contro il razzismo negli stadi, ma gli episodi di discriminazione sono frequenti a ogni livello: giovanile, dilettantistico e professionistico. Spesso non si arriva a una sanzione, oppure si infliggono squalifiche e ammende minime

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

Marco Panzarella

Marco PanzarellaRedattore lavialibera

Aggiornato il giorno 21 febbraio 2024

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Stai zitto scimmia e lasciami stare, io con le scimmie non ci parlo”. Il 14 gennaio 2023, in provincia di Livorno, durante una partita del campionato “Giovanissimi” (ragazzini sotto i 15 anni), il calciatore con la maglia numero 13 della squadra di casa ha insultato così un avversario di origine africana. “Negro di m…, scimmia”, è una delle frasi rivolte invece il 18 novembre 2022 da due giocatori di una squadra cuneese di Terza categoria (l’ultimo grado dei campionati federali) ad alcuni avversari con la pelle scura. Il primo giovane giocatore ha avuto una squalifica di dieci giornate, la sanzione minima prevista per chi pronuncia insulti a sfondo razziale. La sua società ha dovuto invece pagare una multa da 500 euro. Gli altri due sono stati squalificati per otto giornate, il club multato per 800 euro e un dirigente che si era accodato agli insulti sospeso per quattro mesi.

Sono alcune delle ultime decisioni della Corte federale di appello della Federazione italiana giuoco calcio (Figc) sui tanti episodi di razzismo nel calcio. Episodi sempre più frequenti negli ultimi dieci anni, soprattutto nelle serie maggiori (A, B e Lega Pro), quelle più esposte dal punto di vista mediatico, si legge nell’ultimo rapporto Calciatori sotto tiro, che dal 2013 presenta i dati raccolti dall’Osservatorio dell’Associazione italiana calciatori (Aic) sulle violenze e intimidazioni ai danni di calciatori, professionisti e dilettanti.

Discriminazioni sui campi di calcio: africani e balcanici gli obiettivi

"Qualsiasi cosa succeda nel nostro settore appare più marcata visto il grado di esposizione, ma non dimentichiamo che il mondo del calcio è lo specchio della nostra società ed è impensabile che da soli possiamo contrastare questi fenomeni"Umberto Calcagno - Presidente Associazione italiana calciatori

Sfogliare i comunicati ufficiali coi provvedimenti disciplinari o passare in rassegna le cronache sportive locali dà un’idea di quanto il fenomeno sia diffuso. Il problema “è mastodontico e non va sottovalutato”, sostiene il presidente dell’Aic Umberto Calcagno, secondo cui, però, non riguarda soltanto il mondo del calcio: “Qualsiasi cosa succeda nel nostro settore appare più marcata visto il grado di esposizione, ma non dimentichiamo che il mondo del calcio è lo specchio della nostra società ed è impensabile che da soli possiamo contrastare questi fenomeni”, spiega a lavialibera. “In un contesto in cui aumentano i casi di odio e hate speech – afferma Pierpaolo Romani, redattore del rapporto Calciatori sotto tiro e coordinatore di Avviso pubblico – molti si sentono quasi legittimati a dire certe cose. Inoltre lo stadio è sempre stata una zona franca: sembra quasi che sia meglio che le persone facciano casino dentro anziché fuori”.

Sono soprattutto i calciatori stranieri le vittime del razzismo, anche se non mancano i casi di atleti italiani derisi per le loro origini meridionali. “I più colpiti sono i ragazzi africani o provenienti dai Balcani”, illustra Romani. Nel dettaglio, anche per quanto riguarda il razzismo, gli episodi avvengono soprattutto in Serie A (68%), seguita dalla serie C, o meglio Lega Pro, (9%) e B (4%). “In particolare – continua Romani – verso i calciatori africani c’è un disprezzo molto forte tra buu, verso della scimmia, lanci di banane e frasi del tipo ‘torna in Africa con il barcone’. Tutte cose che nel 2023 sembrano inconcepibili, ma che invece persistono”.

