31 ottobre 2023
“Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”. Mi è venuto in mente l’antichissimo proverbio osservando il dibattito nato attorno alla vicenda dei calciatori-scommettitori. Ma cambierei la parola “stolto” con quella “interessato”. Si parla e soprattutto si scrive di Nicolò Fagioli, Sandro Tonali, Nicolò Zaniolo: giovani, talentuosi e ricchi calciatori. Di come siano caduti nel vizio o malattia, del gioco d’azzardo patologico. Molto meno si parla dell’enorme affare dell’azzardo, dei rischi concreti per la salute, dei drammi di tanti meno famosi e meno ricchi (“Azzardo tassa sui poveri”, viene spesso definito), degli ancor più concreti e accertati interessi delle mafie sul settore.
Nel 2022 gli italiani hanno speso in tutte le tipologie di azzardo136 miliardi di euro, con un aumento del 30 per cento rispetto al periodo pre-covid (durante i lockdown, sale giochi e scommesse sono state chiuse e spente slot e video-lottery). Tra 10 e 12 miliardi sono tasse che finiscono allo Stato. Una cifra enorme, basti pensare che i consumi privati totali degli italiani arrivano a 580 miliardi. Non solo un consumo di soldi. Infatti, si calcola che l’azzardo si porti via ogni anno 100 milioni di giornate lavorative, equivalente al 60 per cento del tempo dedicato dalle famiglie alle vacanze. Sono ben 18 milioni gli italiani che hanno giocato almeno una volta, 5,5 milioni quelli abitudinari, 1,5 milioni i patologici. Quantità che favoriscono la criminalità organizzata.
“Le mafie, tradizionalmente opportuniste e costantemente alla ricerca di nuove modalità di arricchimento, considerano il settore del gioco d’azzardo fonte primaria di guadagno verosimilmente superiore al traffico di stupefacenti, alle estorsioni e all’usura e uno strumento che ben si presta a qualsiasi forma di riciclaggio”. Lo ha scritto, lo scorso anno, la Direzione investigativa antimafia (Dia) nella Relazione al parlamento. E il generale della Guardia di finanza, Nicola Altiero, vicedirettore operativo della Dia, fornisce dei dati molto espliciti. “Un euro investito dalle mafie nel narcotraffico produce profitti per 6-7 euro, uno investito nell’azzardo 8-9, con molti meno rischi”.
La Dia sostiene che le mafie considerano il settore del gioco d’azzardo fonte primaria di guadagno verosimilmente superiore al traffico di stupefacenti, alle estorsioni e all’usura
Ecco perché, aggiunge, “intorno al settore si sono polarizzati gli interessi di tutte le organizzazioni criminali, dalla camorra alla ‘ndrangheta, dalla criminalità pugliese a Cosa nostra, in alcuni casi addirittura consorziandosi tra loro, mettendo da parte i conflitti”. Due le direttrici degli affari mafiosi: “Da un lato la gestione storica del gioco illegale, le cui prospettive si sono allargate con l’offerta online; dall’altro, la contaminazione del mercato legale, che garantisce rilevanti introiti a fronte di un rischio di sanzioni ritenuto economicamente sopportabile”. Con “drammatici risvolti sociali: le mafie approfittano dei giocatori affetti da ludopatia, sanno chi sono, li seguono, li contattano, concedendo prestiti a tassi usurari. Si genera così un circolo vizioso, in cui alla dipendenza dal gioco si somma la dipendenza economica dai clan”.
