19 luglio 2021
Mattia parla con rilassatezza e profondità: "Mi fa bene parlarne. Non mi rende triste, mi dà un senso di libertà". Il peggio è alle spalle, ma preferisce nascondere il suo vero nome, il volto, la voce, in un misto di riservatezza e vergogna per essersi fatto sottrarre tempo, denaro (quasi 300mila euro) e affetti dalle slot machine. Ha 51 anni, abita nella provincia di Torino. Ha studiato e ha un buon lavoro, fa l’agente di commercio. Da quasi tre anni segue un percorso per uscire dal gioco d’azzardo patologico, una delle nuove dipendenze slegate dai consumi di sostanze. "Dipendevo dalle videolottery (Vlt), quelle macchinette che trovi nelle sale gioco. Consente di giocare – purtroppo - anche cifre molto alte perché accetta banconote", spiega.
Mattia, come ha cominciato a giocare d’azzardo?
Giocavo a poker, al Texas Hold’em, nei casinò e nei circoli; partecipavo a tornei a Torino, Milano o altrove. Ma non è stato quello a spingermi verso la dipendenza, non si usano contanti, si paga un’iscrizione e si ottengono delle fiches, una volta finite si torna a casa. Chi vince prende una percentuale del montepremi. Era come uscire tra amici, a volte sembrava di andare in gita: ci si incontrava, si beveva qualcosa, a volte si andava a cena e poi si faceva il torneo. Accadeva di rado perché ci si doveva spostare, una volta al mese, al massimo una ogni due settimane. Dal punto di vista economico era poco impattante, ma era comunque un gioco d’azzardo, non voglio nascondermi. Non sono mai stato attirato da gratta e vinci, lotto o scommesse, ma col Texas Hold’Em era diverso: c’è un discorso di probabilità e di confronto con un avversario. Era abbastanza stimolante. Poi niente, ho avuto un approccio con le Vlt.
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