Nella stagione 2021-2022, l’ultima analizzata, sono stati censiti 121 episodi di calciatori offesi, minacciati e intimiditi. Di questi, il 43 per cento dei casi ha una matrice razziale. Le zone più colpite del Paese sono quelle del Nord (49%), che “doppiano” Sud (27%) e Centro (24%). La maglia nera va alla Lombardia, dove sono stati segnalati il 26 per cento degli episodi, seguita da Campania (21%) e il duo composto da Veneto e Lazio (12%).

Anche gli arbitri obiettivo degli insulti discriminatori

Non solo calciatori. Il problema, sottolinea il presidente dell’Associazione italiana arbitri (Aia) Carlo Pacifici, riguarda anche i direttori di gara e i loro collaboratori: “Tante ragazze e tanti ragazzi sono stati obiettivo di insulti discriminatori per la loro provenienza o per il loro sesso”. Un caso è quello accaduto a Mamady Cissé, originario della Guinea e tesserato alla sezione Aia di Treviso, fischietto dell’incontro tra Bessica e Fossalunga, una partita del campionato di Seconda categoria in Veneto giocata nel febbraio 2023. Intorno allo scadere del secondo tempo e dopo il gol del pareggio su rigore del Fossalunga, un tifoso del Bessica dagli spalti ha rivolto un insulto razzista rivolto all’arbitro, che ha deciso di interrompere la gara. Secondo le due squadre, non avrebbe potuto, ma le Norme organizzative interne stabiliscono che un arbitro possa fermare la partita quando avvengono episodi che “appaiono pregiudizievoli della incolumità propria”. E così il giudice sportivo ha stabilito di assegnare la vittoria a tavolino degli ospiti e multare la società di casa con un ammenda di 300 euro.

Guida al razzismo nel calcio italiano

Contro il razzismo, un impegno a più livelli

Nonostante l’attenzione al problema, per arginare questi comportamenti razzisti sembrano non bastare squalifiche e sanzioni economiche, cioè alcuni degli strumenti che il mondo del calcio, almeno quello sotto l’egida della Federazione italiana gioco calcio, ha messo in campo. Ma come funziona? Lavialibera ne ha parlato con rappresentanti dei calciatori, dell’arbitraggio e della giustizia sportiva per capire i meccanismi. “L’argomento è seriamente oggetto di attenzione – spiegano dalla procura della Figc –. I collaboratori, di cui molti sono appartenenti alle forze dell’ordine e alla magistratura, vengono spesso sensibilizzati su questo tema nel corso degli incontri”. Lo stesso tenore viene ribadito dall’Aia: “È un argomento ‘attenzionato’ a tutti i livelli, nelle 206 sezioni territoriali e dai 32mila associati. In tutti i raduni il tema viene affrontato”, spiega il presidente Pacifici.

Le regole del gioco. Rosso diretto contro gli insulti

L’articolo 28 vuole punire “ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporta offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine anche etnica, condizione personale o sociale ovvero configura propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori”

Innanzitutto, bisogna vedere cosa stabilisce il regolamento di gioco. Tra le “infrazioni passibili di espulsione”, si prevede che un calciatore “deve essere espulso se (...) usa un linguaggio o agisce in modo offensivo, ingiurioso o minaccioso” e in questo ventaglio sono incluse anche quelle frasi di discriminazione razziale o territoriale. Rosso diretto.

Ma bisogna anche guardare al Codice di giustizia sportiva della Federazione italiana giuoco calcio, che fornisce le norme di comportamento e disciplina, non solo per i comportamenti dei tesserati (calciatori, allenatori…), ma anche di chi non lo è, come i presidenti, i dirigenti o i tifosi.

L’articolo 28 riguarda proprio i “comportamenti discriminatori”, cioè “ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporta offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine anche etnica, condizione personale o sociale ovvero configura propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori”.