"La criminalità organizzata coglie come possibile fonte di arricchimento il consumo di massa del gioco d’azzardo, proprio come la droga. Intercetta questa dipendenza e la favorisce"Guido Salvini - Magistrato
Parole molto chiare che smontano la tesi del mondo dell’azzardo secondo il quale l’azzardo legale è il migliore strumento per combattere quello illegale, in mano alle mafie. Più sale scommesse legali e meno bische illegali. Invece è l’esatto contrario. Lo si sa da tempo. Ben dieci anni fa la Direzione nazionale antimafia (Dna), nella Relazione annuale scriveva che la liberalizzazione del gioco d’azzardo non ha tolto “risorse alla criminalità”, piuttosto “progressivamente, e anzi esponenzialmente, è aumentata l’infiltrazione nel settore della criminalità organizzata” che “sta acquisendo quote sostanziose del mercato del gioco”. Grazie anche a “un’imprenditoria collusa a sua volta legata ad ambienti istituzionali”. Ma cosa c’entra questo con la vicenda dei calciatori-scommettitori? Ricordiamo che la polizia arriva a Fagioli indagando su un’agenzia Eurobet di Torino che teneva una contabilità parallela per le scommesse su siti illegali.
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E lo stesso calciatore della Juventus, durante un lungo interrogatorio, ha raccontato che “a un certo punto ho cominciato a giocare anche su Eurobet”. Una coabitazione preoccupante. Ma anche questa non è storia di oggi. “La criminalità organizzata coglie come possibile fonte di arricchimento il consumo di massa del gioco d’azzardo, proprio come la droga. Intercetta questa dipendenza e la favorisce. E lo Stato, purtroppo, non coglie la pericolosità di questo fenomeno. Anzi ne trae vantaggi economici”, spiegava ad Avvenire nel 2016 Guido Salvini, magistrato che di gioco se ne intende: quando era giudice per le indagini preliminari a Cremona aveva seguito nel 2011 l’inchiesta sul calcioscommesse che anche allora coinvolgeva giocatori famosi. Alcuni, addirittura, vendevano le partite delle proprie squadre, molti di più scommettevano.
“Nel corso delle indagini sulle partite manipolate sono emersi moltissimi casi di giocatori, anche famosi, che erano veramente malati di scommesse sulle partite, attività tra l’altro a loro vietata. E questa dipendenza in parecchi casi ha costituito l’anticamera del loro reclutamento tra coloro che si facevano corrompere per truccare le partite”. Insomma, taglia corto il magistrato, “anche se le scommesse dei calciatori non avevano di per sè rilevanza penale, il confine tra la patologia dell’azzardo e il rendersi disponibile a tradire la fiducia dei tifosi e manipolare le partite, era molto labile”.
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In altre parole la ludopatia può portare poi a commettere reati. “C’è una sorta di osmosi. Se non avessero “giocato”, non si sarebbero certo avvicinati al mondo delle scommesse truccate”. E questo tutto a vantaggio di chi fa affari sull’azzardo. “Da un lato abbiamo sistemi criminali, anche internazionali, che intercettano le scommesse come fonte di investimento e di guadagno. Abbiamo poi calciatori, magari a fine carriera, abituati a una vita di agi, che colgono il gioco come occasione per rimanere nel giro, mettere a frutto le loro conoscenze arricchendosi di nuovo. E poi ci sono giocatori malati di scommesse. Proprio questi sono la punta dell’iceberg di una grande massa di persone dipendenti da questo vizio. Qui un intervento della criminalità ha gioco facile perché trova un terreno molto cedevole”.
Anche perché, insisteva il giudice Salvini, “questi reati sono considerati dalla società poco riprovevoli, forse perché l’impressione è che il giocatore faccia male soprattutto a se stesso. Un po’ come il consumatore di stupefacenti. Ma alle spalle di questo esercito di vittime, che possono arrivare anche alla distruzione di una famiglia o al suicidio, ci sono realtà che lo sfruttano".
Di nuovo il ruolo delle mafie. Con gravissime conseguenze, come scrisse nella passata legislatura la Commissione parlamentare antimafia nella relazione Influenza e controllo criminali sulle attività connesse al gioco nelle sue varie forme. “La criminalità oggi condiziona irreversibilmente il settore del gioco pubblico d’azzardo e di conseguenza condiziona lo Stato italiano”. Una denuncia gravissima, ma basti il fatto che è emerso dalle indagini sulla latitanza di Matteo Messina Denaro che sarebbe stata finanziata dagli incassi del ricco affare delle scommesse online, nel quale U’ Siccu è stato presente da almeno dieci anni, attraverso, in particolare, il nipote Francesco Guttadauro, che per conto dello zio contattava imprenditori del settore, finiti poi in manette nell’operazione Doppio gioco del 2021. Non estorsione ma vera e propria condivisione.
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"Non si tratta di bische clandestine. Sono un mix tra legale e illegale, e il primo è una copertura per il secondo”, mi spiegò allora un investigatore della Guardia di finanza. E lo scrive chiaramente anche la commissione antimafia in una relazione del 2022 sul gioco d'azzardo. “La criminalità organizzata si è in alcuni casi sovrapposta e in altri affiancata, ai concessionari del gioco legale”. Un affare così importante al punto da far stringere alleanze tra le diverse mafie, come spiegato nel documento. “Sempre più spesso le principali organizzazioni mafiose (Cosa nostra, ‘ndrangheta, e camorra) si riuniscono in partnership per sfruttare il business dei giochi e delle scommesse”.
Sempre più spesso le principali organizzazioni mafiose (Cosa nostra, ‘ndrangheta, e camorra) si riuniscono in partnership per sfruttare il business dei giochi e delle scommesse
Così “matrici criminali diversissime” hanno messo “in comune disponibilità finanziarie, expertise tecnico-informatiche di imprenditori (parte non affiliati), per manipolare il ciclo delle scommesse e del gioco d’azzardo online”. Il motivo dell’alleanza è ben spiegato dalla Commissione: “La scarsità e la concentrazione di queste competenze, unite all’alta redditività del settore e alle miti pene edittali previste per i reati connessi al gioco d’azzardo” hanno indotto le diverse organizzazioni a “unirsi e creare vere e proprie sinergie criminali. Hanno dunque associato alle proprie disponibilità finanziarie il know-how tecnico-informatico di alcuni imprenditori conniventi creando network, fino ad avere un rapporto pienamente sinallagmatico (con nesso di reciprocità, ndr) tra mafie e fornitori di servizi specifici...sia con i 'tradizionali'” metodi estorsivi sia blandendo imprenditori conniventi”.
Al Sud e al Nord, come emerso dall’operazione Glicine Akeronte della Dda di Catanzaro, una delle ultime del procuratore Nicola Gratteri prima di trasferirsi a Napoli. Una grande inchiesta sui clan crotonesi, in particolare quello dei Megna di Papanice, con collegamenti in Emilia e Lombardia. Imprese e imprenditori calabresi e campani e “mirati accordi con esponenti mafiosi di altri territori che hanno consentito al sodalizio di estendere i propri ambiti anche in zone diverse da quelle di ordinaria competenza”.
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Con la ‘ndrangheta presente sia nella gestione delle slot legali, sia in quella dei totem, terminali internet usati soprattutto per le scommesse illegali. In altre parole, agli esercizi commerciali si imponevano entrambi gli apparecchi, e non si poteva dire di no. Le mafie guadagnano con l’uno e con l’altro. A raccontare questo intreccio è Nicola Femia, detto Rocco, storico appartenente alla cosca Mazzaferro di Gioiosa Ionica, stabilitosi in Emilia Romagna nei primi anni 2000 e lì capo promotore di una ‘ndrina autonoma, operativa nel settore del gaming.
Arrestato nel 2012 nell’operazione Black Money, nel 2017 inizia a collaborare con la magistratura, soprattutto sugli affari delle “azzardomafie”. E “interloquendo in relazione alle sue attività di procacciatore di giochi elettronici d’azzardo” riferiva dei rapporti intercorsi con Renato Grasso “noleggiatore di videogames proveniente da Napoli, a sua volta concessionario di agenzie da gioco nel crotonese e legato alla cosca Megna”. Questi è un personaggio chiave in molte vicende di “azzardomafie”, tra legale e illegale. Nel 2013 arriva la prima condanna definitiva per l’operazione Hermes del 2009 che scoperchiò una vera e propria holding criminale tra imprenditori del gioco, con in testa Grasso, detto “il re dei videopoker”, e il gotha della camorra napoletana e casertana.