Il codice prevede diversi tipi di sanzioni. Ad esempio, un calciatore può essere squalificato “per almeno dieci giornate di gara” o, nei casi peggiori, sospeso a tempo determinato o ricevere un divieto di accesso agli impianti sportivi. Per i professionisti c’è anche un’ammenda tra i 10mila e i 20mila euro. I dirigenti, i tesserati di società, i soci e non soci “sono puniti con l’inibizione o la squalifica non inferiore a quattro mesi” o anche con il divieto ad accedere agli impianti. Se professionisti, le multe salgono alle società salgono: dai 15mila ai 30mila euro.

Le sanzioni vanno a colpire le società quando i loro tifosi espongono striscioni o bandiere con “disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, recanti espressioni di discriminazione” o fanno cori, grida o versi “espressione di discriminazione”. Se si tratta della prima violazione, allora il club viene punito con l’obbligo di disputare una o più gare con uno o più settori chiusi, senza tifosi. Se però il caso è più grave, allora si può arrivare alla sconfitta a tavolino e all’obbligo di giocare a porte chiuse, senza tifosi sugli spalti. Il regolamento prevede anche la penalizzazione in classifica, l’esclusione dal campionato e la “non ammissione o esclusione dalla partecipazione a determinate manifestazioni”.

Le società possono avere esimenti (fattori che tolgono la responsabilità) e attenuanti se riescono ad “arginare” il comportamento dei loro tifosi, ad esempio se fanno diffondere dagli altoparlanti messaggi per invitare i tifosi a interrompere i cori o se, altro esempio, altri tifosi esprimono la loro contrarietà a questi comportamenti discriminatori.

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Cosa succede in campo quando ci sono insulti discriminatori?

Per due volte, nell’autunno 2022, una squadra Under 15 del confine italo-sloveno iscritta al campionato Under 15 della provincia di Trieste ha denunciato insulti del tenore “Sciavo (slavo, ndr) di m…”. In entrambi i casi la giustizia sportiva ha ritenuto non ci fossero elementi per sanzioni disciplinari agli avversari

Tutto quello che accade sul terreno di gioco è di competenza dell’arbitro e dei suoi collaboratori. Così, nel corso di una partita, “se avviene in campo tra calciatori, è prevista l’espulsione per comportamenti offensivi, minacciosi e blasfemi”, sintetizza il presidente dell’Aia Pacifici. Cartellino rosso, cioè l’espulsione immediata dal campo. Certo, per un arbitro è difficile sentire quello che viene detto su una superficie di 105 metri di lunghezza per 68 di larghezza, ma i giocatori stessi e i testimoni possono riferirlo. Non sempre, però, basta.

Al termine della gara, insieme agli assistenti e al quarto uomo, l’arbitro dovrà descrivere l’episodio nel referto, che verrà poi inviato al giudice sportivo per valutare le ulteriori sanzioni, come la squalifica per più giornate. “Bisogna riportare il virgolettato dell’offesa. In questo modo l’arbitro riferisce al giudice sportivo che deciderà sull’entità della squalifica”, continua Pacifici. In certi casi, il giudice sportivo può chiedere alla procura federale e ai suoi collaboratori degli approfondimenti, ad esempio ascoltare i testimoni dell’episodio. In generale, la procura federale ha dei tempi precisi per la conclusione delle indagini stabilito in 60 giorni, allo scadere dei quali può arrivare il deferimento, pena l’improcedibilità. Ma per quanto riguarda le dichiarazioni offensive, i tempi sono dimezzati.

Arrivare a una squalifica sulla base di quanto detto in campo, magari lontano dall’arbitro, è difficile. Ad esempio per due volte, nell’autunno 2022, una squadra del confine italo-sloveno iscritta al campionato Under 15 della provincia di Trieste ha lamentato agli arbitri di aver ricevuti insulti del tenore “Sciavo (slavo, ndr) di m…”. In entrambi i casi, la procura ha chiesto il deferimento (cioè il processo sportivo), ma prima il tribunale federale e poi la corte sportiva d’appello hanno sentenziato che non c’erano abbastanza elementi per arrivare a una squalifica. Segno che, nel bene o nel male, è difficile giudicare certi casi.