Non solo camorra. Dopo varie condanne in Campania come in Calabria, Grasso ha iniziato a collaborare. E ha raccontato di essere stato in affari con 74 clan mafiosi. Azzardo legale con più di 2.500 ricevitorie e agenzie, da Casal di Principe a Milano, Cernusco sul Naviglio, Cologno Monzese, Brescia, Cremona, Padova, Lucca. Oltre alla Calabria. Strettamente legato ad alcune delle principali concessionarie dell’azzardo. Mentre ripuliva i soldi delle cosche.
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La sua storia, ricomparsa tra le carte dell’inchiesta di Catanzaro, conferma ancora una volta il pericolosissimo “patto scellerato tra camorra e ’ndrangheta” per gestire il grande affare dell’azzardo, come scrivevano i magistrati della Dda di Reggio Calabria nell’ordinanza di custodia cautelare per l’operazione Gambling del luglio 2015, uno delle più importanti inchieste sulle “azzardomafie”: 45 arresti, 56 società e 88 siti sequestrati, 1.500 punti commerciali coinvolti, 2 miliardi di beni confiscati.
Dopo otto anni non cambiano clan e affari. Con le mafie sempre più presenti nel mercato legale dell’azzardo. E l’azzardo illegale sempre più mischiato al legale. Soprattutto nell’online come emerso nell’inchiesta sui giocatori-scommettitori. Con altissimi rischi. Frequentare l’azzardo illegale mette in contatto con tante altre illegalità, con mondi oscuri, che poi possono approfittare di dipendenze e debolezze, allettando e poi ricattando. E se queste sono le pericolose debolezze di big della Serie A, sono ancora più pericolose quelle dei giocatori delle serie inferiori.
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Giovani e giovanissimi, ancor più deboli di fronte a proposte illegali. Qui davvero il confine tra lecito e illecito è molto labile. Non poche volte sono gli stessi presidenti di società a scommettere per risanare le casse obbligando i propri giocatori a “vendersi” le partite. Mondo dell’azzardo e mondo del calcio vanno da anni sotto braccio. Fin ai livelli più alti. Ricordiamo quando nel 2016 la stessa Nazionale scelse come sponsor uno dei big delle scommesse. Alla fine la sponsorizzazione venne annullata. Ma uno dei vertici della Federcalcio mi disse: “Senza i soldi delle scommesse il calcio è morto”.
Non poche volte sono gli stessi presidenti di società a scommettere per risanare le casse obbligando i propri giocatori a “vendersi” le partite
È poi arrivato il Decreto dignità del 2018, che vieta la pubblicità dell’azzardo e le sponsorizzazioni. Così i marchi dei concessionari di scommesse sono scomparsi dalle magliette dei giocatori. Ma sono comparsi quelli dei siti di informazione sportiva, livescore, che permettono di consultare statistiche e molto altro, sicuramente utile a chi vuole scommettere.
Siti che oltretutto hanno lo stesso nome dei concessionari e sponsorizzano molte squadre, così il nome vietato dal Decreto dignità ricompare su maglie e cartelloni pubblicitari a bordo campo. Durante l’intervallo della partita Italia-Malta del 14 ottobre scorso, è andato in onda lo spot pubblicitario di Eurobet.live, con l’ex nazionale Luca Toni testimonial: una società che da fine settembre sponsorizza addirittura Lega Pro e, da metà agosto, la Juventus, la squadra di Fagioli. Una pericolosa confusione. Questo è il mondo dove giocano, crescono professionalmente e, si spererebbe, umanamente i giovani calciatori. Invece smanettano sullo smartphone e scommettono migliaia di euro. In fondo sono in buona compagnia.
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Solo a settembre gli italiani hanno scommesso in agenzia e online circa 1,9 miliardi di euro, con un incremento del 22 per cento rispetto allo stesso mese del 2022. E nello stesso mese addirittura 4,7 miliardi sui casinò on line (anche questi frequentati dai calciatori). Un affare che non conosce crisi, anzi ci guadagna dalle difficoltà economiche. Ma si parla solo dei giocatori-scommettitori. Il dito e non la luna.
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