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Cosa succede sugli spalti?

Per ogni partita di serie A, B e di Lega Pro e alcune partite dilettantistiche, in base alla “pericolosità” analizzata dall’Osservatorio nazionale sulle manifestazione (un organismo del ministero dell’Interno che raggruppa rappresentanti del Viminale, delle forze di polizia e delle organizzazioni sportive per valutare la violenza negli stadi), i collaboratori della procura federale vanno a bordo campo non tanto per seguire quanto avviene sul terreno di gioco, ma per prestare attenzione ai margini e verificare quanto accade sugli spalti tra cori, striscioni e altre azioni. Riconoscibili con il loro pass di colore giallo, diverso dagli altri, si piazzano vicino alle panchine o nei pressi dei settori delle tifoserie organizzate, aprendo bene occhi e orecchie. “Siamo i primi ad arrivare e gli ultimi a partire”, racconta uno degli oltre duecento collaboratori della procura federale, un ex appartenente alle forze dell’ordine che da più di dieci anni frequenta gli stadi per controllare il rispetto delle regole.

I cori discriminatori

Nel caso in cui da un gruppo di sostenitori dovesse partire un coro discriminatorio, se il coro è percepito da tutti i collaboratori della procura federale, allora si segue una procedura specifica. Uno di loro informa il quarto uomo (cioè il quarto ufficiale di gara, quello che sta a bordo campo), che poi riferisce al primo: “C’è un protocollo internazionale, condiviso anche dalla federazione italiana – spiega Pacifici –. Si sospende immediatamente il gioco, si richiamano le squadre e si diffondono degli annunci con l’altoparlante”. Se, nonostante il richiamo, i canti dovessero continuare, “spetta alle forze dell’ordine valutare se interrompere la gara o no perché c’è una questione di ordine pubblico”.

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Non sempre, però, nonostante i cori reiterati, si arriva alla sospensione. Il 28 ottobre 2023, ad esempio, non è avvenuto a Crema (Cr), nella partita di Lega Pro tra Pergolettese e Legnago Salus. Nel secondo tempo, al 9° e al 19° minuto di gioco, gli ultras della squadra di casa, in curva Sud, “rivolgevano cori espressione di discriminazione razziale, intonando il verso buu, verso i calciatori di colore del Legnago Salus”. Erano cori chiarissimi che arbitro, collaboratori della procura federale e commissario di campo avevano sentito bene. Al primo episodio il direttore di gara ha interrotto la partita e richiamato i capitani; al 19° ha riferito a un collaboratore della Procura federale e al commissario di campo che se il pubblico avesse continuato, allora avrebbe sospeso l’incontro. Lo speaker dello stadio ha quindi informato gli spettatori dei rischi, ma nonostante questo al 70° e all’81° minuto dal settore distinti i tifosi di casa hanno intonato altri cori contro un giocatore degli ospiti, cori che i collaboratori hanno percepito senza problemi. L’arbitro avrebbe quindi dovuto sospendere la partita e invece il tempo ha continuare a correre fino al triplice fischio finale. A occuparsi della questione è stato il giudice sportivo che ha sanzionato la Pergolettese con la chiusura della curva Sud e del settore distinti per una partita, ma la sanzione è sospesa per un anno: dovrà scontarla soltanto se nel corso di questo anno si verificheranno altri episodi. In questo episodio di razzismo, con i cori reiterati più volte nel corso della stessa partita, nessuno paga niente.

Nei grandi stadi il controllo è molto complesso. “Dove ci sono due o tre anelli (i piani più alti degli spalti, ndr) è difficile sentire i cori – spiega ancora il collaboratore della procura federale –. A volte, però, siamo aiutati a ricostruire dopo la partita perché i social network amplificano i fatti”. Ad esempio, alcuni ultras della Juventus che avevano fatto cori contro l’allora giocatore dell’Inter Romelu Lukaku sono stati individuati anche così, ma per una formalità la sanzione contro la Juventus è stata annullata. Sulla questione è però intervenuta la Questura di Torino: la Digos, sezione della polizia che segue anche le attività delle tifoserie, è arrivata a identificare i 171 ultras bianconeri che hanno fatto i versi da scimmia contro il calciatore e ha emesso contro di loro dei divieti di accesso alle manifestazioni sportive (Daspo).

Questo strumento sembra essere efficace per fermare gli autori di cori o insulti discriminatori. Lo sa bene il tifoso della Fiorentina che nell’ottobre 2021 ha insultato i calciatori neri del Napoli, come Kalidou Koulibaly, o i 18 ultras dell’Atalanta che il 7 maggio 2023 hanno intonato “Sei uno zingaro” contro lo juventino Dusan Vlahovic. Per quanto riguarda questo episodio, la giustizia sportiva ha condannato la squadra bergamasca a giocare una partita senza tifosi in curva Nord.

Insulti e sputi

Il 28 ottobre, oltre agli episodi di Crema, per il campionato di Lega Pro è stata una giornata infernale, stando al comunicato ufficiale con le decisioni del giudice sportivo. Alcuni singoli tifosi se la sono presa direttamente con calciatori di colore. A Trento un tifoso dell’Us Alessandria, dal settore ospiti, ha sputato contro un giocatore avversario, il francese Christopher Attys, insultandolo con “epiteti razzisti”. Il tifoso 34enne ha ricevuto un Daspo dal questore di Trento e l’Us Alessandria dovrà pagare 3.500 euro di multa. Ne dovrà versare invece 3.000 la Pro Patria di Busto Arsizio per quello che ha fatto un suo sostenitore che, anche lui dal settore ospiti, al termine della gara ha “proferito ululati ed epiteti razzisti” contro un calciatore della Pro Vercelli. Basteranno?

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Un argine alla deriva

Negli ultimi anni, non sono mancate proteste contro il razzismo nel calcio. Nelle competizioni internazionali si sono visti calciatori inginocchiati prima del fischio di inizio. Sui campi di provincia qualche squadra, in solidarietà col compagno bersagliato da insulti, ha lasciato il campo. “Se nelle categorie giovanili e dilettantistiche le società arrivano anche a ritirare la squadra – fa notare Romani –, nel calcio professionistico, dove si registra l’85 per cento degli episodi, ciò non accade mai. Anche perché un gesto simile costerebbe la sconfitta a tavolino”.

Calcagno ritiene che sospendere le partite non argini il problema: “Molte volte si dice che bisognerebbe fermarsi, ma si creerebbe un danno alle persone che sono andate allo stadio e non hanno nulla a che vedere con certi tifosi. Non dimentichiamo che la parte che offende è sempre marginale”. Anche inasprire le sanzioni per il presidente non è risolutivo: “Questo vale nel calcio, ma anche in altri ambiti della nostra società. Punire duramente non fa altro che peggiorare le cose, meglio intraprendere percorsi educativi e abbattere il rischio recidiva. Oggi il calcio è come se producesse solo brutte notizie e invece sono convinto che possa essere utilizzato per promuovere buona pratiche, a noi spetta dare il buon esempio”. Per questo ritiene che ci sia un’altra via: “Servono progetti che possano realmente investire sui tifosi del domani, sui ragazzi, magari coinvolgendo le scuole. Sembra retorica, ma è necessario costruire una cultura sportiva”. “Da circa due anni la Figc sta collaborando con l’Unar”, cioè Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, struttura incardinata nel Dipartimento delle pari opportunità, spiega Stefano Archinà, membro del comitato nazionale dell’Aia che segue i progetti contro le discriminazioni. “In questa stagione abbiamo cominciato un percorso per i giovani arbitri. Vogliamo raggiungere ogni campetto di periferia”, conclude Archinà.


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